LA PILLOLA AMARA DELLO STATO ETICO


Sergio Talamo

Il cervello ha bisogno di zucchero? O lo zucchero è il nostro killer? E questo benedetto zucchero di canna, è il magico saccarosio che ci salverà o l’oppio dei popoli occidentali? Mentre ci divincoliamo fra claim pubblicitari sovrastati dalle intimazioni dei medici, qualcuno vigila su di noi: è il Legislatore. Può sembrarci troppo severo, e pure un tantino avido, visto che con le sue norme mira a racimolare quattrini. In realtà si sacrifica per il peccatore che è in noi. Per liberarci una volta per tutte dalla Coca Cola e, a tendere, dalla Nutella.
Ma il peccatore che è in noi non si limita a bere e mangiare. Pretende anche di portare la spesa in sacchetti di plastica. E anche qui, dietro l’apparente intenzione di colpirci nel portafoglio, il Legislatore mira a colpirci nei sentimenti. Quindi, mentre al market ci accingeremo a pagare, e la cassiera ci chiederà se vogliamo il sacchetto di plastica, saremo folgorati da una nuova coscienza ecologica e diremo: “Giammai! Mi dia un sacchetto di carta, il resto lo porto in mano!”. E quando, tornando a casa, la spesa si spargerà miseramente sul marciapiede, penseremo anche agli alberi che abbiamo inutilmente abbattuto.
La Sugar Tax e la Plastic Tax, riproposte a suon di fanfare, sono state di nuovo rinviate di uno o due annetti buoni. Qualche malevolo potrà insinuare che è accaduto perché le imprese produttrici di bibite analcoliche e plastica non sono propriamente le ultime ruote del carro. Ma non è così. Lo Stato ci ha comunque mandato il suo messaggio: ogni forchetta da pic-nic è un vizio, ogni sorsata di piacere è un passetto in più per i nostri nemici invisibili. Lo specchio. La prova costume. Il bottone del pantalone che non chiude più. L’odierno passo falso del legislatore anti-glucosio e anti-plastica non deve trarci in inganno. Si è comunque affermato un principio: la lotta fra Stato massimo e Stato minimo è ormai superata da una nuova versione del Leviatano: lo Stato esistenzialista. Ogni volta che ci avviciniamo al frigo-bar o al bancone delle creme spalmabili, ogni volta che usiamo piatti di carta per non doverli lavare, Lui ci ammonisce sul senso del nostro esistere. Se in ufficio indugiamo davanti alla macchinetta, che ammicca dal vetro con una Fiesta snack, subito siamo richiamati al dovere. E se di sera, passeggiando, vorremmo sorseggiare un thè alla pesca, ecco irrompere Immanuel Kant in persona: è vero che sopra di te c’è un cielo stellato ed estivo, ma dentro di te non dovrebbe esserci una Legge Morale?
Insomma, l’imperativo dello statalismo dei giorni nostri non è più far funzionare il Welfare, cioè i servizi nella sanità, nei trasporti, nel sostegno ai redditi bassi. È occuparsi direttamente del nostro equilibrio psicologico. E del resto, chi di noi non gradirebbe il conforto di un ministro dell’economia o del made in Italy mentre stappa una lattina di Sprite? La vecchia cara socialdemocrazia prometteva di seguirci dalla culla alla tomba. Ma oggi siamo oltre: lo Stato ci segue a tavola, al bar, nel cenone di Natale e negli spuntini notturni.
Serve a poco citare i contradditori risultati ottenuti dai paesi che hanno introdotto balzelli simili. Chi è stato costretto dal portafoglio a bere di meno, si è consolato mangiando di più. Ma se la pretesa è di sapore etico, cosa vogliamo che contino i numeri? Per non dire di altri numeri, quelli che stimano che questo tipo di tasse pesi soprattutto sui meno abbienti. È proprio questo che lo Stato-esistenzialista ci tiene a far sapere: caro povero, già non te la passi bene, vuoi pure farti venire i complessi del ciccione goloso?
Via, cerchiamo di capire. Fare educazione ambientale o sanitaria è impegnativo e costa. Perché faticare quando puoi semplicemente tassare? Dopotutto, è risaputo che la soluzione a ogni problema è una nuova legge. È vero, Winston Churchill diceva che lo Stato più interviene più tassa, e più tassa più fa diminuire la ricchezza. Ma la predica veniva da un uomo non propriamente magro. Quindi, coraggio, buttiamo giù la pillola, e senza neanche quel po’ di zucchero dei tempi scellerati che furono.

Fonte: Il Riformista