La conseguenza della guerra sulle abitudini alimentari del mondo


AGI – Il conflitto in corso in Ucraina sta ridisegnando anche le abitudini alimentari al livello globale. E rischia di portare alcuni Paesi in via di sviluppo alle soglie dell’emergenza alimentare, tra l’impennata dei prezzi delle materie prime e le difficoltà di approvvigionamento.

L’onda lunga delle ripercussioni della guerra pesa sul crollo delle esportazioni di tè dallo Sri Lanka come sulle difficoltà nel reperire grano saraceno, ingrediente essenziale per i noodles soba e il ramen, piatti tradizionali (e ‘poveri’) della cucina giapponese.

Perché l’Ucraina è uno dei granai mondiali – il prezzo del cereale è cresciuto del 38% dall’inizio del conflitto – ma anche un grande produttore di componenti per fertilizzanti agricoli. Così il riso, il cui costo invece è rimasto stabile, si affaccia come possibile alternativa su cui alcuni mercati alimentari potrebbero convergere.

Le esportazioni di tè dello Sri Lanka, colpito da una grave crisi economica legata anche alla messa al bando di alcuni fertilizzanti, hanno registrato nel primo trimestre 2022 il calo più consistente in 23 anni. Da gennaio a marzo sono state esportate 63.700 tonnellate di tè, in netto calo rispetto alle 69.800 dello stesso periodo dell’anno scorso, il livello più basso dal 1999, con un crollo dei proventi di 51 milioni di dollari.

L’export del tè è tra le principali fonti di reddito del paese asiatico, con circa 1,3 miliardi di dollari all’anno. Esperti del settore sostengono che circa il 10% del calo delle esportazioni sia stato influenzato dall’invasione russa: Mosca e Kiev sono tra i principali acquirenti della qualità nero aromatico prodotta dallo Sri Lanka.

In Giappone invece la guerra impatta sul costo dei noodles, fatti con grano saraceno, di cui la Russia è tra i principali produttori. Anche perché il costo della soia, usata nel brodo, è cresciuto di quasi il 5% nel corso dell’anno. Presto i prezzi delle economiche ciotole di ‘soba’ aumenteranno per la prima volta in quasi un decennio. Il grano saraceno russo può ancora essere importato, ma l’instabilità e le interruzioni delle spedizioni hanno ostacolato e ritardato l’approvvigionamento.

E il Giappone, nonostante i noodles siano un piatto iconico della cucina nipponica, secondo la Japan Soba Association produce in casa solo poco più del 40% del suo fabbisogno di grano saraceno.

È in Africa però che l’impatto della crisi alimentare legata al conflitto, con il rialzo dei prezzi, avrà le conseguenze più drammatiche. Nei giorni scorsi il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, in visita in Senegal, ha avvertito: “Dobbiamo garantire un flusso costante di cibo ed energia in mercati aperti, rimuovendo tutte le restrizioni all’esportazione non necessarie”. 

Nelle scorse settimane, intanto, il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha rilevato che i consumi alimentari mondiali potrebbero nel tempo spostarsi in diversi paesi dal grano al riso, il cui prezzo è rimasto stabile dopo l’inizio della guerra. “I mercati cerealicoli globali sono stati colpiti dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla la quasi completa cessazione delle esportazioni di grano ucraine”, scrive l’Usda.

“Il risultato è stato un improvviso spostamento della domanda verso altri fornitori – si legge ancora – con un notevole aumento delle quotazioni dei prezzi all’esportazione per quei cereali. I prezzi del mais sono leggermente diminuiti con il raccolto imminente in Sud America, ma rimangono storicamente elevati. In netto contrasto le quotazioni del riso sono rimaste notevolmente stabili in un contesto di forniture sufficienti e senza interruzioni per i principali esportatori”. 

Source: agi