Ottaviano Augusto, dopo aver sconfitto Antonio e Cleopatra e conquistato l’Egitto nel 30 a. C. rivolse la sua attenzione verso l’estremità della Penisola Arabica, attualmente occupata dallo Yemen, ma in età antica sede del ricchissimo regno dei Sabei
di Ignazio Burgio
È poco noto che Ottaviano Augusto, dopo aver sconfitto Antonio e Cleopatra e conquistato l’Egitto nel 30 a. C. rivolse la sua attenzione verso l’estremità della Penisola Arabica, attualmente occupata dallo Yemen, ma in età antica sede del ricchissimo regno dei Sabei. Tale ricchezza, oltre che dalla fertilità del suolo – grazie ad un minimo di piogge monsoniche ed a sofisticati sistemi d’irrigazione, motivo per cui gli storici antichi chiamavano quella regione Arabia Felix – derivava soprattutto dal commercio. In primo luogo i Sabei producevano ed esportavano le ricercatissime resine dell’incenso e della mirra, utilizzate oltre che nei riti religiosi anche come base per la preparazione di farmaci e unguenti. Favoriti poi dalla loro strategica posizione geografica, nel corso di tutta l’età ellenistica avevano anche finito col monopolizzare tutto il traffico navale tra l’India ed il Mar Rosso, e controllando anche quello per via di terra lungo la Penisola Arabica avevano lasciato ben poco spazio ai mercanti di altri paesi, in primo luogo quelli egiziani.
Oltre che per la via di terra (la famosa “Via della seta”, molto lenta e rischiosa) le merci orientali, soprattutto le sete cinesi e le spezie indiane, transitavano anche via mare attraverso l’Oceano Indiano, sfruttando i Monsoni, che gli antichi chiamavano “venti di Ippalo”. Giunti però presso le coste dell’Arabia Meridionale, mentre solo un certo numero di vascelli imboccava il Mar Rosso – infestato dai pirati – buona parte delle navi preferiva invece sbarcare il proprio carico in quella che è l’attuale città di Aden, anticamente chiamata Eudaemon Arabia. Da questa città le preziose merci proseguivano a dorso di cammello lungo tutta la costa occidentale della Penisola Arabica fino all’importante scalo di Petra, capitale del regno degli Arabi Nabatei, oggi nell’attuale Giordania. I magnifici palazzi scolpiti nella roccia di questa che è ancora oggi una delle località archeologiche più suggestive di tutto il Medio Oriente, testimoniano l’antica ricchezza e potenza di questa città grazie al commercio di transito. Da Petra poi le merci pregiate giungevano ai porti mediterranei di Alessandria, Gaza, Damasco e Antiochia.
Ottaviano Augusto giudicava necessario rendere liberi i traffici lungo il Mar Rosso, e questo per due importanti motivi: i preziosi prodotti orientali svincolati dal monopolio sabeo avrebbero finito col costare di meno, ed una volta arrivati in Egitto e riesportati nel mondo romano avrebbero fruttato alle dogane una doppia imposta (portoria), di importazione e di esportazione. Così come ai tempi di Cartagine e degli Scipioni, anche al nuovo signore dell’Egitto e di tutto l’Impero Romano appariva quindi di fondamentale importanza sbarazzarsi anche militarmente della scomoda, anche se lontana, rivalità commerciale col Regno di Saba.
La spedizione militare fu preparata nell’anno 25 a. C. dal comandante Elio Gallo, il cui esercito era costituito da circa 10.000 uomini, in gran parte legionari ed ausiliari, ma anche da 500 soldati del famoso re Erode, sovrano della Giudea e fedele alleato dei romani, e da altri 1000 forniti da Obodas, sovrano dei già citati Arabi Nabatei di Petra, anch’essi ufficialmente alleati di Roma. Questi ultimi 1000 soldati erano comandati dal visir del medesimo re Obodas, un certo Silleo, incaricato anche di guidare tutto l’esercito di Elio Gallo fino al Regno di Saba. Personaggio ambiguo, questo Silleo era in realtà un avventuriero privo di scrupoli che non vedeva di buon occhio né i Romani né la loro spedizione militare. Il comandante Elio Gallo fece costruire 130 navi da trasporto per traghettare le sue truppe dall’Egitto a Leuke Kome sulla costa araba, ma per evitare pericoli da parte dei pirati del Mar Rosso, si dotò anche di 80 navi da guerra.
La capitale dei Sabei, Mariaba, distava da Leuke Kome almeno 900 miglia, e tale distanza venne coperta l’anno seguente dai legionari romani nel corso di parecchi mesi di marcia, sotto il cocente sole d’Arabia, in un territorio arido e inospitale dove era necessario fare innumerevoli deviazioni per trovare acqua. Finalmente però si giunse nei territori dell’Arabia Felix e le cose sembrarono di colpo volgere al meglio. Dopo aver distrutto Negrana, la prima città nemica che incontrarono, sei giorni dopo presso un fiume, probabilmente il Wadi Kahrid, i Romani si scontrarono con l’esercito sabeo composto da una gran moltitudine di uomini, ma poco addestrati e male armati. Secondo quanto riferisce lo storico antico Strabone, le perdite dei Sabei ammontarono a 10.000 uomini, quelle dei Romani a due soltanto. Dopo l’immediata resa di altre località, fu raggiunta la città di Mariba (o Marsyaba secondo Strabone), molto probabilmente proprio la Mariaba capitale dei Sabei. I Romani la cinsero d’assedio per sei giorni, ma la mancanza d’acqua costrinse alla fine Elio Gallo a desistere e a riprendere la strada per l’Egitto. Cosa piuttosto curiosa che emerge dalle fonti, pare che l’esercito romano, che prese una strada più diretta per tornare in un porto sicuro (Egra, un villaggio sul mare in territorio nabateo), riuscì a coprire la stessa distanza dell’andata in un tempo molto minore.
L’imbarco delle truppe sulle navi e il loro ritorno fino al porto egiziano di Myos Hormos, posero fine a quella spedizione militare che sembrava essersi risolta in un fallimento. Lo stesso Elio Gallo ne diede la colpa all’ambiguo Silleo, che avrebbe fatto girare a vuoto il suo esercito nel deserto arabo per stancarlo e demotivarlo. In effetti secondo gli storici i Nabatei di Petra traevano anch’essi grossi profitti dal commercio di transito da Aden al Mediterraneo, e dunque avrebbero avuto ben poco interesse alla riuscita dell’impresa.
Ma in realtà quell’avventura militare non si risolse affatto in un fallimento. I Sabei avevano assistito per la prima volta in tutta la loro storia all’invasione del loro regno, e per di più da una superpotenza come quella romana i cui soldati si erano dimostrati ben addestrati e ben determinati contro eserciti e città fortificate. La paura di un loro ritorno li indusse ad aprire negoziati con Augusto e ad accettare il formale protettorato di Roma, come riporta il medesimo Strabone. L’anno precedente per di più il governatore dell’Egitto Petronio risalendo il Nilo con un esercito di 10.000 uomini e 800 cavalieri aveva sbaragliato i bellicosi guerrieri etiopi del Regno di Meroe, tra le attuali Eritrea e Somalia, costringendo la loro regina Amanirenas alla subordinazione a Roma. In pratica il Mar Rosso si rivelò a questo punto definitivamente libero per le navi romane, militarmente protette anche contro i pirati, e fu finalmente possibile stabilire regolari collegamenti con l’India e tutto il resto dell’Oriente.
In breve tempo il traffico commerciale via mare si intensificò di molto come attestato anche dallo stesso Strabone, il quale osservava meravigliato che mentre fino ai tempi di Cleopatra nemmeno una ventina di navi egizie osavano inoltrarsi nel Mar Rosso, cinque o sei anni dopo la conquista romana dell’Egitto almeno 120 navi l’anno partivano dal porto egizio di Myos Hormos alla volta dell’Eritrea e dell’India.
Da quel momento in poi gli scambi con le regioni più lontane dell’Asia avrebbero raggiunto dimensioni colossali per quei tempi e sarebbero stati anzi uno dei principali fattori del dissesto finanziario della civiltà romana, poichè – come afferma Plinio un centinaio di anni dopo – i cittadini più ricchi dell’Impero spendevano qualcosa come 100 milioni di sesterzi l’anno, un vero e proprio fiume di monete d’oro, per i tessuti, le spezie, il legname pregiato, e persino i pappagalli e le ballerine esotiche, che dall’Oriente giungevano ai principali porti del Mediterraneo, come ad esempio quello di Pozzuoli. Vennero anche fondati dei veri e propri empori commerciali romani e templi in onore di Augusto lungo le coste indiane del Malabar e nell’antica Tabropane (Sri Lanka). Anche l’Indocina e l’Indonesia – con l’importante scalo di Kattigara (Singapore) – finirono per accogliere i mercantili romani.
Ma l’emorragia di valuta pregiata dall’Impero Romano verso i lontani mercati orientali costrinse nel corso dei secoli successivi – già a partire da Nerone – alla progressiva svalutazione delle monete d’oro e d’argento romane con tutte le inesorabili conseguenze economiche, sociali e politiche che ne derivarono: rialzo dei prezzi, aumento delle imposte, malcontento generale, anche nell’esercito, progressiva sfiducia nelle autorità romane, spinte separatiste e conflitti tra opposti imperatori e relative legioni al loro seguito, che resero sempre più difficile garantire la difesa dei confini dell’impero dai nemici esterni, in primo luogo i Germani.