La ricchezza degli over 65: un patrimonio da tutelare


Inflazione e, più in generale, instabilità dell’attuale quadro congiunturale rendono necessario un ripensamento della composizione dei portafogli degli italiani: tema ancora più rilevante se si parla degli over 65, fascia di età che detiene la maggior parte della ricchezza del Paese (ma poco incline a cambiare idea sulle proprie scelte di investimento)

Bruno Bernasconi

Non è un mistero come l’Italia, così come la maggior parte dell’Occidente, stia affrontando la più rilevante transizione demografica mai sperimentata: transizione che sta portando a un progressivo invecchiamento della popolazione, con il numero di anziani in continua crescita in quello che è già uno dei Paesi più longevi al mondo. Le persone over 65 anni sono aumentate di oltre il 30% rispetto a vent’anni fa superando i 14 milioni, con un’incidenza sul totale degli italiani che sfiorava il 24% nel 2022. Una percentuale che, secondo le previsioni, è destinata a salire nel 2050 al 35% (di cui oltre il 14% sarebbero ultra80enni).

Numeri che chiaramente comportano delle implicazioni significative per la tenuta del nostro sistema di welfare, anche alla luce della fragilità dei nostri conti pubblici, e che di conseguenza rivelano l’importanza assunta dal risparmio degli anziani per mantenere un tenore di vita adeguato e, più in generale, per garantire il benessere nella terza e quarta età. D’altronde, è ben noto come quella degli over 65 sia una generazione dedita al risparmio e che detiene la maggior parte della ricchezza privata degli italiani, con circa il 55% del totale del patrimonio gestito nazionale (secondo i dati AIPB). Considerando una ricchezza totale delle famiglie italiane rilevata da Banca d’Italia in oltre 10mila miliardi di euro (attività finanziarie più immobili), si stima che il 24% della popolazione over 65 possieda circa la metà della ricchezza nazionale.

Ma come si pongono gli anziani nei confronti di questi temi e qual è il loro livello di educazione finanziaria, fondamentale per decisioni competenti e consapevoli su temi tanto importanti?

Secondo quanto emerge dall’aggiornamento del Quarto Rapporto Assogestioni-Censis, per il 49% degli italiani occuparsi di risparmio e investimenti genera ansia e preoccupazione e a soffrirne maggiormente sono proprio gli ultra65enni (il 54,4% contro il 50,7% di chi ha tra 18 e 34 anni e il 45,6% di chi ha tra 35 e 64 anni). Un dato fortemente influenzato dall’incertezza dell’attuale scenario congiunturale, tra la forte escalation di tensioni geopolitiche e il repentino incremento del costo della vita, in cui la rapidità dei cambiamenti impone di modificare scelte che spesso si sono reiterate per anni. Da qui nasce lo stress nella gestione del risparmio, legato in primo luogo alla necessità di ripensare alla tradizionale predilezione degli italiani per la liquidità, a causa della perdita di potere d’acquisto dovuta all’inflazione, e quindi al “ritorno” di strumenti finanziari con buon rendimento come i titoli di Stato. Il report evidenzia infatti come un segnale diretto del radicale cambiamento intervenuto nel mercato del risparmio e nelle opportunità di investimento provenga proprio dal rapido rialzo dei tassi di interesse deciso dalle Banche Centrali per contrastare l’impennata dei prezzi. In particolare, dichiarano di essere stati personalmente penalizzati dal rialzo dei tassi il 36,7% dei risparmiatori italiani e, in particolare, il 44,1% dei giovani con età tra 18 e 34 anni, il 36,3% degli adulti di età tra 35 e 64 anni e il 31,6% degli anziani con almeno 65 anni. Inoltre, le attività finanziarie delle famiglie, dopo essere diminuite in termini reali del 14,2% nel 2022-2023, sono ulteriormente diminuite del 7,8% nel primo trimestre 2023 rispetto al primo trimestre 2022.

La nota di Istat e Banca d’Italia sulla “ricchezza dei principali settori istituzionali 2005-2022” mostra che il 2022 ha messo fine a un trend di crescita di tre anni nella ricchezza netta delle famiglie italiane, pari a fine anno a 10.421 miliardi di euro, con un calo del -1,7% in termini nominali e ancora più marcato in termini reali (-12,5%) a causa delle forti pressioni inflazionistiche. Le attività finanziarie si sono contratte del 5,2%, principalmente per effetto della riduzione del valore delle azioni e degli strumenti del risparmio gestito, mentre dopo circa un decennio sono tornati a crescere i titoli di debito. Nel dettaglio, i titoli di Stato italiani detenuti dalle famiglie sono cresciuti del 10,7% nel 2022-2023 e del 48,2% nel primo trimestre 2023 rispetto al primo trimestre 2022.

L’estrema volatilità del contesto socio-economico e l’effetto negativo dell’inflazione sul risparmio in contanti, storicamente la voce preponderante all’interno dei portafogli italiani, hanno quindi avuto un impatto diretto sul livello di benessere delle famiglie. Ciononostante, solo il 28,7% di over 65 anni dichiara di aver cambiato idea su come usare il proprio risparmio, contro il 48,4% dei risparmiatori di 18-34 anni e il 40,4% di quelli con età tra 35 e 64 anni. A questo punto appare logico domandarsi se tali risultati siano collegati all’ancora scarso livello di educazione finanziaria che caratterizza l’Italia, tema già ampiamente dibattuto ma che le turbolenze dell’attuale contesto internazionale e le continue discussioni in tema di welfare e previdenza, pubblica e complementare, continuano a mantenere di attualità. Secondo quanto dichiarato dal Segretario Generale del Censis, Giorgio De Rita, la carenza di conoscenze in materia di cultura finanziaria ha messo in difficoltà gli italiani negli ultimi tempi, tanto che la diffusione di una maggiore alfabetizzazione sul tema rappresenterebbe un’esigenza strutturale e permanente.

In quest’ottica, dopo aver già analizzato il grado di educazione finanziaria dei giovani, può essere utile in questa sede concentrarsi invece sui più anziani notando che, secondo quanto emerso dall’indagine Assogestioni-Censis, proprio i maggiori detentori di risparmio sarebbero quelli meno preparati in materia. In particolare, l’indagine si basa su 4 domande che intendono indagare la conoscenza di concetti quali l’inflazione, la differenza tra azioni e obbligazioni, il senso e gli effetti di tassi attivi e tassi passivi. Dal quadro di sintesi del Rapporto emerge che sono in profonda carenza di educazione finanziaria di base, poiché non rispondono ad alcun quesito o a 1 solo dei 4 sottoposti, il 39,1% dei risparmiatori più anziani, il 25,7% dei giovani e il 16,7% degli adulti. Nel dettaglio, non colgono alcuna delle domande corrette il 9,7% dei 18-34enni che risparmiano, il 5,4% dei 35-64enni e il 14,5% dei 65 anni e più; viceversa, rispondono adeguatamente a 4 quesiti su 4 il 18,8% dei giovani, il 26,4% degli adulti e solo l’11,9% degli anziani.

La rilevanza quantitativa di persone in grave carenza di conoscenze finanziarie, conclude il report, andrebbe affrontata come una priorità, visto l’incessante modificarsi del contesto socio-economico e geopolitico e il suo impatto sull’economia e la finanza micro degli italiani. Tanto più che il buon utilizzo del risparmio rappresenta anche una proxy dello stato di salute dell’economia, incidendo sulle performance sistemiche, contribuendo allo sviluppo del Paese e, in ultima analisi, migliorando il benessere collettivo. Da qui si comprende l’esigenza di mettere i cittadini nelle condizioni di capire il contesto economico e i tanti aspetti che connotano risparmi e investimenti; esigenza intensificata ulteriormente dalle caratteristiche del nostro tempo segnato da una velocità di cambiamenti che in passato richiedevano periodi più lunghi per emergere. Una necessità ancora più vera per quanto riguarda la popolazione anziana, solitamente detentrice di patrimoni più elevati e utili, come già accennato, anche a sopperire eventuali lacune nel sistema di welfare pubblico. Ad esempio, quindi, la comprensione di un concetto base come l’inflazione assume particolare rilevanze in questo momento storico in cui il semplice risparmio in liquidità senza investimenti in grado di proteggere dall’erosione del potere d’acquisto dovuto all’aumento dei prezzi compromette il livello di benessere, cosa comunque tendenzialmente sempre vera se si considerano orizzonti temporali di lungo periodo.

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali