In una lettera del febbraio 1936 indirizzata a Felix Kaufmann scrive l’Autore: «Ho lavorato per tre mesi con estrema concentrazione [al testo della Crisi], come se si trattasse del mio testamento filosofico». La Crisi delle Scienze Europee è l’ultima opera di Husserl, alla quale egli lavorò fino alla fine dei suoi giorni, pubblicata per la prima volta postuma nel 1954.
Edmund Husserl nasce a Prosnitz, allora città dell’impero austro-ungarico, nel 1859 da una famiglia di origini ebraiche. Si laurea in matematica nel 1883 con una tesi sul calcolo delle variazioni. Determinante per la sua opera e per le sue scelte fu l’incontro con Franz Brentano a Vienna. A seguito di tale incontro, Husserl maturerà la sua volontà di scegliere la filosofia come professione. Nel 1886 si converte al protestantesimo e approfondisce lo studio del Nuovo Testamento. La pubblicazione del primo volume delle sue Ricerche Logiche nel 1900 non riscuote la simpatia dell’ambiente filosofico dell’epoca ed Husserl non gode di condizioni economiche favorevoli. Diviene professore titolare solo nel 1906. La sua vita, la sua opera e le sue riflessioni sono spesso accompagnate da un’inquietudine esistenziale.
Nel 1928 si ritira dall’insegnamento con l’obiettivo e il progetto di creare un’opera sistematica conclusiva del suo itinerario filosofico, che gli procurasse ultima e definitiva chiarezza. Riuscì solo in parte nell’intento. Il filosofo si trova in quegli anni in una situazione di isolamento che lo colpisce nella Germania nazista, perché ebreo. Nel 1933 viene radiato dal corpo accademico dell’Università di Freiburg in quanto ebreo. Nonostante le difficoltà, decide di non abbandonare la Germania e la sua attività filosofica non diminuisce. Il manoscritto de La Crisi delle Scienze Europee è conservato nell’Husserl-Archiv di Lovanio. Lo spunto per la stesura dell’opera proviene da una conferenza tenuta da Husserl a Vienna il 7 maggio 1935 dal titolo “La filosofia nella crisi dell’umanità europea”. A questa fa seguito un ciclo di conferenze tenute a Praga sul tema della Crisi che riscossero un enorme successo. Husserl si dedicò ad una trattazione sistematica di questa tematica a partire dal 1934 fino alla sua morte nel 1938.
La struttura
L’opera si presenta suddivisa in tre parti, cui si aggiungono i testi integrativi (Dissertazioni e Appendici) che figurano non per volontà diretta di Husserl ma per una scelta editoriale del curatore Walter Biemel. Si tratta di testi tratti dai manoscritti di ricerca 1934-37. Come il curatore ricorda, gli ultimi manoscritti di Husserl connessi alla problematica della Crisi furono catalogati secondo un criterio archivistico dopo la sua morte. Sono riflessioni che Husserl scriveva per sé, registrando continuamente il suo pensiero, non sono quindi lavori redatti e corretti in vista della pubblicazione.
La prima parte dell’opera reca il titolo La crisi delle scienze quale espressione della crisi radicale di vita dell’umanità europea.
L’A. si sofferma su quale sia il significato di “crisi delle scienze” alla luce dei continui “successi” in ambito scientifico. La crisi delle scienze europee è per Husserl una crisi sul senso che esse hanno per la vita dell’uomo. Con la riduzione positivistica dell’idea della scienza all’idea di una scienza dei fatti, essa ha finito con l’allontanarsi dai suoi riferimenti con la filosofia. Questo ha generato una decadenza dello stesso vivere umano. La scienza dei fatti ha prodotto “uomini di fatto” e la filosofia ha perso la sua funzione originariamente universale, di comprensione dell’umano nel suo complesso. «Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i più scottanti per l’uomo, il quale, nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino». (p. 35). Riconoscere e comprendere la crisi del modello scientifico affermatosi a partire dall’epoca moderna (da Galilei), significa ristabilire la funzione universale della filosofia. Husserl ritiene quindi “necessaria” una critica seria delle condizioni e della prassi delle scienze. La razionalità nel mondo non è propria dell’uomo asservito alle scienze, ma dell’uomo libero, che trova nella propria indipendenza il senso del suo vivere. La scienza dei fatti non ha nulla da dire sulla libertà dell’uomo, astrae quindi il proprio stesso soggetto.
L’A. prende in considerazione l’aspetto storico, mettendo in evidenza come non sia sempre stato così. Il positivismo ha decapitato la filosofia. Tutti i problemi “esclusi” dall’indagine della scienza moderna, sviluppatasi in massima parte lungo il modello positivista, hanno per Husserl una loro “inscindibile unità”, essi sono problemi della ragione. Tutti i problemi metafisici ed etici (l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, la giustizia) oltrepassano l’orizzonte dei meri fatti. E «tutti pretendono una maggior dignità rispetto ai problemi che concernono i fatti, i quali sono loro subordinati anche riguardo all’ordine in cui si dispongono». (p. 39). Il crollo della ragione che conferisce senso a tutte le cose, a tutto ciò che è essente, coincide con il crollo della fede dell’uomo in quel “se stesso” che opera alla ricerca della verità.
La seconda parte dell’opera reca il titolo L’origine del contrasto moderno tra obiettivismo fisicalistico e soggettivismo trascendentale.
Husserl individua la genesi della crisi a partire dalla “matematizzazione della natura” operata da Galileo Galilei. Secondo l’A. la novità del pensiero moderno rispetto a quello antico consiste nell’assegnare alla matematica, che per gli antichi aveva un compito finito, un nuovo compito, che è invece infinito: quello di dominare una totalità ideale infinita. Il contributo nuovo di Galilei consiste nel mostrare che la vera realtà in sé è costituita proprio dagli aspetti misurabili, cioè dalle forme ideali matematiche, le cui connessioni ideali vengono a costituire la trama dei rapporti causali. Tali connessioni rendono possibili le ipotesi, le induzioni, le previsioni. Così si viene costruendo preliminarmente il mondo. La fisica viene geometrizzata, la geometria viene aritmetizzata mediante l’impiego del calcolo algebrico, nel quale il significato geometrico passa da sé in secondo piano, anzi cade completamente. La stessa aritmetica viene risolta in una analisi puramente formale. Galileo, considerando il mondo in base alla geometria, in base a ciò che appare sensibilmente e che è matematizzabile, compie un’operazione estremamente riduttiva della realtà. «L’abito ideale che si chiama “matematica e scienza naturale matematica”, oppure l’abito simbolico delle teorie simbolico-matematiche, abbraccia, riveste tutto ciò che per gli scienziati e per le persone colte, in quanto “natura obiettivamente reale e vera”, rappresenta il mondo-della-vita. L’abito ideale fa sì che noi prendiamo per il vero essere quello che invece è soltanto un metodo, un metodo che deve servire a migliorare mediante “previsioni scientifiche” in un “progressus infinitum”, le previsioni grezze, le uniche possibili nell’ambito di ciò che è realmente esperito ed esperibile nel mondo-della-vita; l’abito ideale poté far sì che il senso proprio del metodo, delle formule, delle “teorie” rimanesse incomprensibile e che durante l’elaborazione ingenua del metodo non venisse mai compreso» (pp. 80-81).
Lo scienziato oggettivizza il mondo senza tematizzare nel contempo il proprio rapportarsi scientifico ad esso, le proprie procedure, la loro specificità e legittimità. Nel suo sapere del mondo lo scienziato non sa nulla di sé come soggetto della scienza. Viene a polarizzarsi un dualismo soggetto-mondo non accompagnato da un’adeguata comprensione del proprio reciproco implicarsi. L’interesse più alto per una filosofia, per una scienza in generale, è stato smarrito nella scienza tradizionale, nella scienza divenuta “techné”; e qualsiasi tentativo, aggiunge Husserl, da parte di ricercatori esterni alla matematica e alle scienze naturali, di ricondurre lo scienziato a quest’ordine di considerazioni è respinto come “metafisica”, e in tal modo non è affatto avvertito e, di conseguenza, non è indagata proprio quella dimensione che dovrebbe essere penetrata.
Nella seconda sezione di questa parte dell’opera Husserl descrive il ruolo giocato da Cartesio nella creazione di una filosofia razionale che ha separato natura e spirito. Tale separazione ha contribuito alla nascita e allo sviluppo delle scienze moderne specializzate. «Con la progressiva e sempre più perfetta capacità di conoscere il tutto, l’uomo consegue anche un dominio sempre più perfetto sul suo mondo pratico circostante, un dominio che si amplifica attraverso un progresso infinito. Ciò implica anche il dominio sull’umanità che rientra nel mondo reale circostante, e quindi anche il dominio su se stessi e sugli altri uomini […] Così l’uomo diventa veramente l’immagine di Dio. […] Il filosofo, matematizzando il mondo e la filosofia, ha correlativamente idealizzato se steso e insieme Dio» (pp. 94-95).
Nella terza parte dell’opera, Chiarimento del problema trascendentale e inerente funzione della psicologia, Husserl indica nella fenomenologia l’atteggiamento filosofico risolutivo grazie alla riconsiderazione del mondo-della-vita (fondamento anonimo implicitamente presupposto dalle operazioni idealizzanti della scienza). La fenomenologia consente di ridiscendere al fondamento di senso, è punto d’inizio e d’arrivo. I primi paragrafi prendono posizione rispetto al trascendentalismo di Kant. «Kant non si rende affatto conto che egli, nella sua filosofia, si basa su presupposti inindagati e che le scoperte, indubbiamente grandi, che sono contenute nelle sue teorie, sono ancora inesplicate, non sono risultati compiuti. […] Certe scienze alle cui verità, ai cui metodi, Kant attribuisce una validità reale, diventano un problema, e perciò diventano un problema anche le sfere dell’essere a cui queste scienze si riferiscono. Diventano un problema in base ad alcune domande che concernono la soggettività conoscente». (pp. 133-134) Husserl si sofferma sul concetto di “mondo-della-vita”, sulla profondità del suo significato e sulla possibilità, tramite un ritorno ad esso, di ritrovare il legame che le scienze hanno perduto con le proprie origini e con la propria intrinseca finalità. Il ritorno al mondo-della-vita significa una piena esplicitazione dell’elemento soggettivo. Per Husserl le scienze costruiscono sopra l’ovvietà del mondo-della-vita. Tale mondo concreto è il terreno su cui si fonda il mondo “scientificamente vero”. Qualsiasi scienziato, in quanto uomo è incluso nel mondo, comune a tutti, dell’esperienza; vi è incluso anche durante le sue operazioni scientifiche. Compito della fenomenologia è per Husserl quello di indagare scientificamente il modo in cui il mondo-della-vita funge da fondamento. Malgrado la sua relatività, esso ha una propria struttura generale a cui è legato tutto ciò che è relativo. Per indagare tale mondo è necessario compiere una epoché generale. L’epoché fenomenologico-psicologica ha una valenza universale che svela la teleologia storica e apriori dello sviluppo della razionalità umana nel mondo.
Il valore complessivo dell’opera
L’opera husserliana vuole dar voce alla crisi culturale e spirituale che aleggiava in Europa a partire dagli anni ’30, le cui cause erano in buona parte dovute alla radicalizzazione del neopositivismo logico e della scuola che da esso aveva avuto origine. Da questo punto di vista, Husserl svolge in sede di filosofia fenomenologica quanto Wittgenstein svolse in sede di filosofia del linguaggio. La crisi della scienza moderna è filosofico-scientifica, in quanto conseguenza della separazione della filosofia dalle scienze di fatto. L’uomo di scienza ha finito con l’allontanarsi da sé, dalla propria individualità, particolarità, libertà e quindi dal senso della sua esistenza. All’enigmaticità della ragione corrisponde l’enigma della connessione tra ragione ed essente in generale, in quanto la ragione è tale nesso. L’umanità scientifica europea nel tentativo di razionalizzare “il mondo-della-vita” ha perso la ragione ultima delle sue operazioni e rischia di essere asservita alle sue stesse invenzioni tecnologiche.
La visione della natura affermatasi a partire da Galileo, considerando il mondo in base alla geometria, in base a ciò che appare sensibilmente e che è matematizzabile, «astrae dai soggetti in quanto persone, in quanto vita personale, tutto quanto è spirituale, tutte le qualità culturali che le cose hanno assunto nell’agire degli uomini» (p. 88). Si è venuto a determinare l’intellettualismo tipico della nostra cultura, carica di astrazioni e sempre più povera di creatività e di spontaneità.
«È andato perduto il senso della filosofia “in quanto movimento storico della rivelazione della ragione universale, innata come tale all’umanità”» (p.26). La storia ha assistito al dissolversi dell’ideale di una filosofia universale. Le scienze moderne si sono trovate in una crisi sul proprio fondamento.
Per Husserl, ogni scienza particolare è come un ramo di un unico albero, quello della ragione umana che, nascosta, si rivela, prende coscienza di sé. La natura metafisica dell’uomo animale razionale dovrà mostrarsi come entelechia dell’intera umanità pervenuta a se stessa. Il senso dell’opera di Husserl vuole essere quello di recuperare il telos, mostrando come le scienze che si sono sostituite alla filosofia dovevano necessariamente fallire perché rimaneva loro nascosto il fondamento di senso. La loro pretesa di totalità nella spiegazione della realtà è diventata necessariamente accidentale. Nella consapevolezza filosofica di una scienza deve includersi la consapevolezza del problema della propria fondazione trascendentale.
«Ciò che importa è di riuscire a rendere comprensibile la teleologia insita nel divenire storico della filosofia, in particolare di quella moderna, e insieme di giungere alla chiarezza di fronte a noi stessi, che ne siamo i portatori, in quanto, nella nostra volontà personale, contribuiamo ad attuarla. […] Noi siamo profondamente intrisi del divenire storico-spirituale. […] La storia ha un’unità spirituale fondata sull’unità e sulla forza di propulsione emanante da quei compiti che nel divenire storico vogliono giungere, attraverso fasi di oscurità, a una chiarezza soddisfacente, e infine a una intelligibilità perfetta ed evidente. ». (p.97) La teleologia della natura non può essere compresa senza il nostro contributo personale, senza la nostra volontà. La storia della filosofia ha un senso se noi contribuiamo a darle un senso.
Husserl ricerca un’ontologia del “mondo-della-vita”, cioè del mondo che è già sempre accessibile prima di qualsiasi scienza, tanto che la scienza stessa può essere concepita soltanto in base a una trasformazione di esso. Nel prodursi del mondo della vita può essere resa trasparente l’operazione fungente dell’ego trascendentale. Ma la psicologia non è riuscita in questo intento perché è sempre stata concepita secondo il modello delle scienze naturali e quindi non è stata in grado di risalire propriamente all’essenza del soggetto. «Il mondo-della-vita, che comprende in sé tutte le formazioni pratiche, è immerso nella costante evoluzione della relatività ed è in costante riferimento alla soggettività. Ma per quanto evolva e per quanto continuamente si rettifichi, esso mantiene la sua tipologia essenziale, a cui rimangono legate la vita e tutte le scienze, di cui essa è “terreno”. Perciò esso ha anche un’ontologia che deve essere attinta soltanto in una pura evidenza». (p.200)
Con l’espressione mondo-della-vita l’A. intende indicare l’originaria dimensione soggettiva e intersoggettiva della vita concreta, ossia quella dimensione pre-categoriale del vissuto che coincide con il mondo della quotidianità.
La scienza è per Husserl una realizzazione dello spirito umano e in quanto tale presuppone il mondo intuitivo e pre-riflessivo della vita. Recuperare tal consapevolezza è fondamentale.
Nella conclusione dell’opera l’A. afferma: «La scienza fondata, e che va fondata, in modo universalmente apodittico risulta così, come ho già detto, la funzione necessariamente più alta dell’umanità: essa rende possibile il suo sviluppo verso un’autonomia umana personale e onnicomprensiva – l’impulso vitale dell’umanità, giunta al suo grado più alto» (p.287).
L’interesse per l’opera di Husserl deriva dal fatto che essa contiene in forma germinale idee che matureranno nei decenni successivi, sia per quanto riguarda la critica interna alle scienze orientate in senso neopositivista, sia per quanto concerne il rapporto fra attività scientifica e soggetto conoscente. Nel primo ambito va ricordato che, proprio a partire dagli anni in cui Husserl scriveva La crisi, prenderanno avvio in logica e in matematica gli studi di Kurt Gödel, ai quali seguiranno quelli di Alan Turing e Alfred Tarski, tutti autori che metteranno in luce la verità delle parole del filosofo tedesco, ovvero la necessità di riflettere sui fondamenti. Nel secondo ambito la rivalutazione del ruolo del soggetto e della sua libertà troverà spazio e profondità soprattutto nella filosofia della scienza di Michael Polanyi e poi, in certa misura, in Hilary Putnam. Al tempo stesso va segnalato che, nelle riflessioni contenute in quest’opera, Husserl ebbe come interlocutore (e bersaglio) soprattutto il modello di scienza ereditato da Galileo e da Cartesio, o comunque sviluppato a partire dalla visione di questi autori, che egli vedeva radicalizzato nel neopositivismo logico e nella sua critica al pensiero metafisico. È contro questa critica che Husserl prende le difese della filosofia, non contro la scienza, ma contro la crisi in cui esse, abbandonate al riduzionismo anti-metafisico, inevitabilmente incorrono.
Fonte: https://disf.org/abbiamo-studiato-per-voi/crisi-scienze