La pandemia e la scuola, vivere la didattica a distanza


Valerio Megara

Vivere come studenti da remoto, alzarsi la mattina, aprire un link o piattaforma e trovarsi post di insegnanti che tra mappe concettuali, test guidati, quadri sinottici o più tradizionali Pdf, con eserciziari tentano di arginare quella situazione che è il nostro quotidiano: il virus.

Il virus non è solo un problema sanitario, lo è ma è di più ancora un modello di ricostruzione dei rapporti inter-soggettivi, per adolescenti che ritmano la loro esistenza quotidiana su cicli telematici, reazioni immediate, veicolando le loro apprensioni, disagi, rare curiosità sul web con egida ministeriale. E se anche i Dirigenti indubbiamente si prodigano, anche attraverso meritorie campagne di screening di concerto con Asl, oltre il puntuale protocollo già avviato, con i periodi di quarantena e doppio tampone, indubbiamente la quotidianità scolastica si frantuma, dopo una pausa natalizia ai sensi dell’ultimo DPCM la frequenza riprenderà con una quota di Dad pari al 50% solo per le superiori a partire non più dal 7 ma dall’11 Gennaio.

Inevitabile scelta, per mediare non solo dentro la maggioranza di governo, ma anche con i “governatori”  regionali che procedono tra cautele e coordinamento con input ministeriali – De Luca  dispone rientro graduale dall’11, Veneto e Friuli parlano di riapertura per il 31, soprattutto in relazione al paventato innalzamento dell’indice di contagio.

Il trionfo della cautela  è indubbio, ma andiamo verso la chiusura del quadrimestre più anomalo del secondo dopoguerra, con inevitabili ricadute sia in qualità e tempo di acculturazione che di autogestione. Si dovranno valorizzare tempi asincroni di recupero per le prevedibili carenze nelle consegne o per rafforzare approcci di studio non proprio coerenti, in una “cibernetica” del controllo spesso aleatoria.

È emersa la criticità strutturale della scuola italiana, dove si delineano due partiti. I tradizionalisti, con il loro bagaglio di “adattamento” encomiabile, gli “innovatori”, che vedono nuovi orizzonti nella didattica telematica. Se fosse realmente pervasiva, potrebbe anche palesarsi liberatoria, includente, per quelle fasce di ragazzi che mal reggono la disciplina in classe. Forti di una sorta di adattamento cooperativo, gli insegnanti, gli alunni, le famiglie potrebbero incontrasi con minor fatica, in virtù dei patti di corresponsabilità sanciti nelle programmazioni triennali. Anche la ministra Azzolina tenta una non agevole sortita in maggioranza, evidenziando il basso indice di contagio nelle aule.

Ma, al di là delle polemiche per procedimenti disciplinari a carico di un dirigente che ha criticato su Facebook le politiche azzoliniane, la verità sta in mezzo. Cosa significa la scuola, oggi? Non è facile dirlo, se non con le parole di Don Milani: “La povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo. Si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale” (da “Esperienze pastorali”). Profetiche parole, per gli operatori scolastici che devono faticosamente non solo abbattere barriere strutturali, ma soprattutto mentali per “valorizzare” una inclusione che ponga in rapporto le fasce più deboli (i diversamente abili, i portatori di bisogni educativi speciali) con le eccellenze, perché la comunità telematica rimanga una comunità di crescita, riflessione e dialogo.