"La Cina invecchia, ma anche per questo diventerà un competitor più accanito"


AGI – Un Paese che invecchia e fa pochi figli, ma che nel futuro diventerà un competitor ancora più accanito in campo economico, proprio per fronteggiare gli squilibri demografici interni. È la prospettiva che emerge dal settimo censimento nazionale della Cina, che certifica l’allarme demografico della nazione più popolosa della Terra e seconda economia mondiale.

I dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica di Pechino “sono, in realtà effetti demografici ampiamente attesi”, commenta all’AGI il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii, che riflettono il trend degli ultimi 30 anni, durante i quali l’aumento della popolazione è stato trainato dalla diminuzione del tasso di mortalità infantile e dal prolungamento dell’aspettativa di vita, ma su cui oggi grava la denatalità, confermata anche dagli ultimi dati, perché decenni di politica del figlio unico, abrogata solo a fine 2015, hanno ridotto il numero di donne in età fertile.

Per invertire questo trend, avverte Valerii, occorreranno decenni, con risultati che si potranno vedere tra 20 o 30 anni. “Fino ad allora, c’è una sola strada”, prosegue, “siccome ci sono meno persone in età lavorativa, per mantenere i livelli di economia attuali occorrerà aumentare il livello di produttività” della fascia di popolazione in età lavorativa, tra i 15 e i 59 anni, che comprende oggi 894,38 milioni degli 1,411 miliardi di abitanti della Cina, il 63,35% della popolazione, in calo del 6,79% rispetto al 2010.

“Quello che possiamo aspettarci nei prossimi anni, a livello politico ed economico, saranno interventi finalizzati all’aumento della produttività, che significa, prima di tutto, innovazione tecnologica”, è la previsione del direttore generale del Censis.

Il risultato sarà che “per l’Occidente e gli Stati Uniti, la Cina diventerà un competitor ancora più accanito, e con cui misurarsi in maniera ancora più aspra, e questo deriva proprio dalle proiezioni demografiche”, oltreché, aggiunge, dalle linee di Pechino, ferree nelle programmazioni quinquennali e nei target di politica economica. In sostanza, spiega il direttore generale del Censis, “se pensavamo alla Cina come alla fabbrica del mondo, per la produzione di massa a basso valore aggiunto, nei prossimi decenni sarà proprio questo il paradigma che verrà scardinato”.

Già oggi la Cina è un Paese che, oltre a produrre, consuma, con ricadute a livello globale – Valerii cita come esempio l’importanza dei turisti cinesi per il turismo italiano – e ora va incontro a sfide non diverse da quelle che devono affrontare le economie sviluppate, a cominciare da Giappone e Italia. Valerii la definisce il “laboratorio numero uno al mondo” di un processo che comprende invecchiamento della popolazione, denatalità con conseguente riduzione complessiva della popolazione, enorme debito pubblico e crescita della spesa per previdenza, pensioni e sanità.

La sfida dei prossimi decenni – per l’Occidente, ma anche per la Cina – sarà quella di “trovare un nuovo equilibrio: da una parte con una popolazione che vive sempre più a lungo e dall’altra con lo squilibrio tra pochi giovani che devono alimentare i processi di crescita e gli anziani che li assorbono“.

Per riuscirci occorreranno nuovi paradigmi economici e un nuovo modello di convivenza tra generazioni ma, sottolinea il direttore generale del Censis, “tutto questo si terrà in piedi se si innalzerà la produttività”.

La Cina si può considerare il maggiore caso di successo della globalizzazione accelerata, spiega ancora Valerii, in grado di cambiare il proprio volto a livello economico e sociale, diventando un Paese più solido, grazie anche a una spinta sui piani economico, tecnologico e logistico. In un momento di declino della supremazia occidentale in termini economici e militari, aggiunge infine, occorrerà capire cosa faranno gli Usa e l’Occidente sul piano economico e dell’innovazione.

“La defaillance sul piano demografico della Cina sarà una spinta per fare di più e meglio sul piano dell’innovazione tecnologica e tutti dovremo fare i conti con questa realtà”, è la conclusione del direttore generale del Censis. “Da quel difetto sul piano demografico viene una maggiore aggressività sul piano economico”.

Source: agi