Ci siamo arrivati. Finalmente potremo avere un governo di alto profilo, senza mezzecalzette, adeguato al compito di far ripartire l’Italia.
di Antonino Gulisano
Altro che mossa irresponsabile.
La scelta è del presidente Sergio Mattarella. Il merito è di Matteo Renzi e del suo tam – tam, inutile far finta di niente. Con un colpo solo, il senatore ha fatto cadere l’avvocato del popolo, che ora potrà dedicarsi con Casalino all’arte nobile dell’autobiografia, ha cancellato il grottesco partito di Conte, ha travolto la stravagante alleanza strategica Pd-Cinquestelle e ha ridicolizzato la resa politica di Zingaretti e Bettini e Orlando al populismo manettaro e mancettaro dei babbei a cinquestelle. Da solo contro tutti, facendo un “casino organizzato”, compreso un rinascimentale autogol a Riad, Renzi ha costruito le condizioni perché il sistema politico italiano si affidasse a Mario Draghi, l’uomo che prima ha salvato l’Euro e poi ha fatto una buona impressione a Di Maio.
L’interesse di Renzi non era quello di avere uno o due ministeri in più, quello era fumo. Aveva solo bisogno di sparigliare, di far cadere il leader fortissimo di tutti i progressisti, di rompere l’asse surreale Pd – Conte, di avviare una nuova fase politica per quanto comunque in salita, per lui e il suo partito, essendo uno degli uomini più odiati d’Italia. Il Pd non potrà dire no a Draghi, con Paolo Gentiloni che su Repubblica, il giorno della fiducia al Senato, aveva spiegato ai suoi compagni di partito che il recovery plan di Conte andava rifatto altrimenti addio denari. I deputati grillini sanno che non saranno più eletti e voteranno chiunque pur di non passare dalle odiate prebende parlamentari all’amato reddito di cittadinanza. I centristi e alcune porzioni del centrodestra non si opporranno, anzi sosterranno Draghi. Il sostegno di Renzi ci sarà, così come quello di Calenda e di Bonino, i quali tutti insieme hanno adesso l’occasione di costruire un polo liberal-democratico alternativo ai populisti e ai sovranisti e a metà strada tra il centrodestra e il Pd.
Il progetto di Zingaretti e di Bettini, ispirato da D’Alema, di domare i populisti è fallito e chissà se la fragorosa caduta di Conte avrà conseguenze tali da convincere i maggiorenti del partito a cambiare la leadership interna e ricostruire il rapporto con i riformisti. la legislatura cominciata con la maggioranza populista e sovranista di Salvini e di Di Maio, sotto l’egida di Trump, di Putin e della Brexit e con gli anti Euro al governo e gli abbracci ai gilet gialli, potrebbe continuare con Mario Draghi a Palazzo Chigi sostenuto da una maggioranza europeista, antipopulista e adulta. Per continuare il capolavoro sarà compiuto se con le prossime elezioni si potrà superare il governo tecnocratico di Draghi e tornare alla politica con un nuovo soggetto politico riformatore ed europeista, che traguardi una quarta via per le nuove classi sociali emarginate e dimenticate.