Situazione tesa in Kosovo dopo la morte di un poliziotto e tre militanti al confine con la Serbia: una trentina di uomini armati restano asserragliati in un monastero circondato dalla polizia kosovara a Banjska nel nord. Nell’edificio religioso si trovano alcuni pellegrini provenienti dalla Serbia e un abate, secondo quanto ha fatto sapere la diocesi; all’arrivo degli uomini armati si sono chiusi all’interno del monastero. Le autorità kosovare non hanno diritto di intervenire all’interno di chiese e monasteri ortodossi senza l’autorizzazione della Chiesa; il premier Albin Kurti ha mostrato alla stampa alcune foto degli uomini armati e vestiti da militari.
Le tensioni al confine erano iniziate prima dell’alba, quando un poliziotto di pattuglia vicino al confine con la Serbia è stato ucciso in seguito all’attacco “da diverse posizioni con armi pesanti, comprese le granate”, secondo la polizia. Uno dei suoi colleghi è rimasto ferito. Il premier Kurti ha condannato l’attacco come “criminale e terroristico” e ha accusato “funzionari di Belgrado” di offrire supporto logistico e finanziario “alla criminalità organizzata”. Il presidente, Vjosa Osmani, si è detto d’accordo, affermando che “questi attacchi dimostrano, se ce ne fosse bisogno, il potere destabilizzante delle bande criminali, organizzate dalla Serbia”. Il presidente serbo Aleksandar Vucic ha reagito annunciando che avrebbe preso la parola alle 20 per “sfatare tutte le bugie di Albin Kurti, che sta creando solo caos e inferno” in Kosovo.
La Serbia, sostenuta dai suoi alleati russi e cechi, rifiuta di riconoscere l’indipendenza che la sua ex provincia ha dichiarato nel 2008. Gli 1,8 milioni di abitanti del Kosovo, la maggior parte dei quali di origine albanese, comprendono una comunità serba di circa 120.000 persone, soprattutto nel nord e alcuni di loro rifiutano qualsiasi fedeltà a Pristina. (AGI)
VEN