La Cina si arrende agli Stati Uniti, la svolta cinese e il giro di alleanze che favorisce l’Occidente

President Joe Biden listens as China's President President Xi Jinping speaks during their meeting at the Filoli Estate in Woodside, Calif., Wednesday, Nov, 15, 2023, on the sidelines of the Asia-Pacific Economic Cooperative conference. (Doug Mills/The New York Times via AP, Pool)


Diciamo la verità, anche se tutti gli interessati (e i meno contenti) cercano di sminuire, non enfatizzare e servire con abbondanti ma e però, forse e semmai. Il fatto importante – che è anche l’unico logico – è che la Cina di Xi Jinping si è di fatto e con le dovute cerimonie e camuffamenti formali, arresa agli Stati Uniti, con tutti gli onori ma anche i malumori provocati dal Presidente Joe Biden, quando in una dichiarazione formale davanti alle telecamere non si è trattenuto dal definire “dittatore” l’ospite cinese. E l’ospite cinese è andato in bestia ma poi ha trattenuto la sua irritazione e è andato avanti sul sentiero della rappacificazione minima indispensabile se non si vuole una guerra vera e totale nel giro di due anni.

L’incontro a due a San Francisco si è concluso con l’appendice consistente in un viaggio d’affari di Xi in visita nelle maggiori compagnie americane come Apple. Il comunicato finale parla di rilevanti progressi in tutti i settori a cominciare da quello del dialogo militare perché la verità è che il presidente cinese ha attraversato una fase di megalomania durante la quale ha speso cifre folli per dare al suo paese una marina militare, aviazione e forze di terra tecnologicamente all’altezza di quelle americane, cosa che ha dissanguato le casse statali. Inoltre, la Cina possedendo nelle stesse casseforti il debito americano sotto forma di titoli di Stato, incassa annualmente una somma miliardaria di interessi che Washington paga con puntualità ineccepibile. E infine la Cina ha constatato da tempo che non può sopravvivere senza il mercato americano.

L’ultima ragione utile per spiegare la nuova flessibilità cinese è che l’India si avvicina al sorpasso della Cina e oltre ad essere la stazione di servizio del pianeta, produce tecnologia di altissima qualità come ha dimostrato lo sbarco lunare di un rover superiore a quelli americani. Dunque, facendo i conti, l’immenso campo dei nemici dichiarati dell’Occidente, ha fatto una dieta dimagrante. E, in prospettiva, lascia la Russia con un solo alleato poco maneggevole e cioè l’Iran.
Fare i conti sullo stato geopolitico in questo momento non è difficile: anche il gruppo dei Paesi che hanno scelto di lanciare una crociata economica, militare, ideologica e mediatica contro le disprezzate democrazie, con la nuova rotta della Cina va in crisi. L’acronimo BRICS sta per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, il gruppo dei fondatori cui si sono si sono aggiunti in maniera non ufficiale Paesi come la Siria, il Venezuela, il Sudan e tutti i movimento di guerriglia africani e del Medio Oriente fra cui proprio Hamas, nemico dell’Autorità Nazionale Palestinese del fragile Abu Mazen che vede la possibilità di essere rilanciato come leader di tutti i palestinesi grazie all’invasione militare di Gaza: L’ANP è dunque considerata alla fine parte del fronte filo-occidentale insieme all’Arabia Saudita con cui Israele è deciso a concludere gli “Accordi di Abramo” che rivoluzioneranno il vicino oriente in modo tecnologico, innovativo e prudendo ricchezza nell’intera area mediorientale, prospettiva che ha fatto impazzire gli Ayatollah di Teheran da cui è partito l’impulso per l’attacco dell’otto ottobre.

Due entità appaiono isolate: la Russia di Putin che da oggi ancor meno di prima potrà contare su un sostegno concreto della Cina per le sue imprese di pirateria internazionale, e l’Unione Europea alla vigilia delle elezioni del suo Parlamento fissate per la primavera prossima. La novità più importante è che l’Europa, sia pur dilaniata dai nazionalismi e dalle gelosie, sembra aver capito che se non diventa anche una potenza militare non avrà mai una politica estera influente, che mettere in piedi un apparato militare ancorato al futuro significa investire una quota notevole di ricchezza e questa necessità fa a pugni con la mentalità e lo stile di vita degli europei, continuamente beffeggiati per i loro vizi sia dai russi che dagli americani, sia pure da posizioni diverse.
La guerra in Ucraina è servita ad impartire a tutti una severa lezione di cui fanno le spese soltanto i poveri abitanti e patrioti di quella nazione invasa e sanguinante. La situazione infatti appare ormai paralizzata: invasori e invasi hanno raggiunto un equilibrio nella furia del fuoco e del gelo, con un tasso di mortalità indecente, ma la Russia non potrà mai conquistare l’Ucraina e questa non potrà mai attaccare la Russia perché Europa e Stati Uniti non vogliono rischiare la guerra mondiale. Gli F16 in arrivo a primavera faranno forse un po’ di differenza ma gli americani non hanno dato i loro aerei a Zelensky: hanno soltanto e con ritardo consentito agli alleati che lo avessero voluto, di offrire i propri potenti aerei di fabbricazione americana. Gli Stati Uniti stanno producendo armi nuovissime e ancor più micidiali così come fa la Russia, perché la sciagurata guerra ucraina che dura da due anni ha mostrato pregi e difetti di tutti gli armamenti e dunque il campo di battaglia è anche un laboratorio per progettare le armi della generazione successiva.

L’Europa, dunque, per il momento alza soltanto di qualche decibel la propria voce, ma non farà nulla fino all’estate prossima. Anche l’autorevole Foreign Affairs ha dedicato un saggio su questa novità della voce altissima, urlata, ma con pochi fatti. Gli Stati Uniti sono sul crinale di una fase imprevedibile perché sarà chi vince la Casa Bianca a decidere fra isolazionismo integrale (la posizione di Trump) e interventismo anche politico come quello di Joe Biden che sta vivendo un momento di grande impegno perché si è sentito costretto ad alzare la voce contro Israele quando ha visito parte del suo elettorato mollarlo perché filopalestinese. E Israele non ha e non ha mai avuto alcuna intenzione di interrompere lo sradicamento e lo sterminio fisico dei combattenti di Hamas che governano la striscia dal 2007 accumulando armi e riserve di generi di sopravvivenza da cui sono esclusi gli abitanti di Gaza. Israele forse dopo la guerra si libererà di Bibi Netanyahu, ma non è detto: il longevo e discusso premier è accusato di colpe gravissime come aver chiuso tutti e due gli occhi di fronte alla crescita e alla capacità distruttiva di Hamas.

Di Paolo Guzzanti – fonte: https://www.ilriformista.it/