La locomotiva d’Europa si e fermata


Di Francesco Lenzi

La coalizione semaforo che ha governato la Germania dal 2021 è arrivata al capolinea, minata da dissidi sul vincolo costituzionale sul deficit di bilancio. In attesa delle nuove elezioni, il modello economico tedesco mostra tutti i suoi limiti.

Perché è finita la coalizione semaforo

Il 15 novembre 2023 può probabilmente essere considerata la data nella quale è iniziata la fine della coalizione semaforo che dal 2021 è al governo in Germania. In quel giorno, la Corte costituzionale federale tedesca si è pronunciata sulla pratica di utilizzo dei fondi speciali per escludere determinati tipi di spese dal bilancio pubblico, e quindi dal calcolo del deficit federale. Dichiarando nulla la legge di bilancio 2021, con la quale era stato istituito retroattivamente il “fondo speciale per il clima e l’energia” che avrebbe assorbito risorse per circa 60 miliardi di euro originariamente attribuite al contrasto degli effetti economici della pandemia, la Corte ha di fatto fermato l’utilizzo dell’escamotage contabile dei fondi speciali per far quadrare il bilancio pubblico nel rispetto della regola del “freno all’indebitamento”. La regola prevede che il deficit statale non può eccedere lo 0,35 per cento del Pil, tenuto conto del ciclo economico. Così, se nel 2023 il Governo ha sanato il bilancio per l’anno in corso dichiarando retroattivamente lo stato di emergenza eccezionale che permette di derogare alla regola del pareggio di bilancio, per quello del 2024 lo squilibrio di 17 miliardi è stato coperto attraverso un taglio alle spese per la transizione ecologica e un aumento di imposte e accise. A questo risultato si era però arrivati all’ultimo minuto, dopo settimane di trattative e con forti tensioni tra l’ala rigorista guidata dal ministro delle Finanze Christian Lindner, che non voleva assolutamente derogare al pareggio di bilancio, e gli altri membri della coalizione, tra cui il primo ministro Olaf Scholz, che avrebbero preferito un maggiore spazio di manovra. Tensioni che si sono riproposte anche questa volta, quando si è entrati nel vivo delle trattative per la legge di bilancio 2025. Dinanzi a una situazione economica che è già molto grave, con la concreta possibilità che la nuova amministrazione americana possa penalizzare la macchina esportatrice tedesca, l’orientamento del cancelliere era quello di varare una manovra più morbida, dichiarando nuovamente lo stato di emergenza: “l’articolo 115 della legge fondamentale prevede espressamente la possibilità di derogare alle norme costituzionali sul freno al debito in caso di un’emergenza eccezionale. La coalizione aveva già deciso di utilizzare questa disposizione”. Il rigorismo di Lindner ha fatto però saltare il banco. Quello che adesso attende il governo sono due mesi di gestione ordinaria fino al voto di fiducia, che dovrebbe avvenire il prossimo 16 dicembre, e che ne decreterà la fine anticipata, mancando il supporto dei liberali. Si andrà quindi a nuove elezioni, probabilmente il 23 febbraio 2025.

La crisi dell’economia tedesca

L’economia tedesca si appresta così a trascorrere quattro mesi di bagarre elettorale, mentre gli indicatori economici continuano a segnalare una generale difficoltà. Dopo il calo dello 0,3 per cento del prodotto interno lordo registrato nel 2023, anche per quest’anno le ultime previsioni lo indicano in contrazione. Se così fosse, l’economia tedesca sarebbe cresciuta solo dello 0,5 per cento complessivo negli ultimi cinque anni, che rappresenta la crescita più bassa registrata nel post-Covid tra le principali quattro economie della zona euro. La sperata ripresa economica che si doveva manifestare nella seconda parte dell’anno non si sta materializzando: la produzione industriale rimane in calo e l’indice ZEW continua a segnalare un generale pessimismo. Anche nel secondo trimestre i prezzi delle abitazioni sono rilevati in diminuzione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, allungando a sette la serie di trimestri consecutivi di calo. Il modello su cui si è basata l’espansione economica dopo le riforme del 2003, che aveva come pilastri il basso costo dell’energia proveniente dalla Russia e la penetrazione dei mercati esteri (prima quelli europei con l’apertura offerta dalla moneta unica, poi quello americano e cinese), dimostra ormai di aver fatto il suo tempo. L’energia a basso costo da Mosca non arriva più. La competizione sul mercato cinese per le esportazioni tedesche si è fatta molto più agguerrita e la domanda interna dell’economia del dragone non cresce più come prima. Nei primi otto mesi del 2024 le esportazioni tedesche in Cina sono calate del 12,5 per cento, facendo registrare per la prima volta da parecchi anni un saldo commerciale negativo. L’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca preannuncia un generale irrigidimento nelle condizioni di accesso al mercato a stelle e strisce, che colpirà quasi sicuramente anche l’export tedesco, inserito da anni nella “monitoring list” del Tesoro americano, l’elenco dei paesi da seguire con attenzione per il proprio eccessivo surplus commerciale. All’interno del contesto economico internazionale che è emerso dopo la pandemia, il modello di sviluppo tedesco deve essere necessariamente ripensato. Farlo nel rispetto del feticcio del pareggio di bilancio ha portato prima alla nascita di vari dei fondi speciali fuori bilancio e poi, quando non è più stato possibile, alla fine anticipata del governo semaforo. Adesso le attese sono per un ritorno della Cdu alla guida della prima economia europea. Con le ultime dichiarazioni, Friedrich Merz, il leader del partito e probabile nuovo cancelliere, si è detto disponibile a rivedere la regola del freno all’indebitamento per finanziare nuovi investimenti. La riforma però dovrà ottenere il consenso dei due terzi del nuovo parlamento, cosa tutt’altro che scontata.

Fonte: La Voce