La banca non può pagare interessi agli eredi prima della dichiarazione di successione


di Marcella Ferrari -Avvocato

Il Testo Unico in materia di imposta di successione e donazione impone il divieto alla banca di versare le somme agli eredi senza la prova del deposito della dichiarazione di successione. Si tratta di una disposizione imperativa tributaria; pertanto, l’istituto di credito può legittimamente negare il pagamento del controvalore dei titoli. Il credito degli eredi, stante l’impedimento ex legeè inesigibile e, in quanto tale, improduttivo di interessi, sia corrispettivi che di pieno diritto.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con l’ordinanza del 13 aprile 2021 n. 9670 (testo in calce).

Sommario

La vicenda

Un istituto di credito veniva evocato in giudizio dall’erede di una correntista. Egli chiedeva la condanna della banca al risarcimento del danno per la mancata corresponsione degli interessi su una somma di oltre 900 mila euro. Tale importo costituiva il controvalore dei titoli azionari della defunta; la cifra veniva lasciata dalla banca in giacenza su un conto transitorio e infruttifero, nel periodo compreso tra l’apertura della successione (1987) e la consegna della dichiarazione di successione (1997). In buona sostanza, la banca ha corrisposto il valore dei titoli azionari un decennio dopo l’incasso, senza versare gli interessi. In primo grado, la domanda risarcitoria dell’erede veniva accolta, mentre in sede di gravame era respinta. Si giunge così in Cassazione.

Divieto di pagare prima della dichiarazione di successione

Nel caso in esame, viene in rilievo il d.lgs. 346/1990, in materia di imposte di successione e donazione, in particolare, il comma 4 dell’art. 48 rubricato “divieti ed obbligo a carico di terzi”. La norma dispone il divieto per la banca di corrispondere i valori mobiliari appartenenti al dante causa (ossia il defunto) prima del deposito della dichiarazione di successione o integrativa, anche dopo il termine di cinque anni.

In altre parole, i debitori del de cuius (come la banca) non possono pagare le somme dovute agli eredi, se non sia stata fornita la prova della presentazione della dichiarazione, di successione o integrativa, con l’indicazione del relativo credito. Per la violazione del divieto è comminata una sanzione amministrativa a carico della banca variabile dal 100% al 200% dell’imposta dovuta (art. 53 d. lgs. 346/1990).

La questione di diritto

Ciò premesso, la Cassazione deve decidere se gli eredi abbiano diritto agli interessi sulle somme appartenenti al defunto, titolare del contratto di deposito, nel periodo in cui vi era sospensione dell’obbligo di pagare tale controvalore. Quindi, occorre valutare se la condotta dell’istituto di credito possa qualificarsi come inadempimento a causa del mancato pagamento.

Come vedremo, la Cassazione offre una risposta negativa al quesito di cui sopra.

La ratio del divieto

Tra il de cuius e la banca era stato concluso un contratto di deposito titoli1 (art. 1838 c.c.). Secondo la legge, il suddetto contratto prevede l’obbligo per la banca di “custodire i titoli, esigerne gli interessi o i dividendi, verificare i sorteggi per l’attribuzione di premi o per il rimborso di capitale, curare le riscossioni per conto del depositante, e in generale provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai titoli. Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante” (art. 1838 c. 1 c.c.). Con il decesso della titolare del conto è avvenuto un trasferimento a causa di morte, a favore dell’erede, del diritto alla corresponsione delle somme accreditate, temporaneamente, sul “conto sospeso o di attesa”. Tuttavia, il TU in materia di imposta di successione e donazione vieta all’istituto di credito di pagare prima di aver ricevuto la prova dell’adempimento fiscale (ossia la presentazione della dichiarazione di successione). La ratio del divieto consiste nel costringere gli eredi ad adempiere l’obbligo fiscale gravante su di loro. Pertanto, viene impedito alla banca di dare seguito alle loro richieste, senza la prova del suddetto adempimento fiscale. In tal modo, si evita di recare pregiudizio all’amministrazione finanziaria, tutelata da una disposizione di natura imperativa tributaria.

 Impedimento ex lege a pagare e credito inesigibile

In base a quanto sopra, emerge che la sussistenza di un divieto di esecuzione della prestazione sino al compimento dell’evento stabilito dalla legge. Pertanto, sino alla presentazione della dichiarazione di successione (o della dichiarazione negativa) il credito risulta inesigibile. Secondo la Cassazione, “la banca debitrice può legittimamente negare il pagamento del controvalore dei titoli, senza che controparte possa ritenersi titolare del diritto agli interessi corrispettivi o alla refusione di un danno risarcibile”. Come abbiamo già detto, sull’istituto di credito grava il divieto giuridico di esecuzione della prestazione stante il perseguimento di interessi pubblici preminenti.

Non sono dovuti interessi corrispettivi

Secondo l’erede, gli sono dovuti gli interessi sulle somme giacenti sul conto temporaneo per oltre un decennio, periodo intercorso tra il decesso (1987) e la dichiarazione di successione (1997). La Cassazione rigetta tale ricostruzione, infatti, gli interessi corrispettivi o di pieno diritto (art. 1282 c.c.) maturano su crediti liquidi ed esigibili, ma, nel caso di specie, il credito era inesigibile a causa del divieto ex lege.

Quindi, il divieto di pagamento, previsto dalla legge, impedisce:

  • all’erede del depositante di richiedere la restituzione delle somme,
  • e alla banca depositaria di pagare.

Ne consegue che gli interessi non sono dovuti, perché il debitore (la banca) adempie ad una norma fiscale imperativa. Se l’ordinamento imponesse il pagamento di interessi sarebbe in contraddizione con se stesso, infatti, da una parte non può vietare di pagare e dall’altra sancire il carico degli interessi.

Per completezza espositiva, si ricorda che gli interessi di pieno diritto o corrispettivi sono dovuti a titolo di remunerazione in cambio del vantaggio che il debitore consegue grazie alla disponibilità del denaro altrui.

Non sono dovuti interessi moratori

Gli interessi moratori (art. 1224 c.c.) sono dovuti in caso di ritardo nel pagamento e rappresentano un risarcimento forfettario per la mora (ossia il ritardo). Nel caso in esame, la condotta della banca non può qualificarsi come inadempimento. L’istituto di credito non è stato inerte ma ha rispettato un obbligo di legge. Infatti, “il precetto di non pagare è contenuto in disposizione a rilievo pubblicistico, con forza di norma imperativa, che spiega i propri effetti anche nell’ambito dei rapporti civili”. La Cassazione ricorda la disciplina sul ritardo nel pagamento delle transazioni commerciali ove è previsto che il creditore abbia diritto agli interessi moratori salvo che il debitore dimostri che il ritardo del pagamento sia dovuto dall’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile (art. 3 d.lgs. 231/2002). In definitiva, non è ravvisabile un inadempimento dell’istituto bancario, in considerazione della causa di inesigibilità imposta dalla legge e dell’insussistenza di un contratto tra le parti, che imponga il pagamento di interessi.

Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dall’erede ed enuncia il seguente principio di diritto:

  • “Il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 48, il quale pone in capo ai terzi il divieto legale di pagare le somme agli eredi prima della dichiarazione di successione, prevede un’ipotesi inesigibilità legale del relativo credito, restando inapplicabili gli artt. 1282 e 1224 c.c., salvo che gli interessi siano dovuti ad altro titolo”.

CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 9670/2021 >> SCARICA IL PDF


[1] La Cassazione ha ritenuto sussistente il contratto di deposito titoli, l’erede ha contestato tale ricostruzione, invocando altri tipi contrattuali, come il deposito irregolare. Secondo gli ermellini “la norma resta estranea alla vicenda in esame, posto, appunto, che la corte d’appello ha escluso – con accertamento non sindacabile in sede di legittimità – la conclusione di qualsiasi nuovo contratto con gli eredi della originaria cliente, ivi compreso quello in tal modo dal ricorrente evocato. Resta, dunque, inapplicabile la norma dell’art. 1782 c.c., come le altre disposizioni relative a diversi tipi contrattuali, pure richiamate dal ricorrente, attesa la incontestata conclusione con la dante causa di un contratto di deposito di titoli in amministrazione e custodia e la mancata prova della conclusione, direttamente con gli eredi, di un diverso contratto titolo della pretesa vantata

fonte: altalex