La Juventus cambia pelle e dice basta alle strisce bianconere


La Juventus starebbe per dire addio alle sue iconiche strisce bianco e nere. L’indiscrezione, ancora non confermata dalla società, parte da alcune foto che sarebbero state scattate all’interno dell’Allianz Stadium con due modelli d’eccezione: Paulo Dybala e Federico Bernardeschi. Le immagini in questione sono state diffuse anche dal famoso e attendibile sito sportivo Footy Headlines sui suoi canali social.

La nuova divisa avrebbe al centro una linea rosa per dividerla simmetricamente in due metà: una completamente bianca e una completamente nera. Solo nella parte delle spalle, e lateralmente nei pantaloncini, verrebbe conservata la classica ripartizione in strisce bicolori. 

 

 

La reazione dei tifosi

Non è la prima volta che la Juve decide di cambiare la propria immagine. Negli anni quelle strisce si sono ristrette e allargate, a volte lasciando spazio a colori molto accesi ed evocativi. Famosa la maglia, tutta blu e con enormi stelle gialle, usata durante la vittoria contro l’Ajax nella finale della Champions League, giocata a Roma, nel 1996. Qualche anno fa, invece, era tornato in auge il rosa, colore che evoca le origini del club. Mai nessuna di queste, però, aveva messo in discussione la divisa indossata per le gare casalinghe. Quella più diffusa e amata dai tifosi che sui social stanno già dando vita a due correnti di pensiero: chi accetta la volontà della società e chi, invece, ricorda quanto sia importante tenere le mani lontane “dalla storia”.

Storia di una maglia

Per molti, soprattutto quelli legati al passato e alle tradizioni del club, non sarà un cambiamento facile da accettare. La nascita della Juventus risale al primo novembre del 1897 grazie alla volontà di alcuni studenti del liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino. Durante i primi anni di attività, i giocatori scesero in campo indossando una livrea rosa, dotata di cravattino e fascia nera alla cintola. Elegantissimi, certo, ma non particolarmente felici del risultato finale. Quel colore tendeva a sbiadire e quelle divise, un po’ scomode, non erano proprio adatte al gioco del pallone. Così i soci fondatori chiesero a John Savage, mezz’ala sinistra inglese e primo straniero-capitano a giocare per la Juve (1901-1902), di fare qualcosa.

Savage era giunto nel nord Italia da Nottingham, una delle culle del calcio. Poteva vantare diversi titoli nobiliari e alcuni interessi mercantili e industriali tra la Gran Bretagna e il nostro Paese. La città, nota per via della foresta di Sherwood, aveva già dato i natali a due squadre. Una era il Forest che giocava con le maglie rosse, Garibaldi Red, in onore del patriota italiano. L’altra era il Notts County, che invece aveva optato per una maglia con le strisce bianconere. Dentro la cassa che arriva a Torino, ordinata da Savage, ci sono quest’ultime (anche se il calciatore britannico pare avesse ordinato quelle dei reds rivali) e che il club adotta. 

 

Non è un caso quindi se, l’8 settembre del 2011, data dell’inaugurazione dell’Allianz Stadium, si affrontano la Juventus e Notts County. Tutto sotto un tripudio di bandiere bianche e nere. Il legame tra i due club, del resto, non si era mai interrotto. Per spiegare quanto, oggi, sia ancora così forte basta ascoltare uno dei cori cantati dagli ultrà inglesi, dedicato proprio alla squadra allenata da Massimiliano Allegri: “It’s just like watching Juve”. “È proprio come vedere giocare la Juve”.

Se questa rinuncia dovesse diventare realtà, saremmo di fronte all’ennesima prova della fine di un’epoca. Quella fatta di bandiere, maglie, gemellaggi e simboli. Il motivo, come ricorda, Marco Nazzari, managing director Europe di Nielsen Sport, sulle pagine della Gazzetta dello Sport, è molto semplice: “La Juve è l’unica società italiana ad aver capito che per restare competitivi bisogna diventare un entertainment company. Si può leggermente cambiare la propria natura, se il mercato lo chiede”. Anche, forse, dicendo addio a un pezzo della propria identità. 

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Fonte: sport agi