La lenta morte dei pescatori


Il prezzo del gasolio per la navigazione è quasi raddoppiato in pochi giorni (da 70/80 centesimi al litro dello scorso inverno a 1,20 euro al litro di oggi) e i pescatori scioperano e bloccano i porti in entrata e in uscita, come a Manfredonia dove circa 200 pescherecci hanno creato un vero e proprio muro invalicabile. A farne le spese sono i consumatori: nelle pescherie e nei ristoranti il pescato italiano sta scomparendo oppure ha costi improponibili

di redazione

Si sono fermati e hanno formato una catena davanti ai porti con i loro imbarcazioni. È la rivolta dei pescatori. Una protesta che dura da circa dieci giorni, in alcuni porti italiani i pescatori stanno protestando a causa del caro gasolio. Il prezzo del gasolio per la navigazione, infatti, è quasi raddoppiato in pochi giorni (da 70/80 centesimi al litro dello scorso inverno a 1,20 euro al litro di oggi).
I pescatori preferiscono non uscire in mare aperto perché andrebbero in perdita e a farne le spese sono i consumatori. Nelle pescherie e nei ristoranti il pescato italiano sta scomparendo oppure ha costi improponibili.
Per questo i pescatori scioperano e bloccano i porti in entrata e in uscita, come a Manfredonia dove circa 200 pescherecci hanno creato un vero e proprio muro invalicabile.
Tante le richieste e inutili le richieste rivolte al governo volti ad ottenere dal governo incentivi e sgravi fiscali per tenere il prezzo del gasolio a 70 centesimi al litro e la cassa integrazione per i lavoratori dipendenti. Il governo sembra sordo alle loro richieste. Aumenta così la delusione e la rabbia tra i pescatori, un settore che agonizzante sembra oramai destinata ad una lenta morte.
Comparto poi che deve fare i conti con la concorrenza estera, dal pesce che arriva dalla Grecia, dalla Spagna o dal Nordafrica dove il gasolio costa anche la metà.
Il caro gasolio (prezzo quasi raddoppiato in poche settimane) li costringe a lavorare in perdita.
L’attività, come dicevamo in premessa, è ferma da dieci giorni e diversi ristoranti hanno già tolto i piatti di pesce dai loro menu.
Una protesta «a macchia di leopardo» ma compatta nelle rivendicazioni, alla quale si è sottratta solo la flotta di Mazara del Vallo.
Un pieno costa fino a 4.000 euro. Con queste cifre i pescatori si chiedono quanto pesce si dovrebbe vendere per coprire gli aumenti?
Alcuni pescatori hanno investito ingenti capitali nel rinnovare le proprie imbarcazioni, con nuove tecnologie, che rischiano seriamente il fallimento.
Il settore della pesca in Italia è composto da circa 20 mila addetti, dipendenti di imprese cooperative di pesca, di imprese di pesca industriale nonché di imprese che esercitano attività di acquacoltura, maricoltura e vallicoltura. Pesca e acquacoltura sono attività produttive che fanno parte di una filiera economica più ampia e complessa, attraverso la quale il prodotto ittico compie il percorso dal mare alla tavola dei consumatori.
La pesca nella nostra penisola è un’attività che ha tradizioni antiche, che si intrecciano con la storia della Italia marinara e delle popolazioni che vivono lungo le coste o in prossimità delle acque interne.
La nostra solidarietà ai lavoratori del comparto e dei contribuenti che continuano a pagare un prezzo altissimo.