La rivoluzione della Fed mette sotto pressione l'euro e la Bce


AGI – Riparte la sfida tra Federal Reserve e Bce e se per anni, sotto la presidenza di Mario Draghi, è stata l’Eurotower a condurre i giochi ora il pallino è passato nelle mani dell’istituto americano. La rivincita di Jerome Powell, a più riprese accusato da Donald Trump di scarso coraggio sui tassi, è arrivata la scorsa settimana a Jackson Hole, quando il presidente della Fed ha annunciato che d’ora in poi l’istituto centrale statunitense, nel regolare la propria politica monetaria, non farà più riferimento a un obiettivo d’inflazione fisso del 2% ma all’andamento medio del costo della vita. Oltre a tenere in maggior considerazione il concetto di massima occupazione. In soldoni: la Fed, dopo un periodo di prezzi bassi come quello attuale, potrà consentire all’inflazione di salire per qualche tempo anche oltre il tetto del 2%, in attesa che la ripresa si consolidi, senza per questo dover necessariamente intervenire sul costo del denaro. I tassi potranno dunque restare bassi più a lungo.

L’impatto più evidente della decisione si è avuto sull’euro. L’allontanarsi di una stretta monetaria al di là dell’Oceano ha prodotto immediatamente un rafforzamento della valuta unica europea, che è arrivata a valere 1,20 dollari, al top dal 2018. Un movimento che non può non preoccupare la Bce, per l’impatto che finisce per avere sulle esportazioni in un periodo di grossa debolezza economica. Un euro forte agisce negativamente su ripresa e inflazione, rischiando di lasciare l’economia del vecchio continente impantanata nella crisi scatenata dalla pandemia di coronavirus.

Non sono pochi gli osservatori secondo cui servirebbe subito una risposta dell’Eurotower per evitare, come ha spiegato una fonte anonima al Financial Times, che “il mercato possa interpretare i tassi di interesse come strutturalmente più alti nell’area dell’euro, con il rischio di un ulteriore apprezzamento della divisa unica”. La struttura della Bce potrebbe però rendere complicato il processo decisionale.   La presidente dell’istituto centrale europeo, Christine Lagarde, ha annunciato che la revisione strategica della politica monetaria della Bce, avviata nei mesi scorsi, si concluderà entro la prima metà del 2021. Ma i tempi dei mercati sono più serrati. Ad aiutare la Fed, peraltro, è stato anche il suo doppio mandato: tra gli obiettivi della banca centrale a stelle e strisce, oltre alla stabilità dei prezzi, c’è quello della massima occupazione. Ed è su quest’ultimo che Powell ha fatto leva per la sua rivoluzione. La Bce invece fa riferimento soltanto al primo ed è solo su quello che possono fare perno le sue riflessioni, a meno che non vengano emendati i Trattati istitutivi.

Draghi, per assecondare una maggiore flessibilità, ha già introdotto il concetto di “simmetria” tra gli strumenti di analisi dell’Eurotower. Prima della scelta di Supermario la Bce agiva con grande rapidità sui tassi quando l’inflazione saliva e con meno prontezza quando scendeva. Di qui il grave errore di Jean Claude Trichet quando, nel luglio 2008, con la  crisi dei subprime che stava già emergendo, decise di alzare il costo del denaro, preoccupato dall’aumento dei prezzi del petrolio e dei generi alimentari.

Per dirla con le parole di Draghi, simmetria significa che la Bce agirà “con la stessa determinazione sia se l’inflazione si trova sotto sia se si colloca sopra” la soglia del 2%. “Un nuovo linguaggio” che segna con chiarezza un punto: non ci può essere stabilità dei prezzi se l’andamento dei prezzi si allontana troppo dalla soglia del 2%, in qualsiasi direzione. Si possono tollerare scostamenti temporanei e limitati, ma non oscillazioni eccessive e persistenti, qualunque sia la loro direzione.

Lo scontro tra falchi e colombe ha però sempre tenuto acceso il dibattito sulle scelte della Bce, rallentando le decisioni. Da tempo i fautori nordici della stabilità dei prezzi sostengono che se l’obiettivo di un’inflazione “vicina o più bassa del 2%” è troppo alto non bisogna allentare ulteriormente la politica monetaria, già giudicata al limite, ma piuttosto rivedere al ribasso il target. L’ipotesi è stata bocciata in consiglio direttivo e l’idea che avanza, adesso, è di togliere quel “vicina o più bassa” dalla definizione di stabilità dei prezzi, allontanando l’idea che già un costo della vita in aumento dell’1,7-1,9% possa giustificare un ritocco verso l’alto dei tassi, e mettere nero su bianco il concetto draghiano di “simmetricità”. Ma se la Fed deve decidere per un solo paese, la Bce sceglie per 19. E la discussione è soltanto iniziata

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Fonte: economia agi