AGI – In “Gravity”, il film con Sandra Bullock e George Clooney uscito nel 2013, un missile russo distrugge un satellite dismesso e la successiva reazione a catena crea un’ondata di detriti che si abbatte sullo Space Shuttle con conseguenze tragiche.
Come tante pellicole di fantascienza, anche quella di Alfonso Cuaròn non ha tardato a diventare realtà o ad avvicinarvisi pericosolamente.
Il 15 novembre 2021 erano stati proprio i resti di un satellite sovietico distrutto da un missile russo a mettere in pericolo la Stazione Spaziale Internazionale (Iss), costringendo l’equipaggio a rifugiarsi in due navicelle qualora una collisione lo avesse costretto a un immediato ritorno sulla Terra. Un incidente che, da solo, potrebbe aver aumentato del 10% la quantità di rifiuti cosmici che orbitano intorno al pianeta.
Lo scorso maggio la Nasa aveva contato 27 mila frammenti tracciabili in orbita. Il vero pericolo sono però gli ancora più numerosi detriti di dimensioni troppo piccole per consentire un monitoraggio ma più che sufficienti a creare gravi problemi in caso di scontro con altri oggetti, a causa dell’elevatissima velocità con cui si muovono, superiore ai 27 mila chilometri all’ora. Come quello che, lo scorso maggio, aprì un foro di 5 millimetri di diametro in un braccio robotico dell’Iss.
L’Agenzia Spaziale Europea (Esa) da parte sua aveva stimato lo scorso novembre la presenza in orbita di 36.500 oggetti artificiali di larghezza superiore ai 10 centimetri, un milione tra l’uno e i 10 centimetri e 330 milioni tra un millimetro e un centimetro.
Episodi come la collisione sfiorata oggi tra un satellite cinese e detriti russi appaiono destinati a verificarsi sempre più spesso. Insieme alla spazzatura cosmica, continua infatti a crescere anche il numero di satelliti inviati nello spazio.
A rischio non sono quindi solo le missioni spaziali ma anche infrastrutture fondamentali come il sistema Gps o progetti come Starlink, la costellazione satellitare di Space X per l’accesso a internet su banda larga. Al momento il totale dei satelliti che circolano intorno alla Terra è poco inferiore ai 5 mila. Solo Starlink ha un obiettivo di medio periodo di 12 mila satelliti che potrebbe, in futuro, arrivare a 40 mila.
Il dipartimento di Stato Usa ha accusato Mosca di voler utilizzare i detriti come arma. I resti però non controllano la nazionalità di quel che colpiscono. E rimangono pericolosi per anni, Ancora lo scorso novembre l’Iss fu costretta a modificare l’altitudine di circa un chilometro e mezzo per evitare quel che restava di un satellite cinese distrutto nel 2007.
Dopo l’incidente del 15 novembre, il Cremlino negò di aver messo a rischio l’Iss. Le implicazioni militari di operazioni simili non sfuggono però a nessuno. Oltre alla Russia, anche Usa, India e Cina hanno tecnologie per distruggere i satelliti in orbita. E i missili diretti alle proprie vecchie apparecchiature potrebbero essere scagliati in qualsiasi momento contro quelle lanciate da altre nazioni.
Potrebbero essere utilizzati con intenti offensivi anche gli strumenti che stanno venendo sviluppati per risolvere una questione sempre più difficile da ignorare. Un esempio sono i sistemi, allo studio di agenzie governative e società private, per riportare nell’atmosfera i satelliti causandone la disintegrazione.
Un altro possibile rimedio è la costruzione di reti che catturino i detriti. La “nettezza spaziale” è però ancora agli albori, dal momento che la minaccia posta dall’immondizia orbitante è stata, per lungo tempo, semplicemente ignorata.
Le responsabilità sono chiare. Secondo il Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico del 1967, fondamento del diritto spaziale internazionale, ogni Paese rimane proprietario di ogni oggetto lanciato nel cosmo anche una volta che è stato ridotto in briciole.
Non esiste però un sistema di sanzioni che puniscano i danni causati dai detriti e, soprattutto, attribuire un frammento a un Paese specifico è complicatissimo, a volte impossibile, un autentico incubo giuridico.
Creare meno “spazzatura cosmica” e cercare di rimuovere quella esistente richiederà un enorme sforzo, sia in termini tecnici che di cooperazione internazionale. L’unica alternativa è tuttavia un’orbita terrestre così zeppa di detriti da non poter essere più navigabile.
Source: agiestero