La gestione degli investimenti nel “never normal”


Inflazione, tensioni geopolitiche, elevati tassi di interesse sono temi tornati prepotentemente in auge dopo la fine del biennio COVID: “vecchi” rischi ai quali se ne sono aggiunti di nuovi, tra cui le sfide legate alle grandi transizioni (ecologica, demografica e digitale) in atto. Come adattare la gestione degli investimenti a uno scenario caratterizzato da continui cambiamenti?

Bruno Bernasconi

Le speranze di un ritorno alla normalità dopo il periodo pandemico si sono dovute presto scontrare con una realtà in continua evoluzione che ha spinto a coniare il termine “never normal” per definire l’epoca in cui siamo e forse vivremo per lungo tempo. Un’espressione che identifica le continue e spesso inattese sfide che ci troviamo ad affrontare e che riassume uno scenario in cui diventa difficile trovare un equilibrio, con la conseguente necessità – anche per gli investitori – di cambiare prospettiva di continuo. L’avvicinarsi della fine del 2023, dopo l’annus horribilis 2022 per i mercati finanziari, rappresenta quindi un momento per tirare le somme e fare previsioni sui prossimi mesi, partendo dalla situazione italiana.

La seconda Legge di Bilancio del governo Meloni, attesa ora al vaglio parlamentare, ha posto al centro il sostegno alle fasce di reddito più basse e alla natalità, come il taglio del cuneo fiscale e i bonus per le famiglie, ma con interventi che, in linea al recente passato, sembrano mancare di una visione di più ampio respiro e che non risolvono le problematiche generate da trend già in atto, tra cui quello demografico. Il tutto denotando anche una scarsa attenzione alla già precaria situazione dei nostri conti pubblici, che certamente ha radici ben più lontane. Eppure, anche questo esecutivo sembra confermare la tendenza a privilegiare misure di breve periodo, spesso storicamente dovute all’instabilità che caratterizza i nostri governi, contribuendo ad alimentare quel clima di incertezza che penalizza il sistema Paese.

La manovra 2024 è di 24 miliardi di euro di cui 16 in deficit, cioè finanziati indebitandosi; i restanti 8 miliardi derivano invece da rimodulazioni di spesa o spending review, ancora una volta non strutturali e per interventi temporanei che quindi necessiteranno di nuove risorse laddove fossero confermate anche per gli anni a venire. Tutti elementi da leggere nel contesto del nostro elevato debito pubblico, che sembra destinato a raggiungere l’impressionante soglia dei 3.000 miliardi di euro, rimandando nuovamente al futuro la risoluzione dei problemi italiani. L’indebitamento, è bene ricordarlo, non è infatti un modo per finanziare la spesa, quanto piuttosto un modo per rimandare il suo finanziamento tramite aumenti delle tasse, tagli dei costi e crescita economica. Le previsioni del MEF indicano che il rapporto debito pubblico/PIL dovrebbe rimanere intorno al 140% fino al 2026, sfidando i precetti del Patto di Stabilità europeo che verrà reintrodotto a partire dal 2024 e che richiede un percorso virtuoso nelle proprie politiche di bilancio.

Il diktat di Bruxelles impone che i Paesi membri dell’Unione offrano garanzia sulla sostenibilità del debito nel medio termine, in un contesto reso ancora più complesso dall’affiorare di alcuni nuovi e vecchi rischi all’interno del panorama internazionale. Il ritorno alla normalità dopo lo shock pandemico è stato infatti bruscamente scosso dal riemergere di tensioni geopolitiche, culminate prima con la guerra ai margini dell’Europa tra Ucraina e Russia e poi con il repentino crollo della situazione in Medio Oriente dello scorso ottobre. Fattori che aumentano l’incertezza sulle prospettive della crescita economica, complicando il compito delle Banche Centrali impegnate nella lotta all’inflazione (altro “vecchio” rischio a cui non eravamo più abituati nel recente passato) tramite un ciclo di inasprimento monetario iniziato nel 2022 che ha messo fine a un’era governata da tassi di interesse prossimi allo zero, quando non addirittura negativi.

Sfide che riportano la memoria alle crisi degli anni Settanta/Ottanta, a cui però si aggiungono alcuni sviluppi relativamente recenti all’interno del panorama globale, come elevati livelli di debito pubblico, scarsità delle risorse naturali, spinte alla deglobalizzazione, la transizione demografica in corso in molte economie avanzate e il cambiamento climatico. Sfide cui la finanza è chiamata a rispondere con soluzioni di investimento in grado, da un lato, di cavalcare i megatrend in atto e, dall’altro, di garantire il giusto profilo di rischio/rendimento.

Come gestire quindi il patrimonio e gli investimenti in un contesto “never normal”? Per gli investitori istituzionali italiani, il 2023 è stato un anno di parziale ripresa che però non ha consentito di recuperare il terreno perso durante un 2022 molto penalizzante dal punto di vista delle performance. L’orizzonte temporale di lungo periodo che caratterizza il risparmio previdenziale, inoltre, deve fare i conti con le tendenze che sembrano destinate a caratterizzare i prossimi dieci anni, rendendo già oggi necessario adattare le proprie scelte di investimento al mutato quadro congiunturale. Per i grandi player italiani si pone quindi più che mai la questione di come affrontare nuovi e vecchi rischi, cogliendo al tempo stesso le opportunità offerte dai numerosi cambiamenti di questo periodo sfidante: temi dei quali si parlerà dunque per condividere strategie e possibili soluzioni di investimento, in occasione del tradizionale Convegno di Fine Anno organizzato da Itinerari Previdenziali, con i rappresentanti di fondi pensione, Casse di previdenza e Fondazioni di origine Bancaria.

Bruno Bernasconi, Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali