La rivolta dei parroci: "È ora di aprire le chiese"


Dopo l’ira dei vescovi la ferma presa di posizione dei parroci. Da Nord a Sud, i preti chiedono a gran voce la riapertura delle chiese, la possibilità di celebrare messa, ovviamente con tutte le precauzioni del caso.  L’AGI ha raccolto diverse testimonianze di parroci, da varie parti d’Italia, e tutti (anche se non manca qualche posizione che invita alla prudenza) hanno espresso rammarico per la decisione comunicata ieri dal presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ma anche la speranza in un ripensamento, da parte delle autorità competenti, anche per venire incontro alle esigenze dei fedeli.

In provincia di Cremona, anche dopo essere stato multato dai Carabinieri per aver detto messa con i fedeli e nonostante il nuovo Dpcm, don Lino Viola, parroco di Gallignano di Soncino, sia ieri che oggi ha celebrato la funzione in chiesa puntando ancora il dito contro le forze dell’ordine. “A nome dell’intera comunità presente e di quella che vive nelle nostre case, celebro per riparare all’irruzione immotivata e sacrilega in chiesa delle forze dell’ordine”, dice don Viola annunciando per giovedì il digiuno della parrocchia: “Così il cibo che non verrà consumato sarà portato in chiesa e donato alla Caritas”.

“Per noi è un grande sacrificio dover rinunciare al contatto coi parrocchiani, non poter celebrare la messa. Ho sempre lasciato la chiesa aperta, qualcuno viene per una preghiera al mattino altri nel pomeriggio, magari dopo essere andati a fare la spesa”, evidenzia con grande rammarico padre Giacomo, parroco della Parrocchia di Cristo Re a Bolzano. “È chiuso tutto – aggiunge – il nostro centro per i giovani, la vita della nostra comunità, ma anche gli incontri con gli anziani”, aggiunge. “I funerali in dieci minuti sono di una povertà estrema per noi sacerdoti e soprattutto per i parenti”.

Se potesse parlare ora col presidente del Consiglio gli direbbe che volentieri farebbe gli “straordinari” pur di celebrare di nuovo messa con i fedeli don Giacomo Martino, parroco di San Tommaso, nel quartiere genovese di Oregina. “Senza polemiche – sottolinea – del premier Conte ho apprezzato la gradualità con cui sta agendo, però se potessi gli suggerirei di fare un correttivo, magari di stabilire una persona ogni tot metri quadri. Noi sacerdoti siamo pronti a fare i tripli turni, 5 messe in un giorno”.

Ma non tutti i preti sono allineati con la posizione della Cei. Qualche voce esce dal coro, come quella di Don Giovanni Ferretti, canonico della Chiesa di San Lorenzo a Torino. “Libertà di culto non è libertà di infettare la gente. La nota Cei mi ha profondamente amareggiato, come cittadino, come cattolico e come prete, mi pare un errore politico e pastorale”. “Siamo in grado oggi di assicurare che non vi sarà pericolo di contagio? Sapremo sanificare le chiese. Sapremo obbligare la gente a tenere le distanze le mascherine?. E il prete celebrerà con la mascherina? Che Messe con il popolo sarebbero mai queste?”.

“Credo che oggettivamente fosse possibile celebrare anche prima la messa ‘con il popolo’, con tutte le cautele del caso e in sicurezza, con un numero di persone adeguato agli spazi della chiesa: come si fa la coda al supermercato sarebbe stato possibile mantenere la distanza anche in chiesa”, afferma don Leonardo Salutati, parroco dell’antica chiesa di San Marco Vecchio a Firenze. Proprio Firenze, ha ricordato il sacerdote, ha “esempi chiari di celebrazione delle funzioni religiose anche ai tempi della peste: nel 1630 vennero chiuse le chiese, ritenute luoghi di contagio, e si mettevano gli altari nelle piazze per celebrare. I sacerdoti, su disposizione del vescovo dell’epoca, vestivano paramenti cerati e distribuivano la comunione tra due ceri, i cui fumi si riteneva potessero difendere dal morbo; e dopo ogni fedele si disinfettavano le mani con l’aceto”.

“In merito alle aperture e al ritorno alla vita normale, seppur in maniera graduale, alcune situazioni, purtroppo, sono state più agevolate, altre più banalizzate” commenta don Alessandro, parroco della Chiesa di San Pietro e Paolo ad Arezzo. “Ad esempio se vado a fare la spesa, dentro ad un supermercato ci sono perlomeno 50 persone. Certo, si tratta di un servizio di prima necessità, ma perché questo non può avvenire in una chiesa? Usando naturalmente distanze e dispositivi di sicurezza. Anche perché, è ovvio che la salute viene al primo posto per tutti. Fino ad ora mi sono sempre attenuto ai decreto per svolgere le celebrazioni. Ma adesso sulle messe concordo in pieno con quanto affermato dal cardinale Bassetti. In sicurezza devono essere garantite – prosegue don Alessandro. Lo ribadisco, ho visto che la gente ha ripreso ad uscire e dalla prossima settimana lo farà ancor di più anche per ulteriori esigenze lavorative, non capisco perchè altre attività, invece, debbano rimanere precluse”.

Sulla stessa linea anche il parroco della Chiesa di Sant’Agnese in Pescaiola, don Severino: “Ripartiamo in estrema sicurezza. I nostri cristiani hanno bisogno delle messe. La fede non è uguale a zero, la fede conta. Andare alla messa è un grande punto di riferimento e speranza in questa lotta contro il virus”.

“Se si può andare in libreria, a visitare musei e andare a fare la spesa, allora si potrebbe anche andare in chiesa per la messa, rispettando tutte le distanze, indossando la mascherina e prevedendo le sanificazioni”, sottolinea don Carlo Follesa, parroco della parrocchia di San Massimiliano Kolbe a Cagliari.

Don Giulio Madeddu, parroco della chiesa di Santo Stefano a Quartu Sant’Elena (Cagliari) e direttore dell’ufficio diocesano per le comunicazioni chiarisce che “la libertà di culto è sancita dalla Costituzione e, per norma concordataria, vede la Chiesa soggetto principale in tale ambito. Pertanto, non si avanza nessuna richiesta di concessioni e tanto meno di privilegi, ma che sia assicurato un approccio paritetico Chiesa-Stato, come previsto dall’ordinamento giuridico, per giungere a un’intesa per la quale anche la comunità ecclesiale, al pari dei centri commerciali, delle stazioni, dei mezzi pubblici, possa riprendere la propria attività, conformemente ai criteri di igiene già previsti in condizioni analoghe”.

“Molte chiese, specie in città come Napoli, sono spaziose o hanno spazi all’aperto. Si sarebbe potuto autorizzare le messe, soprattutto quelle feriali, e magari per quelle della domenica pensare ad aumentare il numero di funzioni”, dice don Simone Osanna, parroco di Pietà dei turchini, chiesa che dal 1700 in via Medina. “I miei parrocchiani sono spiritualmente spaesati. Non è giusto multare i preti per 10 persone in chiesa, ma farle entrare in un supermercato. Noi vogliamo tutelare i fedeli, e siamo sicuri che si possano mantenere le distanze e tutte le precauzioni di sicurezza, consentendo comunque di partecipare alla funzione e anche di dare un funerale degno a chi è morto”.

Don Sergio Iacopetta, parroco della Cattedrale di Catanzaro, sostiene che la decisione va rivista “perchè c’è anche un bene dell’anima da considerare. Prima riprendiamo meglio è, certo con tutte le accortezze del caso. Speravamo – prosegue don Sergio – che le cose cambiassero, vediamo adesso come si mettono le cose”. Don Giovanni Scarpino, cancelliere della Curia di Catanzaro-Squillace e parroco di San Massimiliano Kolbe di Catanzaro, confida: “Avvertiamo la sofferenza dei laici, che vogliono partecipare alla vita della comunità, una sofferenza  che si aggiunge alla nostra sofferenza. Molti parroci in questa fase si sono attrezzati con i nuovi mezzi della comunicazione, con le dirette streaming, ma non è la stessa cosa, perché è una partecipazione solo virtuale.

Don Tommaso Mazzei, parroco di “Santa Caterina” e responsabile della pastorale famigliare diocesana, dei gruppi e delle aggregazioni laicali ecclesiali per la Diocesi di Crotone – Santa Severina, suggerisce l’idea di celebrare messa all’aperto: “L’indicazione data con il ‘possibilmente all’aperto’ per i funerali – sottolinea – potrebbe essere un primo modo, dove è possibile, per superare questa fase, definendo bene le regole. Ogni domenica, dopo avere celebrato la messa in chiesa, impartisco la benedizione sul sagrato che affaccia su una grande piazza e su un palazzo con decine di balconi con la gente affacciata. Abbiamo bisogno di fare comunione e abbiamo bisogno di vedere anche i segni con i sacramenti e l’eucarestia celebrati nel loro luogo ideale”. 

    “Ci siamo svegliati”, si limita a dire don Salvatore Petralia, parroco, a Palermo, della di Maria Santissima del Carmelo ai Decollati, richiamando il documento della Conferenza episcopale italiana sul Dpcm, ritenendo anche lui che non si possa accettare di “vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Il servizio ai poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sorgenti, in particolare la vita sacramentale”. Lo segue don Ugo Di Marzo, parroco di Santa Maria delle Grazie in Roccella: “Ho ascoltato con il doveroso rispetto quanto ha comunicato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, siamo ben felici di leggere il chiaro disappunto dei vescovi italiani”.
   

E padre Antonino Basile, direttore della Caritas di Messina, va al punto: “Mi domando, da prete cattolico e da direttore Caritas, come mai il volontariato della Chiesa cattolica in questo momento non è stato frenato e le azioni di culto sì? Fa comodo che la Chiesa cattolica scenda in campo attraverso le Caritas e le associazioni laicali di volontariato per affiancare il governo in questa azione di aiuto alle persone più deboli, questo è  importante per il governo e le azioni di culto invece no?”.

    Duro anche Don Davide Milani, prevosto nella storica basilica di San Nicolò di Lecco: “Quello che più fa male è vedere – dice – che i cittadini italiani – in queste norme – sono considerati solo o come dei consumatori o dei produttori. L’uomo è di più: ha bisogno di motivi per sperare, per viver, per riprendere il cammino familiare, associato, del Paese. L’Italia ripartirà se prima si rianima lo spirito degli italiani. Per questo da parroco chiedo che – con tutti i rigidi dispositivi di sicurezza  che siamo pronti ad adottare – le Chiese riaprano”.

   “Capisco la posizione del premier, ma il diritto alla religione è fondamentale: se facciamo ripartire lo sport non si capisce perché non si possa tornare a celebrare la messa. E’ giusta la preoccupazione della Cei; non possiamo aspettare il vaccino, o la dimensione della fede rischia di venir derubricata e le chiese riaprirebbero dopo servizi e negozi”. ha detto don Andrea Bigalli, parroco di Sant’Andrea in Percussina, nel Comune di San Casciano Val di Pesa (Firenze) e membro del Comitato Regionale toscano di “Libera”.

    Secondo don Silvio Barbaglia, biblista e docente di Sacra scrittura allo Studio Teologico San Gaudenzio di Novara, “in questo campo, c’è una sorta di “dittatura scientista”: tutto ciò che ha a che fare con la ricerca di senso, siano esse le attività del campo culturale come della sfera religiosa, viene considerato superfluo, secondario. Per questo si cercano e si trovano modalità per far ripartire un po’ tutto, dal gioco di azzardo al calcio, ma non ci si fa carico di trovare soluzioni adeguate per le celebrazioni religiose”.

 

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Fonte: cronaca agi