La scorciatoia cognitiva di Elly Schlein


Della direzione del PD del 19 Giugno mi ha colpito, più che il documento finale, l’enfasi con cui la segretaria Schlein ha risposto alle critiche interne per la partecipazione alla manifestazione del M5S a Roma di qualche giorno prima. Ecco alcune parole, così come riportate dai principali organi di stampa: “Quando sento che non c’è una linea politica, sorrido. Di contenuti siamo pieni, ma siamo bravi a coprirli con le divisioni interne”. E ancora: “Se a qualcuno questa linea non piace, lo ammetta e non cerchi scuse”. Schlein ha pure citato i cantanti Daniele Silvestri, Diodato e Niccolò Fabi per sottolineare che dentro il PD vi è molta più condivisione di quello che si pensi.

La problematica relazione della segreteria col dissenso interno è una caratteristica presente sin dagli albori dentro il PD, e sarebbe ingiusto attribuirla solo a Schlein. Ci sono varie ragioni perché sia così; in primis, la scomoda eredità “leninista” cui si abbeveravano molti dirigenti del fu Partito Comunista, e l’immaginario che hanno trasmesso alla generazione politica successiva. Non è una caratteristica solo del PD: molti altri partiti, specie a destra, hanno perfettamente implementato la visione leninista della forza politica, ovvero quella in cui il pacato dissenso è già metà del futuro tradimento.

Tuttavia, il periodico psicodramma che attraversa il PD ha delle caratteristiche abbastanza sui generis che sono interessanti soprattutto in considerazione delle premesse politiche che hanno dato vita a questo partito. Giova ricordare, infatti, che il PD è nato per dare casa a tutti i riformismi che -nel corso dei decenni- si sono affacciati sulla vita politica italiana rimanendo tuttavia divisi e molto spesso in contrapposizione. Se non vogliamo scadere nel populismo becero che identifica negli interessi dei dirigenti le uniche ragioni di divisione, bisogna assumere che questo (vivace) dibattito si sia originato da “visioni del mondo” leggermente o molto diverse (e talvolta da premesse diverse a queste visioni). Pertanto, sembra un po’ puerile che un partito deliberatamente “composito” possa poi rivelarsi anche un partito privo di un vivace dibattito interno; specie in una società in continua trasformazione, dove siamo costretti a cambi continui dei nostri punti di riferimento.

Inoltre, la segretaria Schlein è stata eletta per la prima volta dagli elettori e simpatizzanti del PD in contrapposizione al voto degli iscritti. Chi scrive crede che l’apertura alla società civile abbia un valore straordinario di per sé, anche se porta a questi paradossi. Naturalmente, in questo contesto il livello di dibattito interno non è certo comprimibile.

Vi sono poi ragioni strumentali di Schlein, come fu prima per Zingaretti, per alimentare un po’ lo psicodramma del partito diviso che non riesce a incidere. I giudizi sul governo 2014-2018, ad esempio, sono stati abilmente spostati in un giudizio sulla persona “Matteo Renzi”, in modo da evitare accuratamente un dibattito sensato su una stagione di riforme coerenti, europee e in buona parte di successo. In questo il PD è stato anche gregario di una narrazione dominante in Italia dovuta a media e forze politiche che agiscono in difesa di precise corporazioni. Questo metodo di damnatio memoriae per coprire la rimozione di idee politiche ha avuto ed ha un certo successo nella pratica spicciola, come si vede anche nel rientro nel PD di dirigenti la cui fortuna elettorale negli ultimi anni è stata davvero scarsa.

Pur riconoscendo tutto questo, credo che il mezzo psicodramma della segretaria di ieri, e di quelli che (sono certo) ci saranno in futuro, sia nocivo per tante ragioni.

In primis, non è un comportamento da adulti. Ho sentito spesso critiche anche sensate ad alcune azioni di Mario Draghi (ad esempio sul green pass “rinforzato”) ma l’autorevolezza dell’ex presidente della BCE ha sempre portato la discussione critica su un livello oggettivo e razionale. Se il paragone con Draghi può sembrare esagerato, possiamo ricordare Prodi. Il PD non è una caserma, e la ricchezza del dibattito -financo la critica serrata alla linea politica del segretario- non è il viatico ad una futura sconfitta. E’ invece la maniera perché persone diverse, con idee diverse del mondo ma accomunate da valori comuni, si identifichino nel PD. L’autorevolezza della segreteria, che si compone di cose come l’esperienza politica della segretaria o segretario, la capacità dei collaboratori e l’aderenza delle loro conoscenze alle deleghe assegnate, appaiono le caratteristiche più rilevanti. Tutto ciò non sembra essere appannaggio degli ultimi gruppi dirigenti del PD, a partire dai componenti dell’organismo di governo del partito che sono stati scelti in genere per cooptazione e non certo per curriculum.

Ma la ragione migliore per non farsi cogliere dall’isteria del nemico interno è che è una pessima scorciatoia cognitiva; riduce tutto alla contrapposizione amico/nemico, utile/nocivo, alleato/avversario e impedisce la ricchezza del dibattito. Lascia le persone nella loro confort zone, e in questo somiglia molto agli algoritmi social che rinchiudono gli individui in bolle di discussione con pensiero unico. Un esempio da manuale è il dibattito sulla proposta di riforma della giustizia del governo Meloni: il riflesso condizionato da opposizione sterile impedisce di approfondire nel merito proposte che riguardano una battaglia storica della sinistra, il garantismo. Ne ha parlato con personalità e razionale riflessione Giorgio Gori proprio alla Direzione del PD. Non stupisce che molti amministratori del PD, ovvero persone costrette a confrontarsi con la complessa realtà che ci circonda, abbiano una posizione di apertura su alcune norme che vengono proposte.

In conclusione, il tentativo di Schlein (e di altri prima di lei) di ricorrere all’artificio del “serriamo le fila” contro gli avversari politici, talvolta esageratamente identificati con i nemici della civiltà, è un po’ puerile e non risolve il problema. Problema che è squisitamente di autorevolezza e fattibilità pratica della linea politica che ha vinto il congresso. Certo: spetta anche all’opposizione interna agire nel merito e senza pregiudizi, e senza ricorrere a scaramucce che poi si risolvono in incomprensibili voti all’unanimità. Ma la ricchezza del dibattito è preziosa.

Evitiamo la saldatura delle zone di conforto cognitivo con quelle a traffico limitato. Una proposta di governo razionale basata sulla realtà è da sempre nella natura del Partito Democratico.