La crisi del calcio italiano, tra deficit economici e progetti a corto raggio


 

Mentre il mondo del calcio è in subbuglio per la formazione della Superlega da parte di dodici tra i maggiori club europei, vanno analizzate le cause della profonda crisi che attanaglia il nostro campionato, le società e le squadre italiane

di Lorenzo Lavacca

Madrid, 22 maggio 2010. Al Santiago Bernabeu, l’Inter di Mourinho batte per 2 a 0 il Bayern Monaco e si laurea campione d’Europa dopo 45 anni di lunga attesa. Nel giugno dello stesso anno, a pochi mesi di distanza, l’Italia avrebbe partecipato da campione in carica ai mondiali in Sudafrica, con una squadra sicuramente non all’altezza di quella del 2006 ma con Lippi ancora alla guida. Era sostanzialmente un bel momento per il calcio italiano, forse il decennio più florido della sua storia, scandito anche da altri importanti traguardi, come la finale di Champions del 2003 tutta italiana tra Juventus e Milan, poi vinta dai rossoneri, il secondo posto agli Europei del 2000 o la finale del 2007, che assegnava proprio al Milan la sua settima Champions League dopo che due anni prima, nel 2005, era arrivato a sfiorarla subendo una clamorosa rimonta nei supplementari.

Eppure, da quell’estate del 2010 qualcosa cambiò per sempre: di lì a poco, l’Italia sarebbe uscita ai gironi, come pure ai mondiali del 2014, arrivando perfino a non qualificarsi per i mondiali in Russia del 2018; nei successivi 10 anni nessuna italiana, Juve a parte, sarebbe arrivata in fondo in Champions League, e il calcio italiano, in generale, avrebbe subito un crollo verticale, nell’economia e nelle idee.

Provando ad analizzare i perché, è ormai chiaro che in Italia si guarda solo al risultato. Per questo motivo le squadre, purtroppo, preferiscono troppo spesso puntare su calciatori affermati, con un salario molto alto, piuttosto che su giovani che potrebbero dare lo stesso apporto alla squadra. Infatti se il campione stecca rimane comunque un campione, ma se a sbagliare è il giovane allora l’errore è stato della società che ha sbagliato a dargli fiducia. In questo modo per i giovani è difficile emergere in Italia, mentre in Europa e nel Mondo continuano a emergere talenti, come Mbappé e Haaland, che sì, sono dei fenomeni, ma se fossero cresciuti nel nostro calcio probabilmente non avrebbero avuto la possibilità di esprimere fin da subito il loro talento. Questo timore, poi, si trasferisce anche nel gioco: palle lunghe alla ricerca del fallo in area o dell’errore avversario, possesso orizzontale e mancanza di qualità nelle rose rendono il nostro campionato tra i più difensivi e tattici, sì, ma anche tra i più cinici e meno propositivi, instillando nei suoi calciatori una mentalità rinunciataria che spesso e volentieri è la rovina delle italiane nelle competizioni europee.

Ma la cause non riguardano solo questioni tecniche. La crisi del calcio italiano è causata anche da un ulteriore grande problema. Infatti solo 5 squadre in Italia possiedono uno Stadio di proprietà, a differenza degli altri stati europei dove quasi tutti i club ce l’hanno. Gli stadi di proprietà in Italia sono: lo Juventus Stadium di Torino, il Gewiss Stadium di Bergamo, la Dacia Arena di Udine, lo Stirpe di Frosinone e il Mapei Stadium di Reggio Emilia. Per avere una stabilità economica e per poter fare un salto di qualità importante da questo punto di vista non si può non avere uno Stadio proprio. I risultati di ciò si vedono poi sul campo e anche fuori, con le società senza liquidità e indebitate fino al collo.

Ad aggravare la situazione è stata anche l’emergenza da Covid-19, con la chiusura degli stadi e molti altri provvedimenti restrittivi che hanno causato danni economici rilevanti. Secondo KPMG, l’aggregato del valore di mercato dei 500 calciatori più preziosi al mondo è diminuito del 9,6% tra febbraio 2020 e gennaio 2021. Nella finestra estiva di mercato, inevitabilmente, i club hanno preferito chiudere operazioni dai prezzi contenuti a causa della mancanza di fondi: le transazioni sono diminuite del 43% rispetto al 2019  (3,3 miliardi di euro contro i 5,8 del 2019). Aumentata anche la percentuale dei giocatori trasferiti a titolo gratuito (dal 26,2% al 32,3%). A causa degli incontri annullati o disputati a porte chiuse, gli incassi per le partite hanno causato le perdite più grosse per ogni club. Basta prendere quattro esempi per capire qual è la situazione in merito all’anno 2020 di alcune big del nostro calcio: Roma, -204 milioni di euro; Milan, -195 milioni di euro; Inter, -103,1 milioni di euro (dato parziale al 31/3/2020); Juventus, -89,7 milioni di euro; In pratica, quattro dei club più influenti del nostro massimo campionato sfiorano i 600 milioni di euro di passivo.

In questo scenario, fa pertanto rumore una notizia di pochi giorni fa in merito al rinnovo di uno dei centrocampisti più forti d’Europa, il belga Kevin De Brunye, che si è recato nel QG del City, dal presidente Al-Mubarak, senza il suo agente: il calciatore si è infatti avvalso di un semplice team di data analyst che hanno dimostrato la centralità delle sue prestazioni in termini di numeri e dati statistici nel progetto del club di Manchester, il quale ha esteso il suo contratto fino al 2025 senza l’intermediazione di un agente.

Una svolta rivoluzionaria, che forse non cambierà drasticamente l’economia del calcio moderno ma che sicuramente toglierà rilevanza a una componente ormai fissa negli ultimi tempi, quella dei procuratori, che in certi casi andavano a guadagnare fino al 10% del contratto dei propri assistiti, costituendo un fardello economico di non poco conto per le casse dei club.