di Danilo Di Matteo
Apprendo dal Tg1 che le autorità iraniane impongono un trattamento psicologico alle adolescenti ritrose rispetto all’obbligo del velo islamico. Un gesto di libertà scambiato per l’espressione di un disagio giovanile. Un monito anche per noi: un impiego abnorme di categorie nosologiche quali la psicopatologia adolescenziale può avere esiti tragicomici. Anche se di comico non c’è nulla nella vicenda della studentessa dell’Università Azad di Teheran che, a detta della “polizia morale”, indossava male il velo e che, per protesta, si è denudata, restando in intimo. Forzata quindi a salire su un veicolo delle forze dell’ordine e “scomparsa”. Quando il corpo vuol dire libertà.
Ecco, proporrei di dedicare il calendario Pirelli, sul quale c’è chi si attarda a polemizzare, a tutte le donne iraniane e anche ai ragazzi di quel grande Paese.
E che dire dell’imposizione del silenzio alle donne nei luoghi pubblici, in Afghanistan? La loro voce sensuale distoglierebbe uomini e turisti dai propri doveri. Neppure parliamo di forme, di anatomia, di “zone” supposte “erogene”. No; semplicemente della voce. Non la libertà di parola, bensì quella di emettere suoni, un suono qualsiasi nello spazio pubblico. E il ricordo va alla suora di clausura intervistata da Sergio Zavoli tanti anni fa: “si può cercare Dio attraverso gli esseri umani oppure, come facciamo noi, gli esseri umani attraverso il Signore”. Una delle più alte espressioni di libertà, come il silenzio dell’eremita. Agli antipodi del silenzio imposto per decreto dai talebani.