Il 28 ottobre il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha condiviso un tweet che poi ha fissato sulla sua bacheca. C’è scritto: “Indossa la mascherina. Mantieni la distanza. Lava spesso le mani. Seguiamo queste tre semplici regole. Questa battaglia si vince con l’impegno di tutti”. Il tweet è stato condiviso con un’immagine.
Un vademecum visivo con i tre consigli per combattere la seconda ondata dell’epidemia da coronavirus. Tre indicazioni semplici. Tre azioni che ognuno di noi è invitato a compiere per ostacolare la diffusione del Covid-19.
Ma nessuna traccia di Immuni. Nessuna menzione dell’app di contact tracing che solo lo scorso maggio è stata annunciata come uno dei pilastri per combattere la pandemia.
Conte non ha parlato di Immuni in nessuna delle occasioni in cui ha presentato i nuovi dpcm anti-Covid. L’app sembra non interessare più a nessuno. È gradualmente sparita dalla strategia comunicativa dell’esecutivo, impegnato a combattere la nuova ondata di contagi che ha risvegliato bruscamente un’Italia ancora intorpidita da un’estate relativamente tranquilla. Sembra che l’eclissi di Immuni ne certifichi in qualche modo il fallimento. Perché qualcosa non ha funzionato: o per volontà, o per errore.
I NUMERI DI IMMUNI
Scelta il 19 aprile scorso tra 319 progetti analizzati da 79 membri di una task force, Immuni è stata lanciata in via sperimentale in 7 regioni lo scorso giugno. Dopo quindici giorni è stata estesa a tutta Italia. A cinque mesi dal lancio (dati al 31 ottobre) è stata scaricata 9.505.834 volte (circa il 12% degli smartphone in Italia, esclusi quelli in possesso da minori di 14 anni), ha raccolto i dati di 1.926 utenti positivi e inviato 49.916 notifiche.
Numeri che sembrano una goccia nel mare delle decine di migliaia di contagi che ogni giorno si registrano in Italia (648mila i totali).
Il 30 ottobre, ultimo dato disponibile, 180 utenti positivi al coronavirus sono riusciti a caricare i propri dati sull’app per inviare le notifiche. Sempre il 30 ottobre, i contagiati in Italia sono stati 31.079.
Ora che ce ne sarebbe più bisogno, Immuni è diventata un oggetto misterioso. Più argomento di discussione politica – e da social – che parte essenziale della strategia del governo. Una meteora, proprio ora che avrebbe potuto risplendere di luce propria come nelle migliori intenzioni iniziali del governo. Proprio ora che, per ammissione dei virologi, i contagi, in Italia, sono fuori controllo.
IL PARAGONE CON LA GERMANIA
Per capire i numeri di Immuni, viene utile un paragone con la Germania. Lì il governo federale ha sviluppato e adottato l’app di contact tracing CoronaWarn. Secondo gli ultimi dati disponibili (23 ottobre) l’app è stata scaricata 20,3 milioni di volte. Più del doppio di Immuni. Ancora più indicativo però il dato sui tamponi: tramite l’app tedesca sono stati fatti e trasmessi i risultati di 2.092.722 tamponi.
Questo dato non è condiviso dal governo italiano, ma a fronte delle 49mila notifiche inviate è presumibile che siano molti di meno quelli fatti in Italia su indicazione di Immuni. Basta questo, forse, a fotografare lo ‘spread’ tra Italia e Germania, dove ad oggi i casi di coronvirus sono 518mila.
COSA NON HA FUNZIONATO?
Cosa non ha funzionato, quindi? L’app è nata da una collaborazione tra ministero dell’Innovazione e quello della Salute. Il primo si è occupato di realizzare l’app. Il secondo di usarla sul territorio a supporto del contact tracing delle Asl. Il Mid ha affidato lo sviluppo dell’app a una società milanese, Bending Spoons, che ha lavorato gratis e ceduto ogni diritto al governo. Oggi la gestione è in mano alle pubbliche Sogei e PagoPa.
Il dicastero guidato da Paola Pisano ha scelto quella che per gli esperti della sua task force era il prodotto migliore, poi legato a un protocollo internazionale: quello nato da un’inedita collaborazione tra Apple e Google. Al netto di qualche prevedibile bug, l’app è sembrata solida dal punto di vista tecnico. Ce n’è ancora uno irrisolto, e lo ha rivelato un’inchiesta di Wired: ad alcuni utenti che l’hanno scaricata su iPhone le notifiche di esposizione non arrivano e per accorgersi se sono stati in contatto con un contagiato, devono entrare nell’app. Un problema non da poco, ma pare in via di risoluzione.
IL MONDO REALE: IL RUOLO DELLE ASL
Ma se tecnologia e protocolli tutto sommato sembrano aver assolto al compito richiesto, il banco di prova che ha bocciato Immuni è quello del ‘mondo reale’, fatto di Asl, rapporto stato-regioni e file dai medici di base.
Quando i contagi hanno cominciato a salire in maniera vorticosa, una buona parte dei contagiati – in teoria – aveva l’app. Fare un calcolo preciso è impossibile, ma una rapida proporzione tra contagi, popolazione italiana, download e notifiche suggerisce che almeno 50mila contagiati avrebbero dovuto avere l’app sullo smartphone. Circa trenta volte di più di quelli che hanno poi di fatto segnalato la loro positività sull’app consentendo l’invio delle notifiche.
Perché questa sproporzione? Difficile dirlo con certezza, ma nelle ultime settimane sono state pubblicate decine, centinaia di interviste a pazienti che avevano Immuni ma non sono riusciti a caricare i codici che avrebbero permesso l’invio delle notifiche. Le Asl sono sembrate spesso impreparate. Molti operatori non sapevano come procedere dal punto di vista tecnico. I medici di base pure.
COSA SUCCEDE SE SI È POSITIVI, CON L’APP
Per fare in modo che partano le notifiche, chi ha scaricato Immuni deve prima sviluppare i sintomi, poi fare un tampone, riceverne il risultato, contattare il proprio medico curante, la Asl, e aspettare che un operatore sanitario carichi i codici sui server centrale. Da lì partono le notifiche attraverso i codici scambiati via bluetooth dai dispositivi.
Questa catena non ha sempre funzionato. Come non ha funzionato quella di chi ha ricevuto una notifica di esposizione, che da protocollo dovrebbe: contattare telefonicamente il proprio medico di base, aspettare indicazioni da lui o dalla Asl di competenza, rimanere in casa per 14 giorni nella speranza che in quel lasso di tempo gli venga fatto una tampone. Perché nella circolare del ministero non vengono mai menzionati i tamponi in relazione alle notifiche dell’app.
In questo quadro, la voce è unanime: ciò che è mancato è un apparato di tracciatori in grado di ricevere e analizzare le segnalazioni, e agire di conseguenza. Senza questo tassello, Immuni è un’arma spuntata. Senza operatori (contact tracer) che sappiano cosa fare, come attivare agli utenti la notifica via app, e senza tamponi immediati, coi dati raccolti ci si può fare poco.
È come se su Immuni si fosse inceppata la cinghia di trasmissione tra governo centrale e regioni (le titolari delle aziende sanitarie locali). Nel decreto Ristori il ministero della Salute ha provato a metterci una pezza istituendo un call center nazionale di supporto a chi ha ricevuto notifiche di esposizione da Immuni. Una mossa che però sembra arrivare tardi. Insieme a quella di obbligare le Asl a caricare i codici dei positivi.
UNA APP NATA TRA LE POLEMICHE
Ma dietro l’inciampo della realtà, c’è anche quello della comunicazione, che in politica alla realtà dà forma. Immuni è nata tra le polemiche. Già a marzo, mentre l’Italia continuava perlopiù ad essere ignara dell’esistenza delle app di contact tracing, alcuni membri della task force del Mid hanno lasciato il tavolo contestando la decisione presa. Arrivano le prime fratture, tra le quali si è inserita abilmente dall’opposizione.
Prima ancora del suo lancio, su Immuni si erano espressi i principali leader del centrodestra, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, che hanno accusato l’app di tracciare i cittadini italiani e raccogliere dati sensibili processabili da privati, o potenze straniere. L’app c’era già quando Meloni, il 24 giugno, invita agli italiani a non scaricarla. Subito dopo Salvini rivendica la scelta di non averla sul proprio smartphone.
Arrivano anche i dubbi di Forza Italia con alcuni parlamentari che temono che dietro Immuni ci sia un “cavallo di Troia di Pechino”.
Ma dubbi vengono espressi da sindaci, come quello di Napoli, Luigi De Magistris che ci tiene a precisare subito di non avere alcuna intenzione di scaricare l’app, e da governatori come il veneto, Luca Zaia che dà a Immuni il benvenuto il 6 giugno, il giorno stesso del lancio: “Non la scarico”. A poco sono servite le rassicurazioni arrivate dal garante della privacy dopo le indagini svolte sul funzionamento dell’app. Sull’app si è creato da subito un alone di mistero, e timore.
IL LANCIO, I DISTINGUO
Poi l’app arriva. E il premier si spende in prima persona. Conte l’11 ne annuncia il lancio in occasione del dpcm dove si sanciva la ripresa di alcune attività dopo il lockdown di primavera: “È sicura, scaricatela”. A fine giugno lo avranno fatto 4 milioni di Italiani. Sui dati dei download però arrivano i primi segnali critici. Il primo è quello del commissario straordinario all’emergenza sanitaria, Domenico Arcuri: “L’app per ora non ha raggiunto il target immaginato”. Gli fa eco la società che ha costruito l’app per il governo: “4 milioni sono insufficienti”.
Il 23 luglio, mentre l’Italia affoga le sue paure da coronavirus nell’ambrosia dell’estate, Pisano durante un question time al Senato spiega: “Non ho mai detto che l’app sia la soluzione, è parte di una strategia”.
Dal ministero della Salute arrivano i primi segnali di insofferenza. Il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, intervistato il 31 agosto definisce l’app un “flop”, invitando il governo a fare di più. Sette giorni dopo il ministro della Salute, Roberto Speranza, parla ancora di flop, ma punta il dito sulla comunicazione “sbagliata fin dall’inizio”.
Il Paese è ancora intorpidito dalle ferie che già i primi virologi consiglieri del governo avvertono: tra quindici giorni arriverà la seconda ondata della pandemia. È quello che succederà.
NUOVO VIGORE, POI LA SECONDA ONDATA
Seguiranno settimane in cui l’esecutivo sembra spingere su Immuni. L’operatività dell’app, che in un primo momento vedeva come termine ultimo il 31 dicembre 2020, viene estesa di un anno. I download arrivano a 8 milioni. Aumentano gli inviti a scaricarla. Chiedono a tutti di scaricarla, tra gli altri, il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano; quello per gli Affari regionali, Francesco Boccia; il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Siamo ai primi di ottobre quando Conte parla di “obbligo morale scaricare Immuni”. Qualche giorno dopo il capo politico del Movimento 5 Stelle, Vito Crimi, chiede che l’app sia resa obbligatoria. E l’ipotesi sembra farsi strada a Palazzo Chigi. È lo zenit di Immuni, ma durerà poco. Perché le indicazioni che il Garante della Privacy ha dato a giugno sono chiare e vengono subito ribadite dallo stesso: non si può fare. Obbligo morale non può essere un obbligo di download.
Dalla metà di ottobre i casi di coronavirus cominciano a crescere esponenzialmente. 5, 10, 15, 30 mila contagi al giorno. Le notifiche della app in proporzione restano poca cosa. Immuni arranca. Comincia ad essere additata come strumento inutile. Conte non la cita in nessuna delle sue ultime conferenze stampa in cui ha spiegato le misure restrittive e anti contagio a cui sarebbe andato incontro il nostro Paese.
POSSIBILE INVERTIRE LA ROTTA?
Intanto si moltiplicano le inchieste su cosa avviene quando si è positivi al Covid-19 e si ha l’app. Un servizio de Le Iene il 20 ottobre racconta le difficoltà di avere indicazioni dalle Asl in caso di positività al tampone e volontà di inviare le notifiche di esposizione tramite app. Interviene Sileri, che il giorno dopo annuncia controlli sulle aziende sanitarie locali. Wired pubblica una serie di articoli ben informati sullo stesso tema: il risultato è lo stesso.
Quello che viene fatto a monte dal governo centrale, nella valle delle regioni si perde in rivoli di incertezza, impreparazione e affanno. Nessuno sembra avere la soluzione in tasca, al momento. Il decreto Ristori proverà a invertire la rotta affiancando il call center all’obbligo per le Asl di caricare i dati sui server.
Non è detto che sia una mossa tardiva, ma con un sistema sanitario in affanno l’app di contact tracing per molti rischia di essere oggi un ostacolo in più. Troppi contagi, troppi tamponi, troppo lavoro. Se così fosse, sarebbe davvero difficile ovviare alla parabola di Immuni.
Vedi: La parabola di Immuni
Fonte: economia agi