Per motivarne qualche decina, ne sono stati mandati in bestia migliaia.
di Monica Giorgi – Presidente Nuovo Sindacato Carabinieri
Il discorso “motivazionale” pronunciato da un Ufficiale dell’Arma nel corso di una puntata della docuserie “Basco Rosso” merita di sicuro un approfondimento.
La conseguente nota del Comando Generale, atta a salvaguardare l’immagine dell’Arma verso l’esterno, era necessaria, ma ci auguriamo che a questa faccia seguito una altrettanto necessaria riflessione profonda. Noi di NSC non mancheremo di farla, questa riflessione.
A me personalmente preoccupa più il pensiero della persona che l’ha espresso, perché è evidente che quel pensiero, in tutta la sua tossicità, sia emerso e passato con estrema semplicità. Prima di essere approvato e pubblicato quel video è stato senza dubbio attentamente vagliato e approvato, ed è improbabile che quell’Ufficiale possa aver agito di propria piena ed esclusiva iniziativa. Semplicemente, quel pensiero è passato e non ne è stata rilevata la bruttezza.
Il mio timore è che quel modo di ragionare possa essere molto più diffuso di quanto si immagini. Dovremmo domandarci come mai coloro che vengono scartati durante questi corsi selettivi provino un’immensa frustrazione al pensiero di dover tornare a prestar servizio proprio nell’Arma territoriale, vissuta – e probabilmente narrata – come luogo che non permetta una piena realizzazione ma piuttosto un mezzo “fallimento”, per utilizzare un gergo tanto familiare a certi ambienti. Una sensazione di sconfitta che ha ben poco a vedere con quella che si prova quando si boccia un esame universitario, per esempio, perché più intima, più personale.
Non c’è da stupirsene visto che un discorso motivazionale socialmente accettato in quel contesto, anziché spingere esclusivamente sulle capacità di quel personale e concentrarsi su di esso, sceglie di comparare quell’ambiente lavorativo a un altro che si ritiene caratterizzato da agio e comodità.
Quel messaggio trasmesso dall’Ufficiale nella docuserie, poi veicolato e trasmesso all’opinione pubblica, circa l’agio dell’ambiente e delle mansioni lavorative dei Carabinieri che sono in Territoriale ogni giorno ha forse uno scopo ben preciso? Se sì, quale?
La narrazione di un pensiero del genere non può che fare danni, semplicemente perché non è realistica. Al di là del fatto che la quantità, l’imprevedibilità e la varietà di situazioni che capitano a chi presta servizio nella Territoriale non sono paragonabili a nessun’altra realtà professionale dell’Arma, chi se ne va dopo anni di permanenza in quei Reparti altamente selettivi, nella pressoché totalità dei casi, lo fa perché costretto, vuoi per motivi familiari o perché rientrato a seguito di lunghi periodi nelle Ambasciate. Coloro che se ne vanno lo fanno per necessità e/o per obbligo. Non ce n’è uno di loro che scelga di venire nella “comfort zone” dell’Arma Territoriale in quanto tale. Piuttosto, pare preferiscano andare a fare i magazzinieri o a “contare le cravatte”, se costretti a scegliere. E forse è pure comprensibile, dopo anni in cui sono stati abituati a lavorare in un ambiente altamente professionalizzato dove dietro ogni operazione c’è una pianificazione e in cui i rastrellamenti, tanto per fare un esempio, vengono fatti con abbigliamento “tattico” piuttosto che con le scarpette, con il supporto di una squadra composta da persone di pari prestanza fisica e addestramento e con il necessario supporto logistico di uomini e mezzi, dove anche il comandante è altrettanto performante e ben inserito nel team.
Non c’è dunque da stupirsi che nessuno di loro voglia spontaneamente essere trasferito in quella paventata “comfort zone”. Ricordo, tra l’altro, che da anni la Territoriale è in preda a un’emorragia per il numero di persone che ne vorrebbero fuggire.
Nella “comfort zone” – che non è certo l’Arma Territoriale – in realtà ci vivono tutti quei Carabinieri di ordine e grado che svolgono una professione come la nostra senza avere idea del suo reale scopo e della sua reale funzione.
Ciò che è accaduto rattrista e sorprende, poiché evidenzia una “curiosa” forma di rappresentare talune realtà, spesso complesse e dense di problemi irrisolti (dai suicidi alle carenze di personale, dalle sovraesposizioni alle vessazioni, dalle carenze delle infrastrutture alla mancanza di mezzi e risorse) che caratterizzano il quotidiano di quasi tutti i Carabinieri, di quei Carabinieri che rendono prestigiosa e gloriosa l’Arma.
Giustamente e fortunatamente, migliaia di colleghi si sono sentiti offesi e oltraggiati da quel pensiero. E questo merita una riflessione. Poi, diciamocelo, non poteva esserci periodo storico peggiore per demotivare così tanti Carabinieri della Territoriale con quelle che sono pure e semplici fantasie.
Ci tengo a ribadire con forza che i gloriosi Reparti dell’Arma, tra cui quello dei Cacciatori, non hanno alcun bisogno di competere tra loro. Lo scopo di tutti noi Carabinieri, indipendentemente dal Reparto di appartenenza, è quello di lavorare insieme al servizio della gente, agire di concerto per fronteggiare tutte le situazioni e le emergenze a cui giornalmente siamo chiamati. Nessun Reparto è un’isola, distante e indipendente, ma parte di un tutto, di una Famiglia, di un’unica creatura: L’Arma.