AGI – “Quell’altra minchiata che lui ci ha fatto fare ripitturare la nave .. lasciamo perdere va .. ora loro vogliono sapere con quel fatto che hanno ripitturato la nave .. ora va a finire che sono state nascoste le prove … “. E’ il passo di una intercettazione telefonica inserita nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Palermo nei confronti di Gioacchino Costagliola, Giuseppe Caratozzolo e Raffaele Brullo, rispettivamente comandante, terzo ufficiale e armatore della petroliera Vulcanello, la nave che, secondo la procura, sperono’ il peschereccio Nuova Iside e causo’ cosi’ l’affondamento e la morte dei tre membri dell’equipaggio.
Il fatto avvenne nella notte tra l’11 e il 12 maggio 2020 a largo della costa nord della Sicilia. “A seguito dello speronamento – ricostruisce il Gip accogliendo le tesi della procura – e’ derivato l’affondamento del peschereccio e la morte di Vito, Matteo e Giuseppe Lo Iacono. In seguito all’impatto, sebbene il personale (in plancia, ndr) abbia avuto contezza di anomalie nulla e’ stato fatto per accertare cosa fosse successo, nessun segnale di allarme e’ stato inviato: la petroliera ha proseguito la propria rotta“, si legge nel provvedimento di custodia cautelare, dal quale emerge un comportamento della petroliera simile a quello dei pirati della strada.
La collisione tra la petroliera e il peschereccio avvenne tra le 23.03 e le 23:04 del 12 maggio, a 123 miglia a nord di Capo San Vito. Essa “e’ riconducibile – si legge ancora – al comportamento negligente e imprudente, in violazione del regolamento Internazionale per prevenire gli abbordi in mare e delle procedure di bordo, del personale di plancia”. Altrettanto grave e’ l’omesso controllo. Scrive il gip: “Le impostazioni del radar e la disattivazione degli allarmi inducono a ritenere che il Comandante o non abbia fatto alcun accesso alla plancia di comando fin dall’imbrunire o che – annota il giudice – vi abbia svolto un controllo del tutto superficiale”.
Il 14 maggio il primo ufficiale, appena imbarcato sulla Vulcanello, trova a bordo un ispettore della societa’ armatrice e la Guardia costiera che indagava sul sinistro. “Qualche giorno dopo – ha detto il primo ufficiale a verbale – il comandante decise e ordino’ al nostromo di far riprendere il colore blu del fuori bordo la parte da sotto il castello di prua fino alla zona poppiera quindi circa 70 metri di murata per un’altezza di circa 6 metri andando dalla ringhiera verso il basso, sia dritta che a sinistra .. “.
L’ultima comunicazione tra il Nuova Iside e i familiari era avvenuta la sera del 12, inviando su Whatsapp la posizione in cui si trovava l’imbarcazione, al largo di San Vito Lo Capo. Il peschereccio, lungo 20 metri, era stato acquistato due anni prima e quindi in ottime condizioni. Il corpo di Giuseppe Lo Iacono, 33 anni, padre di 4 figli, fu recuperato il 14 maggio; quello di Matteo Lo Iacono, 53 anni, due giorni dopo, avvistato da un traghetto in viaggio sulla tratta Ustica- Palermo, a circa 14 miglia a nord di Capo Gallo.
L’ipotesi di uno speronamento viene avanzata prima di altri dalle famiglie delle vittime. “Dalle informazioni in nostro possesso non escludiamo che il peschereccio possa essere stato speronato da un altro natante”, afferma l’avvocato Aldo Ruffino. “Alle 21.45 di martedi’ (il 12 maggio, ndr) – e’ la sua ricostruzione – il peschereccio invio’ un segnale alla capitaneria attraverso il Blue Box, il successivo sarebbe dovuto partire due ore dopo, alle 23.45, ma cosi’ non e’ stato. Fra l’altro, alle 22 Giuseppe Lo Iacono ha sentito telefonicamente la famiglia e non sembrava preoccupato”.
I tre marinai ricevettero messaggi su Whatsapp fino alle 22 circa, come si evince dalla doppia spunta che invece manca nei messaggi delle 00.13. Quella sera “le condizioni meteo non erano avverse e comunque non c’erano i presupposti per fare affondare un peschereccio lungo 16 metri. La situazione peggiorera’ solo alle 7 del mattino di mercoledi’”.
Il 10 giugno la procura della Repubblica di Palermo dispone il sequestro della scatola nera di una nave cargo che incrociava sulla stessa rotta del “Nuova Iside”. La “Vulcanello” – della societa’ armatrice Augustadue, gruppo Mednav – viene utilizzata per il trasporto di carburante. Le indagini, affidate alla Guardia costiera, sono coordinate dal procuratore aggiunto Ennio Petrigni e dal sostituto Vincenzo Amico.
L’11 giugno il corpo di Vito Lo Iacono viene trovato sulle coste della Calabria, ma ufficialmente l’identita’ del cadavere venne comunicata alle famiglie il 9 dicembre. “E’ incredibile. Sono passati 5 mesi dal ritrovamento del corpo in Calabria e due da quando la madre di Vito ha fornito il campione di Dna alla Procura di Palmi. Tanto tempo di silenzio e di angoscia che abbiamo dovuto spezzare chiedendo formalmente notizie il 23 novembre”, disse quel giorno all’AGI Ruffino.
Il riscontro – l’incrocio tra il campione di Dna prelevato dal cadavere e quelli forniti dalla madre e dalla sorella del comandante – fu depositato dalla Procura di Palmi il 23 novembre: lo stesso giorno in cui Ruffino, per conto di Rossana Cracchiolo (madre di Vito Lo Iacono) aveva depositato una istanza proprio per conoscere l’esito dell’esame.
Il 15 giugno la Procura dispone il sequestro della petroliera Vulcanello: sullo scafo della nave andava effettuato un accertamento irripetibile per verificare se avesse o meno speronato il peschereccio nuova Iside. Vengono indagate quattro persone: due ufficiali, il comandante della ‘Vulcanello’ e l’armatore della societa’ “Augustadue”. Venne avanzata l’ipotesi di una riverniciatura recente della nave, che oggi sembra trovare riscontri.
Il 19 giugno viene annunciato che il relitto del peschereccio e’ stato individuato, dalla Marina Militare, a 1360 metri di profondita’, a 30 miglia dalla costa palermitana.
Il recupero del relitto non e’ stato ancora deciso, come invece chiedono da tempo i parenti delle vittime del naufragio.
E’ il 23 giugno – a indagini gia’ avviate – che viene captata la conversazione telefonica tra il nostromo e un membro dell’equipaggio in cui il primo “critica” il comandante per la “minchiata di far ripitturare la nave”. “Tale condotta manifesta, invero – sostiene il gip, che accoglie la tesi di Petrigni e Amico – la volonta’ da parte della societa’ armatrice di occultare eventuali segni della collisione dopo essere venuti a conoscenza del procedimento penale a seguito del sequestro (il 21 maggio, ndr) del vdr e della documentazione di bordo”.
“Si configura inoltre il reato di favoreggiamento personale perche’ – sostiene il gip – attraverso l’attivita’ di sovra-pitturazione dello scafo della petroliera l’armatore, a conoscenza dell’avvenuto naufragio del Nuova Iside e delle prime attivita’ di indagine poste in essere nei confronti della nave Vulcanello, ha posto in essere una condotta ausiliatrice nei confronti dei membri dell’equipaggio idonea a frapporre un obiettivo ostacolo allo svolgimento delle indagini Si evince che Brullo – prosegue il gip – era perfettamente a conoscenza dell’attivita’ posta in essere e, dunque, in virtu’ del suo ruolo apicale ha offerto un sicuro contributo di carattere morale quanto meno in termini di rafforzamento del proposito criminoso“.
Vedi: "La petroliera affondò il peschereccio e proseguì per la propria rotta"
Fonte: cronaca agi