La crescita economica proseguirà, ma il 2022 sarà pieno di incognite 


AGI – Dopo il crollo del 2020 e il rimbalzo del 2021, l’economia mondiale si affaccia su un 2022 pieno di incognite. La ripresa globale continua ma azzoppata dalla diffusione della variante Omicron del Covid, dal protrarsi delle tensioni inflazionistiche, dalle frizioni geopolitiche e dalla strozzatura nella catena degli approvvigionamenti che ha fatto schizzare in alto il costo delle materie prime. Le banche centrali, messe alle strette dalla fiammata dei prezzi al consumo, hanno avviato il ritiro degli stimoli messi in campo per contrastare gli effetti della pandemia. 

La crescita rallenta

Secondo il Fondo monetario internazionale, dopo il +5,9% di quest’anno, il Pil mondiale salirà del 4,9% il prossimo. Ma dietro questi numeri ci sono forti divergenze tra le varie aree geografiche ed economiche. E se nelle economie avanzate l’attività è prevista tornare ai livelli pre-Covid già entro la prima metà del 2022, in quelle emergenti e in via di sviluppo è destinata a rimanere al di sotto della linea fino al 2024. In questo scenario l’Italia si destreggia bene.

Secondo le ultime stime della Banca d’Italia, il Pil salirà del 6,2% quest’anno per poi rallentare al +4% il prossimo. Un balzo che consentirebbe all’economia nazionale di recuperare i livelli precedenti lo scoppio della pandemia entro la metà del 2022.

La corsa dell’inflazione

La strozzatura nella catena delle forniture determinata dalla pandemia ha riacceso l’inflazione. Il prezzo delle materie prime è schizzato verso l’alto. Nel giro di un anno il costo del petrolio è salito del 40%, quello del carbone è raddoppiato e quello del gas si è addirittura sestuplicato.

Un surriscaldamento che, giudicato inizialmente “transitorio, sembra ora destinato a protrarsi anche nel corso del prossimo anno. In Italia la Banca d’Italia stima che l’indice del costo della vita aumenterà del 2,8% nel 2022, prima di calare all’1,5% nel 2023. 

Il risiko delle banche centrali

Il balzo dell’inflazione ha spinto le banche centrali ad avviare o accelerare il ritmo del ritiro dei loro programmi di acquisti. La Federal Reserve ha portato la velocità del tapering da 15 a 30 miliardi di dollari al mese, con l’obiettivo di terminare il percorso entro marzo 2022. Una scelta che apre la strada a un rialzo dei tassi d’interesse già a maggio, per un totale di tre ritocchi verso l’alto entro la fine dell’anno prossimo.

La Bce è rimasta più cauta. Ha annunciato che il suo programma di acquisti per l’emergenza pandemica finirà entro marzo, ma ha anche allargato le maglie dell’App, il programma tradizionale, e ha escluso “con molta probabilità” un aumento del costo del denaro per tutto il 2022. È già invece intervenuta la Boe, che nel suo ultimo direttivo ha deciso di alzare i tassi di riferimento dello 0,25%.

Arriva il ‘super dollaro’

Il tapering della Fed e il rallentamento della crescita mondiale dovrebbero favorire il dollaro nel 2022. Più in generale, sottolinea un rapporto di Ubs, in un contesto di politiche monetarie divergenti le valute dei “falchi” (sterlina britannica, dollaro statunitense e corona norvegese) dovrebbero apprezzarsi rispetto a quelle delle “colombe” (franco svizzero, euro e yen giapponese). 

Il problema del debito

La pandemia ha allargato i debiti: quelli delle imprese e dei cittadini ma soprattutto quelli dei governi, intervenuti per evitare il crollo dell’economia. Il debito globale, nel 2020 ha raggiunto quota 226.000 miliardi di dollari, il livello più alto dai tempi della seconda guerra mondiale. Un balzo record del 28% al 256% del Pil. A contare per poco più di metà dell’aumento è stato il debito pubblico, il cui rapporto con il Pil si è spinto fino a un massimo storico del 99%. Ma anche il debito privato ha toccato nuovi picchi.

Gli incrementi del debito sono stati particolarmente forti nelle economie avanzate, dove il rapporto con il Pil è volato fino al 124% dal 70% cui si trovava nel 2007. Il rapporto tra debito privato e Pil è invece salito dal 164 al 178% nello stesso periodo. Il debito pubblico conta per quasi il 40% del debito totale, la quota più alta da metà anni ’60. Ora si tratta di rientrare, soprattutto in presenza di un movimento verso l’alto dei tassi d’interesse. 

“La crescita del debito amplifica le vulnerabilità, specialmente se le condizioni di finanziamento dovessero restringersi”, ha avvertito di recente l’Fmi. Non sarà possibile farlo con eccessiva rapidità per non frenare la ripresa, ma sarà necessario raggiungere un nuovo equilibrio tra sostegno alla crescita e bilanci a rischio.

La revisione del Patto di stabilità europeo

Si innesta qui la discussione in corso sulla revisione del Patto di stabilità europeo. Il Covid ha portato alla sospensione delle regole. In particolare di quella che fissa al 3% il rapporto tra deficit e Pil.

La commissione europea ha avviato a ottobre una consultazione pubblica sulla sua revisione e si è impegnata a fornire le linee guida agli Stati nel primo trimestre del 2022, affinché possano progettare i loro bilanci in tempo per il ritorno in vigore del Patto, previsto dal primo gennaio 2023. Diversi Paesi chiedono maggiore flessibilità nella riduzione della spesa, soprattutto perché la lotta ai cambiamenti climatici richiederà ingenti investimenti.

Alcuni propongono, ad esempio, di escludere gli investimenti green dal calcolo del deficit. La questione divide, anche questa volta, i Ventisette: i cosiddetti Paesi “frugali” del nord, tra cui Germania e Paesi Bassi, sono preoccupati di dover pagare per i presunti eccessi dei loro vicini meridionali e temono l’abbandono dell’austerità.

Ma la crisi legata alla pandemia ha colpito più duramente Paesi del Sud come Spagna, Italia, Grecia e Portogallo, esacerbando squilibri economici già molto forti all’interno dell’Unione.  

La carenza delle materie prime

La carenza di materie prime, attrezzature e manodopera ha pesato per tutto il 2021 sulla produzione manifatturiera, indebolendo le prospettive a breve termine. Sebbene la durata dei vincoli all’offerta sia incerta, è probabile che persistano per diversi mesi e si attenuino gradualmente solo nel corso del 2022. In particolare, i mercati considerati più a rischio sono quelli di rame, alluminio e nickel, mentre gli analisti prevedono che il costo del petrolio torni a livelli più sostenibili alla fine del 2022. 

Montano le tensioni geopolitiche

A preoccupare gli analisti sono anche le tensioni geopolitiche. Le linee di frizione più evidenti sono quelle tra Nato e Russia lungo la frontiera Ucraina e quelle stra Stati Uniti e Cina per Taiwan. La prima ha già prodotto evidenti ricadute sul prezzo del gas, mentre la seconda ha esacerbato i problemi della catena degli approvvigionamenti e riacceso la guerra dei dazi.

La sfida della transizione green

Il Covid ha ridisegnato il modo di fare impresa e di pensare lo sviluppo. Il Green Deal europeo punta a rendere l’Europa climaticamente neutra entro il 2050. Tuttavia, la portata della sfida non è la stessa per tutti. Le regioni più dipendenti dai combustibili fossili e dalle industrie ad alta intensità di CO2 saranno particolarmente colpite e rischiano di dover affrontare una profonda trasformazione economica, ambientale e sociale. 

La spinta del Pnrr sull’economia italiana

Il 2022 sarà anche l’anno del pieno avvio del Pnrr, il Programma nazionale di ripresa e resilienza finanziato in gran parte con i fondi europei. Per l’economia italiana vale 235,1 miliardi di euro tra 2021 e 2026. Una straordinaria opportunità per ridisegnare l’economia nazionale ma soprattutto un enorme volano per la crescita se ben utilizzato. Secondo la Banca d’Italia, le misure di sostegno introdotte nel corso di quest’anno, quelle inserite nel disegno di legge di bilancio e gli interventi del Pnrr possano innalzare il livello del Pil complessivamente di circa 5 punti percentuali nell’arco del quadriennio 2021-24.

La fine della “grande moderazione”

Nel mondo “normalizzato” post-pandemico, prevede il Credit Suisse, la crescita economica sarà più irregolare e volatile, ma non necessariamente inferiore o superiore rispetto al passato.

È probabile che gli investimenti in misure climatiche, automazione, infrastrutture e nuove tecnologie generino un considerevole aumento della produttività del lavoro. La tecnologia blockchain e le valute digitali delle banche centrali potrebbero trasformare radicalmente il settore finanziario. In breve, conclude l’analisi, il prossimo decennio sarà caratterizzato dalla fine della “Grande Moderazione” degli ultimi decenni e i primi sviluppi saranno visibili già dall’anno prossimo. 

Source: agi