La scuola in Cina ai tempi di Xi, tra riforme e vecchi paradigmi  


AGI – La Cina allevierà i compiti a casa degli studenti e ridurrà il peso economico che le famiglie affrontano per l’istruzione dei figli, ma la legge sull’educazione familiare approvata sabato scorso da Pechino dovrà fare i conti con un modello di istruzione estremamente competitivo in corso da decenni e socialmente accettato.

La competizione non riguarda solo l’ormai celebre “gaokao”, l’esame di ammissione all’università che decide il futuro di generazioni di giovani, e che studenti e famiglie affrontano con la sacralità di un rito di passaggio: comincia prima, già in tenera età.

Anche per questo, ad agosto scorso, la Cina ha deciso di vietare esami scritti per i bambini dei primi due gradi delle elementari. La pressione a cui sono sottoposti i più piccoli danneggia “la salute fisica e mentale” degli scolari, ha avvertito il Ministero dell’Istruzione.

Oggi, con la nuova legge, gli studenti vengono alleviati da carichi di lavoro “eccessivi” e i loro genitori da oneri finanziari gravosi per pagare i corsi di tutoring, con l’implicito obiettivo di facilitare la vita delle famiglie e contribuire all’aumento delle nascite per contrastare la crisi demografica.

Nel campo di calcio della scuola elementare sperimentale di Chaoyang, uno dei distretti più grandi e densamente popolati di Pechino, bambini in divisa fanno attività fisica all’aperto sotto l’occhio attento dell’insegnante, nonostante oggi la qualità dell’aria non sia delle migliori. Un altoparlante scandisce con voce meccanica il momento di tornare in classe.

All’ingresso, su una via laterale, si presenta un funzionario scolastico con al collo un badge identificativo, che con pazienza ascolta le richieste: quale impatto avrà la nuova legge sui programmi scolastici del vostro istituto? “Abbiamo politiche molto rigide riguardo a questo tipo di cose”, avverte al di là del cancello.

Inoltre, “data la situazione”, dice in quello che suona come un riferimento implicito all’aumento di casi di Covid-19 in città, non può assicurare una risposta da parte dei dirigenti scolastici. Riferirà, però, al direttore dell’istituto, la Chaoyang Experimental Primary School.

La conferma non tarda ad arrivare: “Ci dispiace informarla che dobbiamo seguire le regole e la nostra scuola non può accettare domande in questo momento”.

Lo scenario non cambia in una delle più note scuole di Pechino, la scuola n. 55 di Xinzhong Jie: fondata nel 1975, è stata una delle prime scuole pubbliche ad adottare programmi per gli studenti stranieri, già nel 1995, affiancandoli a quelli degli studenti cinesi. La guardia all’ingresso consiglia di telefonare: l’accesso è proibito.

Anche la chiamata all’interno dell’istituto non dà esito favorevole: il responsabile è fuori ufficio, e nessuno sembra particolarmente interessato a rilasciare dichiarazioni sulla nuova legge approvata dal Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, il vertice dell’organo legislativo del parlamento cinese.

Oltre alle scuole pubbliche, una miriade di istituti privati sono pronti all’inizio di ogni anno scolastico ad accogliere i piccoli provenienti da tutti i Paesi.

Il metodo Montessori, per i più piccoli, si è fatto strada da tempo anche a Pechino e le scuole primarie che lo adottano competono con gli istituti pubblici e le altre scuole private: le riviste gratuite destinate agli espatriati pullulano di inserzioni dedicate alle scuole internazionali. Il pubblico a cui si rivolgono è costituito dalla classe media più agiata e dagli stranieri che vivono e lavorano a Pechino da tempo, o che sono in trasferta per lunghi periodi e hanno l’esigenza di trovare un percorso formativo per i propri figli.

Un articolo su Jing Kids, free press dedicata alle famiglie, la scorsa estate cercava di rispondere agli interrogativi più frequenti dei genitori sulla scuola a cui iscrivere i piccoli. “Pensi che la tua scuola abbia un forte senso di unità e responsabilità?”. “Che difficoltà incontri?”.

“La scuola che frequenti favorisce il dialogo multi-etnico e interrazziale?”. Qualche domanda sembra fare leva sulle ambizioni di vedere i propri figli eccellere. “Pensi che sia facile guadagnare ruoli di leadership nella tua scuola?”.

Tra inserzioni di nuovi ristoranti alla moda, foto di sorridenti adolescenti in divisa scolastica e consigli sulla vita quotidiana, il tema dell’istruzione si ripresenta sotto varie forme: in particolare, le difficoltà degli studenti cinesi all’estero, e quelle degli studenti stranieri in Cina, in articoli disseminati di messaggi rincuoranti di giovani che si dicono grati dell’approccio usato dai loro genitori per crescerli.

Il paradigma fino a oggi è stato la competizione, soprattutto tra le scuole internazionali e – all’interno delle stesse – tra gli studenti. Competizione e ambizione vengono promosse apertamente da alcuni istituti, con attività curricolari affiancate a quelle extra-curricolari, a fronte di rette sempre più onerose.

L’offerta è la più ampia possibile: curriculum “ibridi” che mischiano corsi di studio internazionali e locali; “approccio bilingue”, con due lingue usate come primarie dagli insegnanti, e il metodo “multiple intelligences”, nato ad Harvard negli anni Ottanta e dedicato ai più piccoli, che esplora più discipline che richiedono abilità diverse nel corso dell’anno scolastico.

L’obiettivo è di preparare i giovani al futuro non solo con le competenze scolastiche ma con la “consapevolezza sociale”, come sostiene il vice direttore della Canadian International School of Beijing, Michael Doige. Assieme allo studio, ai giovani sono richieste doti di leadership per sviluppare una “mentalità globale”.

Una ragazza delle scuole superiori di nome Feifei Xu, ha raccontato a Jing Kids la propria esperienza come candidata alla vice presidenza del consiglio studentesco alla Wab (Western Academy of Beijing, una delle più quotate, e costose, scuole internazionali nella capitale cinese).

Nonostante la paura di parlare in pubblico, “ho deciso di uscire dalla mia confort zone”, dice. L’emozione era paragonabile a un “terremoto”, ma appena ha iniziato a pronunciare il proprio discorso, tutto è andato bene. “Ero così fiera di me per il discorso che non mi è neppure venuto in mente di non ottenere la posizione”, commenta fiera la quattordicenne.

Feifei non è stata eletta, ma avere partecipato alla competizione, dice, “è stato gratificante”, e il prossimo anno, promette, proverà di nuovo.

Il modello di un’educazione competitiva si è imposto in parallelo a decenni di politica del figlio unico e di crescita della classe media nelle grandi città, e di pari passo con le ambizioni dei genitori per i loro “xiao huangdi”, i piccoli imperatori: scalfire modelli fondati sul successo e sull’affermazione personale in nome di una “prosperità comune” potrebbe rivelarsi una delle sfide di lungo periodo più difficili per il presidente cinese, Xi Jinping, che si è dato tempo fino al 2050 per vincerla.

Source: agi