La crisi dell’ordine internazionale e la legge del taglione


di Rino Formica

Navighiamo a luci spente. Non si riesce a capire cosa avverrà, sia nel caso vi sia un’interruzione del conflitto, sia nel caso Tel Aviv scelga la strada della soluzione totale attraverso la legge del taglione, che da alcuni viene sostenuta con improvvisazione, azzardo o leggerezza verso quello che può avvenire se ad un atto criminale di terrorismo si rispondesse con lo sterminio dei palestinesi. Prendiamo atto che ci sono sostenitori della soluzione finale, lo abbiamo ascoltato durante il dibattito alla camera. Un dibattito surreale: dietro all’unanime condanna del terrorismo, e ai voti incrociati, da una parte si affermava il diritto allo sterminio di un popolo considerato totalmente responsabile del terrorismo, dall’altra parte si auspicava il ritorno alla mediazione politica e del diritto internazionale. Del resto è una discussione che avviene dopo un avvenimento grande, drammatico. È avvenuto nell’immediato dopo guerra, e nei cinquant’anni che hanno seguito l’accordo di Yalta. La mia generazione, che ha vissuto per intera la fine della Seconda guerra mondiale, sa bene che la costruzione di quell’ordine divise il mondo in due parti, creò muri, fratture, lacerazioni negli stati e tra gli stati, e accese guerre locali. Le due grandi aree in contesa usarono tutti gli strumenti per mantenere l’equilibrio internazionale, fino al ricorso alla criminalità, alle mafie, al terrorismo, alle stragi. Eppure, nonostante tutto, il sistema politico era in condizione di controllare una linea insuperabile, cioè che le controversie vanno risolte non con il ricorso alla forza ma con la fatica dolorosa della mediazione politica e della ricomposizione politica. È questo ciò che è entrato in crisi. Viene a galla la carenza delle grandi forze politiche e delle forze internazionali, non più capaci di organizzare un nuovo e più avanzato ordine politico internazionale. Per farlo avanzare c’è bisogno di una politica di cambiamento. Ma cosa cambiare? A ogni tragica esplosione di irrazionalità si fa subito ricorso alla formula magica: da oggi cambia tutto. Ma cosa cambia, se non c’è alcuna forza in condizione di dire come cambiare, né negli stati né tra gli stati? Dobbiamo constatare l’esaurimento dell’equilibrio che pure si era ottenuto dopo la Seconda guerra mondiale. Se in Medio Oriente si ricorrerà alla legge del taglione per rispondere ai criminali avvenimenti del 7 ottobre in Israele, vorrà dire che tutti i conflitti in corso non hanno soluzioni politiche. Vale ancor più drammaticamente per l’Europa, che si trova immersa nei conflitti potenziali del Mediterraneo, con una guerra russo-ucraina, e ora dinanzi a questo nuovo rischio di escalation. La risposta è l’integrazione politica dell’Europa. Ma l’Italia, debole dal punto di vista internazionale, non è in grado di dare un contributo. Nel nostro paese da trent’anni maggioranze ed opposizioni si alternano secondo un rituale che non è conflitto politico virtuoso. Lo ha spiegato bene Maurizio Landini quando, in piazza, ha denunciato «l’indebolimento della Costituzione e delle regole democratiche». E ha ricordato che il tentativo di indebolimento è venuto sia da destra sia da sinistra. Sia da Berlusconi sia da Renzi. La reazione popolare è stata spontanea, fuori dai partiti, deboli e esauriti a loro volta, ma non è stata in grado di impedire l’indebolimento della democrazia stessa, fiaccata dalle disuguaglianze, che anzi aumentano. Il ricorso formale alle grandi intese è in realtà unità delle nomenclature perdenti. Il rischio è che un cambiamento ci sia, ma in senso reazionario. Il nostro governo, anziché impegnarsi in una ricerca di una soluzione politica, si preoccupa dell’agenda commerciale in Mozambico e Congo. Va riascoltato l’intervento di Giulio Tremonti, irridente e beffardo, che con disprezzo aristocratico e professorale ha parlato del futuro delle linee commerciali. I drammatici eventi del 7 ottobre vanno invece affrontati con una risposta unitaria dell’Europa: è l’unico cambiamento che può imporre la ricerca della convivenza fra popoli per affrontare gli antichi dissensi e i nuovi conflitti. Il timore è che la non soluzione politica dei problemi di Israele per la via della mediazione politica sia una brutta indicazione anche per il conflitto russo-ucraino che a sua volta si potrà ricomporre solo attraverso un’Europa che si assume direttamente non solo la protezione armata di Kiev, ma da quella politica. Oggi il cambiamento, se non è aggregazione, è destino di decomposizione. E di altre perdite: di vite umane, di rapporti civili, di regole democratiche. E dei rapporti umani: tutti diventeremo più selvaggi, più disumani, e questo non potrà non portare a regimi con pochi capitribù. Ma il futuro è nella convivenza, la lotta esasperata è la distruzione dell’umanità. La rinuncia alla politica ha formato una classe dirigente bipartisan pericolosa, il bipartisan dei perdenti. Serve una rottura democratica. Le larghe intese sono state semplicemente coperture a non fare. Serve la rinuncia alla soluzione della forza, il confronto democratico è l’unico che può governare le società moderne.

Fonte: il Domani