La morte di Solazzo a Capo Verde è ancora un mistero. Ma qualcosa si muove nelle indagini


AGI – Quindici mesi senza David. Davanti agli occhi le immagini del suo sangue ovunque, in bagno, sulle scale, nella stanza dove abitava a Capo Verde. Quindici mesi senza giustizia, senza risposte, senza certezze su come ha perso la vita, nel Paese in cui era andato a svolgere una missione in aiuto alla popolazione locale.

E’ ancora un mistero la morte del giovane fiorentino, David Solazzo, avvenuta il primo maggio 2019. E a distanza di oltre un anno la sua famiglia esprime “sconcerto e rabbia per il silenzio che avvolge la sua morte”. Un silenzio che rimproverano “alle istituzioni italiane e a quelle capoverdiane, alla polizia, alle autorità giudiziarie”.

Eppure qualcosa si muove. Secondo quanto può riferire l’AGI, proprio nelle ultime settimane, alcuni documenti richiesti dalla procura di Roma alle autorità di Capo Verde sono stati inviati. E  dunque, anche se sotto traccia, nelle indagini coordinate dal pm di Roma, Erminio Amelio, qualche piccolo passo avanti si sta facendo. La delicatezza del caso implica che ogni movimento, anche piccolo, sia coperto da segreto istruttorio, per non pregiudicare l’esito delle indagini.

 

La sorella di David, Alessandra: “Non vivo più”

A raccontare all’AGI la storia di David è la sorella Alessandra, che non si dà pace: “Ho dovuto lasciare il mio lavoro in Africa, alle Nazioni Unite, perché non sopportavo di vivere nello stesso continente in cui è morto in quel modo mio fratello. I miei genitori hanno dovuto trasferirsi a Gran Canaria perché la loro esistenza era diventata troppo pesante”.

Trentuno anni, esperto in studi internazionali con esperienza in Angola, David era partito per l’arcipelago con l’intenzione di aiutare lo sviluppo il turismo nell’isola di Fogo, assieme al Cospe, una importante ong con progetti in 25 Paesi.

 

La morte e il ritrovamento del corpo: il dramma della famiglia

Nella notte del primo maggio dell’anno scorso David è stato trovato nell’appartamento dove alloggiava, riverso in una pozza di sangue: “Le tracce ematiche erano ovunque – racconta la sorella, che ci ha mostrato alcune drammatiche fotografie – dall’androne della residenza, alle scale”, dove gli schizzi sporcavano tutte le pareti, fino al divano e infine in bagno. Eppure David, che clinicamente è stato dichiarato morto per dissanguamento “non ha chiamato aiuto”.

Ma questo è solo uno dei motivi per cui la sua famiglia fin da subito non ha “creduto alla versione del tragico incidente domestico”, con cui l’autorità giudiziaria di Capo Verde ha liquidato la sua morte: “L’ipotesi a cui si sono fermati è quella di una ferita provocata da un pugno che avrebbe tirato contro il vetro dell’abitazione per entrare”, perché era rimasto fuori. “Ma mio fratello aveva con sé le chiavi e la finestra condominiale è stata rotta dall’interno verso l’esterno”, si arrovella ancora Alessandra. Le ferite trovate sul corpo potrebbero essere compatibili con le schegge di vetro, ma non con il mare di sangue sparso nell’appartamento.

Né con due particolari: “Sulle scale non c’era nemmeno un’impronta delle sue scarpe e il pugno alla finestra è stato dato dall’interno verso l’esterno. Inoltre è stato sferrato in un punto alto rispetto alla serratura, e questo non coincide con l’ipotesi che David volesse entrare in casa senza chiavi raggiungendo la maniglia attraverso il vetro. Soprattutto il vetro è stato rotto dall’interno verso l’esterno, in un punto alla destra della porta d’ingresso in cui lui non avrebbe avuto ragione di trovarsi perché non era sul tragitto per andare verso le scale che conducono all’appartamento. In più è stato provato che David aveva le chiavi, che sono state trovate nella serratura della porta di casa sua, al secondo piano”.

Una scena del delitto così impressionante, vista attraverso un video che la famiglia ha girato nell’immediatezza, ha portato il sostituto procuratore di Roma, Erminio Amelio, ad aprire un’inchiesta per omicidio volontario.

Quella stessa scena invece non ha indotto la procuratrice di Sao Felipe, a sospettare un gesto violento. La pm, Silvia Soares, infatti, nelle cui mani era e rimane l’indagine, quella notte, non fece arrivare sul posto la polizia scientifica né prolungò i sigilli alla casa per approfondire i rilievi: “Dopo 48 ore lo stabile è stato dissequestrato, senza motivo. A operare sulla scena sono stati semplici agenti di polizia locale, senza alcuna specializzazione, né polizia giudiziaria, né scientifica”, non si dà pace Alessandra.

“Ma la procura capoverdiana smentisce se stessa – sostiene ancora la ragazza – dopo pochi minuti dal ritrovamento del corpo il caso sembrava risolto come un incidente. Ora è passato oltre un anno e le indagini non risultano ancora chiuse”.

Lo stallo, peraltro, impedisce “anche all’avvocato che abbiamo delegato sul posto di chiedere un supplemento di investigazioni”, spiega.

Suono tanti i perché di quella notte su cui la famiglia si interroga: “David non aveva nemici, lavorava nel campo della cooperazione internazionale, ma su progetti che non coinvolgevano grandi attori politici. Sappiamo soltanto che nel periodo in cui è morto, nell’isola di Fogo, era in corso una festa di paese, che attira persone anche dal resto dell’arcipelago.

Ogni anno in quell’occasione furti e aggressioni aumentano: che qualcuno lo stesse aspettando dentro, magari per derubarlo, e che la situazione sia poi sfuggita di mano?”, è il quesito che resta aperto. Come tanti altri: “Mi sembra assurdo doverne parlare ancora a distanza di quindici mesi, è uno strazio continuo”, sospira Alessandra.

 

L’appello alle istituzioni

Quello che resta ora è rivolgersi alle istituzioni. “Sono stata a Capo Verde, accompagnata sia da personale dell’ambasciata italiana a Dakar, sia dai rappresentanti dell’Ue nell’area. Il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ci ha aiutato anche per il viaggio”.

L’appello adesso è allo Stato nelle sue sfere più alte. In occasione dell’anniversario della morte, il primo maggio 2020, la famiglia ha inviato una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di cui l’AGI ha potuto leggere il testo integrale:  “La versione delle fonti locali non trova fondamento. Se fosse davvero un incidente, perché dopo un anno la Procura di Sao Felipe non ha ancora chiuso l’indagine? – si legge nel -. L’omesso intervento della polizia scientifica e il dissequestro dell’immobile sono due elementi gravissimi”, scrivono poi i familiari, che chiedono “chiarimenti” su ciò che è accaduto quella notte e pretendono “la trasmissione di atti di indagine” all’Italia, come peraltro richiesto con rogatoria dal pm di Roma.

“Non si pensi che il silenzio delle istituzioni capoverdiane possa sopire il nostro dolore e arrestare la nostra ricerca di verità. Dover lottare  per pretendere verità e giustizia rappresenta un ulteriore dolore che si aggiunge quotidianamente a quello del lutto, ma non ci arrenderemo finché non sapremo ciò che realmente è accaduto a David. Lo dobbiamo a noi, ma lo dobbiamo soprattutto a David e a tutti quei giovani che lavorano con dedizione e serietà nell’ambito dello sviluppo sostenibile, ovunque questo li porti ad applicare le loro conoscenze e i loro studi”, conclude la missiva. Al Capo dello Stato la famiglia chiede: “Non ci lasci soli nella ricerca della verità”.

E intanto scorrono le ore e i giorni: “Scriviamo alla Farnesina ad intervalli regolari – racconta ancora Alessandra – contattiamo l’avvocatessa che abbiamo incaricato sul posto e l’ambasciata in Senegal. Anche il ministro degli Esteri di Capo Verde, che ho incontrato, mi ha riferito di avere molto a cuore questa vicenda, e pare abbia inviato una lettera di suo pugno al presidente dello Stato africano per chiedere di aprire una breccia in questo silenzio. Un rallentamento che limita il nostro diritto ad essere cittadini italiani, e a ricevere giustizia”, denunciano.

 

Il mistero del cellulare: il profilo Whatsapp di Davide disattivato

C’è un altro elemento che aggiunge dolore a dolore: sono gli ultimi momenti di David di cui si sono perse le tracce. E’ il suo profilo WhatsApp, che misteriosamente è stato chiuso nel settembre 2019: “Sono stati gli amici di David ad accorgersi che ‘era uscito’ da uno dei gruppi a cui partecipava. Poi ci siamo resi conto che era sparito anche da quello della famiglia”, sostiene Alessandra.

Che insieme al padre Vincenzo, alla madre Daniela Dreoni e alla compagna di David, Marija Tosic, attende anche la restituzione del computer, del cellulare e della macchina fotografica del ragazzo: “Il materiale è ancora in mano agli inquirenti del posto e non ci è mai stato restituito. Quel profilo chiuso e svanito nel nulla…così abbiamo perso informazioni fondamentali, come gli ultimi contatti di mio fratello”.

Su questa azione, che impedisce di risalire agli ultimi messaggi inviati dal cellulare, la Procura capoverdiana, ancora una volta, “non ha dato spiegazioni”.

 

L’avvocato: si rischia un secondo caso Regeni

C’è un ultimo passaggio nella lettera che i genitori di David hanno scritto al Capo dello Stato, che rivela quanto temano che la loro vicenda sia accostata a quella di Giulio Regeni: “Le chiediamo, Presidente, di poter fare tutto quanto nelle Sue possibilità intervenendo anche presso le autorità capoverdiane, affinché la morte di David possa trovare risposte serie e non rimanga un’altra pagina vuota che si aggiunge a quelle di numerosi altri giovani tragicamente scomparsi all’estero, mentre svolgevano il proprio lavoro e le proprie ricerche”.

Il riferimento, poco esplicito, è proprio al ricercatore friulano, ucciso in circostanze ancora misteriose al Cairo, per essere diventato scomodo per le autorità egiziane. L’avara collaborazione del governo d’Egitto nonostante le pressioni delle autorità italiane, “ci insegna molto” e trova un inquietante parallelo anche “nella storia di David”, riflette l’avvocato della famiglia, Giovanni Conticelli, con l’AGI. “Sappiamo che la Procura di Roma ha avviato una rogatoria, ma dalle informazioni in nostro possesso, la documentazione utile non è ancora arrivata: questo stallo va al di là dei normali tempi di indagine. Si rischia un secondo caso Regeni”, avverte.

L’unica soluzione, a questo punto, è un intervento “politico-diplomatico”, perché “è inaccettabile che la morte di un giovane italiano cada così nel dimenticatoio”, sono le dure parole del legale.

 

Le indagini a Capo Verde: l’autopsia

Intanto, frai i pochi documenti che dall’isola sono arrivati a Roma, c’è la relazione dell’autopsia che ha accompagnato il corpo di David, quando è stato riportato in patria. Un documento che l’AGI ha potuto visionare e che è formato da due elementi. Un primo esame autoptico, elaborato in quattro pagine e redatto il primo maggio, subito dopo il ritrovamento del corpo: nel prestampato scritto in portoghese si legge di una morte “accidentale”, per “shock” da perdita ematica: “Che si parli della causa della morte definendola ‘accidentale’ in una relazione da esame autoptico sembra già sospetto”, ricorda l’avvocato. C’è poi la relazione anatomo-patologica vera e propria eseguita a Capo Verde il giorno dopo, il 2 maggio, e firmata dalla dottoressa Johana Alves: anche in questo caso nella relazione si ribadisce la versione della morte “accidentale”. Ma si specifica che letale sarebbe stata la recisione dell’“arteria brachiale”; lesioni sono state riscontrate anche alla vena “cubitale mediana” e alla vena “basilica”. I medici suggeriscono ulteriori indagini nel caso in cui si sospettasse una “morte traumatica”.

Una versione che trova parziale riscontro anche nell’autopsia redatta in Italia a firma del professor Vincenzo Pascali: il decesso in questo caso è ascritto “all’insufficienza cardiorespiratoria” dovuta ad uno “shock emorragico”; l’eziologia vera e propria parla di recisione dei vasi dell’arto superiore destro da “taglienti atipici”: in particolare il sangue sarebbe stato perso dalla “vena radiale”, “dall’arteria brachiale” e dalla “vena basilica mediana”.

E’ proprio quell’aggettivo ‘accidentale’, ripetuto per due volte nei primi documenti di Capo Verde, che ha impedito di avviare accertamenti scientifici anche minimi, come un indagine con il ‘luminol’. Il mezzo di contrasto, ad esempio, avrebbe consentito – secondo la difesa – di aprire un faro “sull’unica impronta presente nell’appartamento, per confrontarla con le scarpe trovate in camera, e, speriamo, rimaste lì”, dopo quella tragica notte.

Già perché – particolare non irrilevante – la famiglia Solazzo “paga ancora l’affitto per quell’appartamento, nella speranza che la scena non venga alterata, per quando la Polizia scientifica, forse, finalmente interverrà”: “L’analisi delle impronte servirebbe per capire se David ha pestato il suo stesso sangue, mentre saliva le scale o in casa, per verificare se ha camminato sulle sue gambe oppure se è stato portato su da qualcun altro”, osserva il legale.

La criminologia insegna che una mancanza di rilievi a monte, a poche ore dal crimine, quasi sempre sortisce, a valle, processi frastagliati e sentenze ‘incomplete’, almeno dal punto di vista delle vittime.

Quindi il supplemento d’indagine che l’avvocato locale incaricato dalla famiglia potrà chiedere quando e se la Procura capoverdiana chiuderà il fascicolo, solo faticosamente potrà capovolgere il risultato.

Ma è un’ultima opportunità a cui comunque non vogliono rinunciare l’avvocato e la famiglia: “La vera svolta, a questo punto, potrebbe essere una testimonianza o una confessione”, ammette il difensore.

 

La procura di Roma: qualcosa si muove

Eppure qualcosa si muove. Proprio alla vigilia delle vacanze, risulta che alcune carte richieste Piazzale Clodio alle autorità africane sono arrivati. Mentre già in una prima fase di apertura del fascicolo, la cooperante italiana responsabile del progetto a cui lavorava David è stata sentita. Audizioni di testimoni sono avvenute anche al tribunale di Capo Verde, ed è forse in quei verbali che potrebbero esserci elementi interessanti per i magistrati italiani. La delicatezza della vicenda rende il segreto istruttorio ancora più importante per non pregiudicare l’esito delle indagini. A questo filo sono appese le speranze della famiglia e della compagna del trentunenne.

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Fonte: cronaca agi