AGI – La carne è parte integrante della tradizione culinaria italiana. Ma ne mangiamo davvero troppa? Stando alle ultime statistiche a partire da “Consumo reale di carne e di pesce in Italia“(Ed. Franco Angeli), a cura di Vincenzo Russo, Anna De Angelis, Pier Paolo Danieli, nel nostro Paese le proteine animali si consumano con misura: i nostri connazionali infatti nella loro dieta non superano mai i 100 grammi al giorno, anzi il consumo quotidiano di carne rossa si attesta sui 60 grammi.
Un valore ben al di sotto dei limiti consigliati dall’OMS. E a chi pensa che esistano solo due modi per gustarla – al sangue o ben cotta – non possiamo che consigliare di perdersi in un viaggio fra le più famose e ricercate preparazioni regionali dello stivale. Dalle razze pregiate alle bistecche saporite, passando per un assortito ricettario che vede interiora e budella come ingrediente principale. Non solo bovino, maiale, agnello e capretti, fanno la loro comparsa sulle tavole regionali, accompagnati dalle carni bianche e delicate di polli e conigli.
Liguria, la terra della cabannina
Non solo pesce. La Liguria è nota per la cabannina, una razza bovina che si distingue per le piccole dimensioni e per il manto dalle sfumature rossastre. Famosa per il latte buonissimo che produce in piccolissime quantità, la carne della cabannina è perfetta per le polpette o come ingrediente del Tucco, il tipico sugo genovese fatto con carne e pinoli. C’è anche chi usa la carne per il ripieno dei ravioli.
Bistecche alla valdostana
Piatto ricco e sostanzioso, le bistecche alla valdostana sono una ricetta amatissima dai bambini e dai veri buongustai. Serve della carne magra di vitello da passare nell’uovo, nella farina e nel pangrattato, prima di tuffarle nell’olio bollente. Una volta fritte, devono essere ricoperte di prosciutto e formaggio, infornate e consumate calde. La tradizione le vuole anche composte “a panino” come una specie di cordon bleu. Esistono infinite varianti, si può scegliere di usare la carne di pollo al posto di quella di vitello oppure si può insaporire l’impanatura con erbe aromatiche.
Il bollito piemontese
Era tra i piatti preferiti di Camillo Benso Conte di Cavour e di Re Vittorio Emanuele II di Savoia, ma la sua storia è ancora più antica. il “Bollito sette tagli”, sembra che sia legato alla secolare consuetudine dei mercati di bestiame piemontesi, ma è solo nel Novecento che diviene un piatto solenne, degno di essere presentato ai pranzi di famiglia o per le cene con gli amici. Un segreto? I tagli vanno cotti tutti insieme in acqua poco salata – la sapidità si ritocca alla fine – il fatto che un taglio sia più morbido e uno più “croccante” è un pregio del bollito ben fatto.
La Lombardia: cotoletta o orecchia di elefante
Usati come sinonimo, cotoletta e orecchia di elefante sono due preparazioni decisamente diverse. Rigorosamente di vitello e con osso la prima, può invece essere anche di maiale la seconda, senza osso e battuta anche per ore per raggiungere lo spessore di un foglio. Ma le differenze non terminano qui, già perché se la cotoletta è impanata, l’orecchia va infarinata.
Lo stinco trentino
Tipico della cucina nordica, lo stinco è un piatto povero, si tratta, infatti, della parte inferiore della zampa del maiale. Ritenuto erroneamente una carne grassa, lo stinco di maiale è in verità ricco di tessuto connettivo e, proprio per questo, deve essere cucinato a lungo affinché la carne raggiunga la giusta consistenza. In coppia con le patate, lo stinco è perfetto con un birra ambrata.
Il muset friulano
Muset, il musetto, è una specie di cotechino tipico del Friuli: è macinato a grana grossa, e per la sua preparazione vengono usate esclusivamente le carni e le cartilagini del muso del maiale. La tradizione vuole che il vero musetto debba essere molto appiccicoso e attaccare alle dita.
Fegato alla veneziana
In accoppiata con la cipolla di Chioggia, il fegato alla veneziana si fa scegliendo le interiora di vitello (ma anche quella di maiale è utilizzata) e adoperando discrete quantità di aceto per coprire l’odore particolarmente forte dell’ingrediente principale. La ricetta è eredità romana, dove nell’antichità il fegato veniva cotto con i fichi.
Zampone e cotechino emiliani
Zampone e cotechino affondano le loro radici nel XVI secolo, quando gli abitanti di Mirandola dovettero trovare il modo per conservare la carne di maiale, durante l’assedio dell’esercito di Papa Giulio II della Rovere. La leggenda narra che i maiali furono macellati per evitare che cadessero nelle mani degli invasori e le loro carni, macinate e insaccate nella cotenna e nelle zampe dei suini, diedero vita a questi prelibati prodotti.
La fiorentina toscana
Lo scrittore e gastronomo Pellegrino Artusi, la definisce come “una braciuola col suo osso, grossa un dito o un dito e mezzo, tagliata dalla lombata di vitella”. Sua maestà la Fiorentina deve le sue origini alla famiglia de’ Medici che governò Firenze e la Toscana tra il XV e il XVIII secolo. Durante la notte di San Lorenzo, infatti, la famiglia offriva al popolo quarti di bue arrostiti. L’animale indicato per le bistecche è il vitellone di razza Chianina, ma sono tollerate anche la Maremmana, la Marchigiana e la Romagnola, che possono essere macellate solo se tra un’età compresa tra i 12 e i 24 mesi.
Il coniglio alla marchigiana
Coniglio in potacchio, questo il piatto tipico marchigiano della domenica. Una ricetta semplice a base di carne bianca condita con rosmarino, aglio e vino bianco. Deve il suo nome al “potage” francese che vede cotte insieme carni e verdure cotte in un “pot”, un vaso di coccio.
Il Friccò umbro
Il friccò all’eugubina è una sorta di spezzatino di pollo, sugoso e saporito. Servito con la crescia, tipica focaccia umbra, il friccò è un piatto tradizionale di Gubbio. Ammessa anche la carne di maiale o di coniglio.
Arrosticini abruzzesi
Quelli originali sono di carne di pecora e devono la loro invenzione a due pastori del Voltigno che nel 1930 che tagliarono la carne di pecora vecchia in piccoli pezzi e ne fecero spiedini. Nati per rendere commestibile anche la carne meno pregiata, oggi gli arrosticini sono un piatto amato da tutti, consigliato l’abbinamento con il Montepulciano.
Abbacchio romano
L’abbacchio è l’agnello da latte ancora non svezzato, ed è uno dei piatti “sacri” della tradizione culinaria romana. Nell’antichità l’abbacchio era piatto un povero ed era cucinato dalle persone meno abbienti poiché la sua carne era considerata di basso livello. Ma come ogni piatto povero che si rispetti, anche questo è diventato un cult della cucina regionale laziale, tantissime le preparazioni. Al forno, in braciolette, alla cacciatora: ecco alcune delle varianti più famose per preparare questa gustosa carne d’ agnello.
Pampanella molisana
La pampanella è un piatto molisano a base di carne cotta al forno in un intingolo di aceto e peperoncino. Inventata dai pastori, che lo cuocevano direttamente nella terra, la pampanella deriva il suo nome da pàmpino, termine che indica le foglie all’interno delle quali un tempo si cuoceva la carne. Tipico piatto della provincia di Campobasso, è ancora oggi venduto durante sagre e feste locali.
Involtini di fegato pugliesi
I turcinelli o in dialetto pugliese turcinieddhi, gnumarieddi o gnumeriedde sono una specialità della tradizione contadina del Salento e della Valle d’Itria. Sono piccoli involtini a base di fegato: si utilizzano le interiora di agnello e di capra o di altri animali ( cuore, fegato, polmoni, milza) si cuociono alla brace, insaporiti in modo diverso in base alle zone della regione, principalmente con sale, pepe e prezzemolo.
Coniglio al modo di Ischia
La ricetta del coniglio all’ischitana nasce intorno al 470 a.C quando i siracusani invasero l’isola. La storia narra che i siciliani si cimentarono nella caccia dei conigli selvatici di cui Ischia era infestata e poi nella loro preparazione. Un piatto dal sapore inconfondibile che ancora oggi fa il suo ingresso trionfale sulle tavole imbandite per i giorni di festa.
L’agnello lucano
Si chiama cucinidd ed è un piatto tipico della basilicata a base di carne d’agnello, salsiccia, cardi e pancetta, a cui si aggiungono uova e formaggio. Una pietanza complessa e molto gustosa che la tradizione vuole come portata principale delle feste pasquali.
Stufato calabrese di interiora di vitello
Simbolo gastronomico della città di Catanzaro, il Morzeddhu, che in dialetto calabrese vuol dire piccolo morso, si prepara con il cuore, i polmoni, la milza, il fegato, lo stomaco e la trippa di vitello. Cotto in un intingolo di pomodoro, abbondante peperoncino piccante, sale e origano, questo stufato può essere servito al piatto o nella tipica pitta detta “a ruota di carro”.
La stigghiola siciliana
Antenata di tutti gli street food, la stigghiola o “vermicello di carne” è uno spiedino a base di budella di agnello (ma anche del capretto o addirittura del pollo) cotta alla brace e insaporita da limone, prezzemolo. La sua storia è molto antica: deriva da un piatto greco chiamato Kokoretsi tipico del periodo pasquale. La preparazione è molto lunga e complessa.
Porceddu sardo
L’ingrediente principale è il maialino da latte. Il segreto di questo piatto, di certo il più famoso della tradizione culinaria sarda, è il tipo di cottura che la tradizione vuole indiretta. La brace viene infatti sistemata attorno alla carne sospesa sullo spiedo alla giusta distanza, evitando di esporla troppo vicino a un calore che la renderebbe secca o rischierebbe di bruciarla. Per questo motivo la preparazione è piuttosto lunga e non dura mai meno di 4 ore.
Source: agi