La gestione dell’emergenza a Catania? Cause e conseguenze disegnano un management inadeguato. Prima parte


Il 7 maggio 2015 un incendio all’aeroporto Fiumicino distrusse completamente il Terminal 3. In quella occasione si registrò un caos prevedibile e giustificabile, per la gravità e l’estensione dell’incendio, per circa dodici ore. In sintesi, il terminal 3 riprese la sua attività operativa nel giro di 24 ore per l’80% dei banchi del check-in, mentre gli imbarchi ripresero regolarmente dopo sette giorni.

Al lavoro un task forse di 400 addetti impegnati nell’azione di assistenza ed informazione per i passeggeri rimasti bloccati ma anche per le attività di sicurezza e vigilanza, e per ripristinare le condizioni di agibilità.

E a Catania? La società di gestione dell’Aeroporto di Catania ha comunicato il 28 luglio, dopo dieci giorni di passione infernale, che “proseguono regolarmente i lavori di bonifica del Terminal A e quelli per la realizzazione del “piccolo terminal” allestito da parte del personale logistico dell’Aeronautica Militare e che, una volta completato, consentirà di operare 14 voli ogni ora da e per Catania. La struttura prende forma nell’area accanto al Terminal C dove, nel frattempo, sono stati allestiti tre desk aggiuntivi al fine di agevolare le operazioni di check- in. Oggi, intanto, sono 130 i voli operati da e per Catania – 65 arrivi e 65 partenze – e 17.000 i passeggeri transitati dallo scalo etneo. Numero che, sommato ai 6 mila operati dall’aeroporto di Comiso, porta i passeggeri transitati ieri dalla rete aeroportuale della Sicilia orientale a 23 mila. Per quanto riguarda, infine, le navette messe a disposizione da Sac per i passeggeri dirottati sugli altri scali, sono state 495 dal 18 luglio a oggi”.

Tutto bene, ‘madama la marchese?’ Mica tanto se la società civile si è mossa per chiedere le dimissioni dell’amministratore delegato di Sac, Nico Torrisi; qualcosa deve essere andato storto. Sulle cause indaga la magistratura, ma sulla prevenzione e sulla gestione dell’emergenza, i contribuenti, utenti dello scalo di Fontanarossa, si pongono tanti interrogativi, che meritano una risposta.

Per fare chiarezza, abbiamo chiesto un parere a Luigi Crispino, imprenditore con MBA conseguito presso l’ISIDA e internship in una multinazionale USA, prima di diventare imprenditore nel settore aeronautico, decano del trasporto aereo civile italiano e siciliano e già gestore degli aeroporti di Pantelleria e Lampedusa, il quale ci spiega gli errori e le possibili soluzioni al caos aeroportuale catanese.

Presidente Luigi Crispino, una ferita aperta quella di Fontanarossa. In una nota lei sostiene che la gestione dell’emergenza è stata mal gestita. Ci vuole spiegare il perché?

L’incendio nell’aeroporto di Catania è una vicenda kafkiana. La sicurezza aeroportuale prevede che gli incendi non debbano divampare. Ad oggi non si hanno notizie sul piano emergenze di SAC e addirittura si scopre che nell’aggiornamento del piano antincendio, tra i responsabili c’è un ex dipendente deceduto.

L’impressione è che, se il piano antincendi esiste, il personale non ha ricevuto adeguata formazione. Un articolo su Sudpress racconta di dipendenti coinvolti nel piano antincendio a loro insaputa e senza formazione specifica.

Una volta innescato l’incendio, la nuvola di fumo denso e nero fa pensare che i materiali fossero ignifughi. Il problema è dovuto al tempo di reazione e alle azioni conseguenti, piuttosto. Poiché i materiali ignifughi prendono fuoco molto lentamente e solo se sottoposti a sollecitazione prolungata, possiamo dedurre che i sistemi antincendio o non hanno funzionato o non erano adeguati o non c’erano. Questo implica che il vertice aeroportuale non sa cosa sia un piano di emergenza o che non ha ritenuto di prepararsi a dovere al rischio eventuale. Che però si è verificato.

Se così fosse è un j’accuse sconcertante. Ma saranno state prese delle contromisure adeguate?

La reazione all’incendio è anch’essa una storia da raccontare. Per quanto si può ricostruire da filmati e testimonianze, il personale non sapeva cosa fare. Non era chiaro a nessuno dei presenti dove fossero i punti di raccolta, né che, in questi casi, quando è già presente fumo spesso, bisogna evacuare immediatamente le aree interessate. Non è stato fatto. La domanda è: i funzionari Sac, il caposcalo, erano presenti? Cosa hanno fatto? La scelta dei responsabili delle emergenze e i loro turni da chi sono stati decisi? Le decisioni sugli incarichi dipendono in ultima istanza dal board e dall’amministratore delegato, ribadiamo che è lui ad essere unfit e probabilmente l’intero vertice scelto.

Suvvia Presidente, ci saranno stati, oltre a Sac, altri enti preposti a gestire l’emergenza?

Certo, per questo esistono i Vigili del Fuoco. Le autobotti dei vigili del fuoco sarebbero arrivate da Catania Cibali e da Paternò. Una scala era della Polizia. Una sola squadra, con macchina dei Vigili del Fuoco apparteneva alle squadre presenti in aeroporto. L’arrivo da alcuni chilometri di distanza ha prodotto l’aumento dei danni. Perché l’impianto antincendio non è entrato in funzione? Esiste un impianto antincendio? L’impressione è che l’Amministratore Delegato sia stato concentrato nella distribuzione di incarichi, ma non a garantire la sicurezza dell’aeroporto.

Chiariremo dopo che cosa intente con il termine inglese ‘unfit’. Intanto, secondo la sua esperienza possiamo tranquillizzare gli utenti/contribuenti, dopo quanto è successo, sul futuro della sicurezza aeroportuale, ovvero se l’incendio ha intaccato il sistema strutturale?

La struttura portante dell’aeroporto di Catania è in acciaio. Si devono rifare le prove statiche per controllare se l’acciaio è stato intaccato. La cosa è improbabile, ma va controllata. Il blocco delle operazioni aeronautiche nel terminal A fa invece pensare a un danneggiamento grave dei cablaggi della rete informatica aeroportuale, oltre all’esigenza di purificazione dell’aria.

E quindi?

SAC ha una sua rete informatica. SAC ha deciso di collegare alla propria rete informatica anche l’aeroporto di Comiso. Questa scelta pone il problema del rischio sistemico, ovvero della dipendenza di un’impresa dalla fornitura di un servizio in esclusiva da una terza parte. SAC evidentemente riteneva che la propria rete fosse inattaccabile, ma non esistono reti inattaccabili. In tutto il mondo, nel settore aeronautico, chi offre servizi informatizzati garantisce la ridondanza con server in più aree nel globo, proprio per evitare interruzioni del servizio. SAC ha sfidato questa elementare misura che evita il rischio sistemico per tutte le imprese serie. Se per i monitor di informazione la soluzione va cercata con il fornitore, per i check-in sarebbe stato sufficiente chiedere ai vettori di tenere aperte le pagine di check-in online fino a mezz’ora dalla partenza dei voli. Queste cose non le ha fatte nessuno.

Un racconto il suo da girone dantesco. Eppure, l’aeroporto di Catania è un aeroporto internazionale, il più importante del sud Italia. L’attenzione sulla sicurezza dovrebbe essere ai massimi livelli. Non è d’accordo?

L’aeroporto di Catania è categoria ICAO 8. La certificazione dell’aeroporto di Catania è di categoria 8, vale a dire un aeroporto capace di servire aerei come l’A330. Gli aeroporti di questa categoria devono avere servizi antincendio e di sicurezza adeguati al soccorso di aerei di grandi dimensioni. Invece, siamo stati testimoni di una crisi di bassa intensità all’aerostazione catanese, dove l’intero sistema aeroportuale siciliano è saltato, per l’irresponsabilità nella gestione dell’aeroporto di Catania.

Quindi la gestione dell’emergenza non è stata professionale, ma un carpe diem, alla vogliamoci bene. Eppure, ci risulta che i vertici amministrativi si sono precipitati immediatamente sul posto. Cosa potevano e dovevano fare nell’immediatezza?

Non so dove lei tragga questa certezza. Per quanto mi è stato detto, i vertici amministrativi dell’aeroporto erano assenti o hanno tardato il loro arrivo. Il loro dovere sarebbe stato di andare immediatamente all’aeroporto e seguire immediatamente la reazione del sistema aziendale alla crisi. L’unico presente a Fontanarossa pare fosse il sindaco di Catania, Enrico Trantino che ovviamente non poteva fare molto. Avrebbe potuto ovviamente avvalersi dei poteri emergenziali, ma non ha sufficiente cultura in materia per poter agire. Le prime azioni da fare sarebbero consistite nell’approntare un sistema di trasposto e consegna bagagli di emergenza, attivare i banchi check-in nelle aree disponibili, come l’ex area Morandi e il terminal C. Possiamo ricordare che, quando chiuse la stazione Morandi serviva sei milioni di passeggeri l’anno, sia pure con molte difficoltà. La somma dei due terminal (Morandi e terminal C) avrebbe ridotto al minimo le necessità di spostamento dei passeggeri, con un potenziale di 70 voli in partenza al minimo, contro un traffico previsto vicino ai cento voli al giorno. Si poteva e si può fare.

Se quello che lei sostiene è vero, la magistratura farà gli opportuni accertamenti e verifiche; siamo sicuri che prenderà dei provvedimenti. Lei che ne pensa?

La Procura di Catania ha messo sotto sequestro l’area dove si è innescato l’incendio, correttamente. Nelle prime ore dopo il disastro, è stata diffusa l’informazione che non si potesse utilizzare né accedere al terminal A. L’informazione, non si sa da dove partita, era quindi sbagliata e il Procuratore si è sentito in dovere di smentirla. Questa scusa non ha e non ha avuto alcun senso. Il punto centrale della crisi è rappresentato dalle strozzature dovute ai punti di controllo di sicurezza. Nel terminal A di Catania, i punti di controllo non sono praticamente mai superiori a quattro. Con lo spazio a disposizione tra stazione Morandi e terminal C possono essere allestiti otto varchi di controllo per la sicurezza. Sono addirittura di più di quelli disponibili normalmente. Per la presa in carico e la distribuzione dei bagagli sono sufficienti, in emergenza, due nastri trasportatori, attraverso le aperture già esistenti, nella stazione Morandi. SAC ha invece chiuso l’aeroporto, nell’immediatezza, e scaricato il peso del traffico di Catania, primo aeroporto siciliano, su Comiso. L’aeroporto di Comiso però era in condizioni di semi abbandono.

Quindi ritiene che la gestione fallimentare della SAC sia da estendere anche alla SOACO di Comiso, di cui SAC ha il 51% delle quote?

Ammesso che fosse necessario tentare lo spostamento della metà del traffico di Catania su Comiso, perché l’aerostazione era completamente impreparata? Le scale mobili non erano funzionanti. Lo stesso l’ascensore per accedere al secondo piano. I bagni del secondo piano con l’acqua chiusa. Solo quattro prese elettriche per far ricaricare i telefoni ai passeggeri. Bar aperto per dodici ore diurne, tanto che un gruppo di viaggiatori inferociti e senza assistenza, nel corso della prima notte, ha assaltato il bar per ottenere da bere e da mangiare. Ora il bar è aperto h24 e la protezione civile distribuisce acqua. È sufficiente? Ovviamente no. L’aria condizionata non funziona bene e, a singhiozzo, il secondo piano viene chiuso. Restano poi i limiti classici dell’aeroporto: nessuna autonomia gestionale, scarsissimi collegamenti via terra, fabbricati in quantità intorno, ma inutilizzabili e insalubri. Il personale che parla lingua inglese nei primi giorni non c’era.

Perché non sono state approntate squadre di personale qualificato e che sapesse parlare lingue straniere?

A causa del mancato funzionamento della rete informatica di Catania, a Comiso le procedure di imbarco, così come le informazioni disponibili sui monitor, sono state affidate alla voce degli addetti, a fogli volanti e penne per la spunta. Un solo varco per i controlli di sicurezza sui due disponibili. Tutto questo fa pensare a uno scalo abbandonato a sé stesso e riattivabile con grandi difficoltà.

Un racconto il suo da far accapponare la pelle. Ma non si poteva utilizzare Sigonella, come scalo alternativo a Palermo e Trapani?

Il problema di questa crisi non è stata mai la pista aeroportuale. L’idea di usare Sigonella, aeroporto militare, proposta dal Presidente Renato Schifani, è stata infatti un’idea bislacca che ha solo fatto perdere tempo. Il Presidente, se è stato consigliato, ha un buon motivo per eliminare qualcuno dei suoi consulenti.

Ma esiste un Centro Operativo per le Emergenze immediatamente attivato. Cosa non ha funzionato?

In una vera emergenza, si è notato immediatamente che l’ufficio dell’amministratore delegato Domenico Torrisi, posto al quarto piano della torre d’avorio dell’aeroporto, con vista sull’Etna, non può ragionevolmente essere un Centro Operativo per le Emergenze. Quanto meno, la Corte dei conti dovrebbe richiedere i soldi mal spesi per quell’ufficio, considerata la sua scarsa utilità. In caso di incendio, quell’ufficio andrebbe immediatamente evacuato.

La storia continua, Luigi Crispino è un fiume in piena: inarrestabile, ma la sua denuncia è precisa, puntuale e circostanziata.