La nuova latitanza di Graziano Mesina, 24 giorni in fuga


 Graziano Mesina, l’ex capo del banditismo sardo, è ancora una volta latitante. L’ha reso ufficiale con un decreto del 3 luglio scorso la Corte d’appello di Cagliari. Il giorno prima Mesina si era reso irreperibile, quando i militari della stazione di Orgosolo sono andati a notificargli nella sua residenza, a casa di una sorella. la conferma, in Cassazione, della sentenza di condanna a 30 anni, per associazione per  delinquere finalizzata al traffico di droga. Sarebbe dovuto tornare in cella, dopo un anno di libertà vigilata, trascorso nel suo paese della Barbagia, per la scadenza dei termini di custodia cautelare.

Una lunga serie di evasioni

L’ergastolano ha scelto la latitanza, nonostante i 78 anni e qualche acciacco. Non diversamente dal 1960, quando forzò la camera di sicurezza della caserma di Orgosolo, dove era stato portato perché trovato a sparare ai lampioni nella via pubblica.
Latitante anche nel 1962: ricoverato, da detenuto, nel vecchio ospedale di Nuoro, aggiro’ il controllo del carabiniere di guardia e, attraverso il tubo dell’acqua, guadagnò il cortile e la libertà. Mesina scappò, nel 1966, anche dal carcere San Sebastiano di Sassari, mettendo in subbuglio la città del Nord Sardegna.
Nel carcere di Lecce, nel 1976, fu protagonista ancora di un’evasione, in compagnia di un esponente del terrorismo rosso. Tanta e tale è la determinazione di Mesina, che pur di sottrarsi alle ricerche si nascose tra le fronde di un albero, non lontano dal penitenziario pugliese, e dove passò una notte e un giorno interi. Vi si allontanò quando i controlli si erano allentati.

I sequestri di persona

 La prima evasione non ebbe un seguito quanto a fatti e altri reati. Non cosi dopo la fuga dall’ospedale. Nello stesso anno, il 1962, Mesina in un bar del paese uccise Andrea Muscau, la cui famiglia, secondo il latitante, era responsabile dell’omicidio di suo fratello. L’evasione da Sassari – travestito da prete – la compì assieme al legionario spagnolo Miguel Atienza. Alla coppia furono imputati una serie di sequestri di persona, tra i quali quelli di Campus, Petretto, Canetto e Papandrea. L’anno successivo alla fuga dal penitenziario di Lecce, il 1977, fu segnato, tra gli altri, dal sequestro dell’imprenditore calzaturiero Botticelli, nelle Marche. Mesina fu ritenuto uno dei responsabili. Fatti per i quali arrivarono a grappoli le condanne, tanto da costargli, per la prima volta in assoluto, la pena dell’ergastolo per cumulo di pene. La grazia del presidente della Repubblica, nel 2004, che l’aveva cancellato, è stata annullata proprio ora, dopo l’ultima condanna per traffico di droga. Mesina per lo Stato è di nuovo un ergastolano e soprattutto un latitante. Come negli anni ’60, quando sulla sua testa pendeva una taglia da 10 milioni di lire.

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Fonte: cronaca agi