Roma, 1 feb. – La letalità del Covid-19 in Italia nella seconda fase dell’epidemia è del 2,4%, più bassa rispetto a quella della prima, durante la quale pero’ l’accessibilità rallentata ai test diagnostici e la diversa distribuzione geografica dei casi potrebbero aver fornito un dato distorto. Il calcolo è contenuto in un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità appena pubblicato, dove sono presentate anche le stime a livello regionale e in riferimento alle diverse fasi dell’epidemia, da cui emerge che le differenze tra regioni appaiono meno evidenti alla luce delle differenze della struttura demografica e della diffusione dell’epidemia nel tempo.
Secondo il report tra i casi confermati diagnosticati fino a ottobre, la percentuale di decessi standardizzata per sesso ed età (il cosiddetto ‘Case Fatality Rate o Cfr) è stata complessivamente del 4,3%, con appunto ampie variazioni nelle diverse fasi dell’epidemia: 6,6% durante la prima fase (febbraio-maggio), 1,5% nella seconda fase (giugno-settembre) e 2,4% tra i casi diagnosticati nel mese di ottobre.
Lo studio è stato condotto utilizzando il database dei casi Covid-19 confermati con test molecolare e notificati al sistema di sorveglianza da inizio epidemia (20 febbraio 2020) al 31 Ottobre 2020 dalle regioni/PA.
I criteri del conteggio
In particolare, sono stati conteggiati i decessi avvenuti entro 30 giorni dalla diagnosi, e il Cfr è stato calcolato standardizzando i tassi per tener conto delle differenze regionali nella struttura demografica della casistica. Il Cfr standardizzato presenta una variabilità a livello regionale, con i più alti valori osservati in Lombardia (5,7%) ed Emilia-Romagna (5,0%), mentre i livelli più bassi sono stati osservati in Umbria (2,3%) e Molise (2,4%).
“Nell’interpretare le differenze regionali di Cfr è importante tenere in considerazione la tempistica con cui l’epidemia si è manifestata nei diversi ambiti territoriali. L’epidemia ha colpito prevalentemente l’area settentrionale del Paese durante la prima ondata (febbraio-maggio), per poi estendersi più diffusamente sull’intero territorio nazionale nelle fasi successive – si legge nel documento – Questa disparità nella distribuzione dei casi nel tempo potrebbe spiegare parte delle differenze del Cfr regionale riferite all’intero periodo esaminato“.
Alcune delle differenze regionali che emergono dall’analisi condotta sull’intero periodo (febbraio-ottobre) appaiano infatti meno pronunciate e talvolta invertite quando i Cfr regionali sono confrontati separatamente per ciascuna fase epidemica. I dati disaggregati per sesso, classe di età e fase epidemica, così come analizzati in questo rapporto, non sono disponibili per altri Paesi europei e pertanto non è metodologicamente corretto eseguire un confronto del Cfr per paese. è comunque opportuno notare, spiega l’Iss, che i Cfr standardizzati utilizzando la popolazione europea standard come riferimento sono risultati inferiori a quelli calcolati usando come riferimento la popolazione Italiana residente.
Questo suggerisce che la struttura per età relativamente più anziana della popolazione Italiana possa spiegare in parte le eventuali differenze con gli altri Paesi.
Fonte: cronaca agi