Istat, recessione demografica: l’Italia non è un paese di giovani


Di Daiana De Luca (Responsabile Comunicazione Confedercontribuenti)


Che l’Italia del sole, del mare, dell’arte e della cultura non fosse un paese per giovani, lo abbiamo più volte segnalato e sostenuto; l’immagine del Belpaese che oggi vi raccontiamo, è quella, però, di un’Italia fatta più da aspiranti nonni che da nipoti. Come dire? L’Italia non è né un paese per giovani né un paese di giovani.

A dircelo è  il bilancio demografico nazionale diffuso dall’Istat che certifica infatti, al 31 dicembre 2019, un nuovo calo delle nascite nella nostra Ppenisola (solo 420 mila, in calo del 4,5 %) rispetto all’anno precedente: pensate che il dato è il più basso dall’Unità d’Italia ad oggi. Complice anche la diminuzione degli arrivi degli stranieri sul territorio nazionale, che negli anni precedenti avevano contribuito ad incrementare la natalità con una incidenza comunque significativa, il calo demografico con una riduzione di oltre 19 mila unità, è particolarmente accentuato al Centro-Sud. A livello regionale, poi, il primato negativo è del Molise (-1,14%), seguito dalla Calabria (0,99%) e dalla Basilicata (0,97%). All’opposto, incrementi della popolazione si osservano nelle province di Trento e Bolzano (+ 27% – +30%), in Lombardia (+ 0,16%) ed Emilia Romagna (+ 0,99%). Non è un caso, o forse si, che il calo sia maggiormente riscontrabile in aree geografiche  che, per antonomasia, sono anche le più “povere”: quelle in cui il tasso di disoccupazione diventa sempre più preoccupante.

Secondo l’Istat, i fattori che hanno portato ad una diminuzione  delle nascite andrebbero ricercate nella progressiva riduzione della popolazione italiana in età feconda ( causata dalla denatalità registrata a partire dagli anni 70) e nella progressiva diminuzione del numero di stranieri che nascono in Italia, appunto. Noi più prosaicamente, riteniamo che in Italia non si facciano più figli, invece, per la assoluta mancanza di politiche volte ad attuare misure concrete a sostegno della famiglia.

Eppure, come ogni buona propaganda politica, e senza colore, che si rispetti, proprio la famiglia risulta ormai al centro del dibattito condotto dalle maggioranze ed opposizioni che periodicamente si susseguono. Di fatto, “quel che appare quasi mai è quel che è”, perché le donne, si sa, sono lasciate sempre più sole a dover decidere del loro futuro. Family Act a parte, di cui siamo curiosi vedere l’incidenza, è ormai questione diffusa che nel Belpaese le donne in età fertile si trovino molto spesso a dover scegliere tra famiglia e lavoro. Di fatto la condizione delle lavoratrici-mamme risulta davvero poco tutelata se queste hanno un impiego privato; fanno eccezione, invece, le dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni, che godono delle tutele previste dalla legge ( che noi ci auguriamo possano essere concretamente estese alle donne lavoratrici nel settore privato). Ecco perché, forse, qui da noi, in controtendenza rispetto agli altri Paesi europei, l’età media per avere il primo figlio si è spostata intorno ai 35 anni, con tutte le conseguenze del caso e che non stiamo qui ad elencarvi.

Quel che possiamo fare, invece, è ribadire che un paese nel quale le culle sono sempre più vuote e gli aspiranti nonni sempre più numerosi, necessita di misure idonee a sostenere le donne, lavoratrici e mamme, rendendo meno traumatica la loro scelta di vivere il viaggio più bello che si possa fare: avere un figlio. Per far questo, occorrono, però, scelte di governo coraggiose ed  aiuti concreti alle famiglie. E che questo sia , non solo un auspicio ma una idea lungimirante.