Isadora Duncan


 

Di Arianna Ghirlardotti

Fonte @enciclopediadelledonne

Considerata la fondatrice della danza moderna, visse sempre in anticipo sui tempi e al di fuori degli schemi correnti. Ebbe tre figli da uomini diversi, e ne sposò un quarto, più giovane di lei di diciotto anni, il poeta Sergej Esenin. La danza era la sua religione: non il balletto classico, di cui aborriva le convenzioni e le posizioni artificiali, ma una danza che fluisse liberamente da un movimento spontaneo, basato sul ritmo della natura, così come lo intendevano gli antichi Greci.
L’immagine emblematica di questo movimento, che Isadora cercava di riprodurre nelle sue danze, era l’onda: l’andamento su cui si muovono il suono e la luce, una linea ininterrotta che simboleggia la ciclicità e l’energia della natura, che continuamente si rigenera. Le sue idee, fortemente influenzate da una rielaborazione molto personale dei classici e delle opere di Nietzsche, e i suoi spettacoli ispirati all’Antichità e al Rinascimento, in cui si esibiva scalza, con i capelli sciolti e avvolta in veli fluttuanti, ebbero ben presto grande successo in tutta Europa.
A Berlino, nel 1903, tenne una famosa conferenza sulla danza del futuro, ritenuta una sorta di manifesto della danza moderna. Nel 1904, dopo aver riempito i più importanti teatri di tutte le capitali d’Europa, partì per una tournée a San Pietroburgo, che ebbe grandi ripercussioni nel mondo del balletto russo; e infatti lo stesso Diaghilev, il mitico fondatore dei Ballets Russes, futuro committente di Stravinskij e di Picasso, dichiarò che era stata Isadora a indicargli la via da intraprendere.
Aveva una spiccata vocazione pedagogica; convinta com’era che l’artificiosità del balletto classico fosse contraria allo sviluppo armonico delle fanciulle, sentiva l’insegnamento come una missione. Fondò varie scuole: due in Germania, una a Parigi, che fu costretta a chiudere quasi subito per lo scoppio della prima guerra mondiale, e una a Mosca, dove fu chiamata dal commissario del popolo per l’istruzione. Proseguirono l’opera di diffusione delle sue teorie le sue prime allieve, che Isadora aveva adottato ufficialmente: Anna, Theresa, Irma, Lisa, Gretel ed Erika, le cosiddette “Isadorables”.
Nel 1913 un’immane tragedia segnò irrimediabilmente la vita di Isadora. I suoi due bambini, Deirdre di 7 anni, figlia dell’attore e regista Gordon Craig, e Patrick, di 3, figlio dell’industriale e mecenate Paris Singer, morirono annegati insieme alla loro governante per un assurdo incidente: la vettura su cui viaggiavano si era fermata e l’autista era sceso per far ripartire il motore con la manovella, senza innestare il freno a mano, per cui l’auto si era messa in moto ed era finita nella Senna.
L’anno dopo Isadora ebbe un altro figlio, morto appena nato, da una fugace relazione con un giovane artista italiano. Da allora cominciò a bere, e la sua vita divenne sempre più sregolata.
Il matrimonio con Esenin, che aveva conosciuto durante l’esperienza sovietica, durò pochissimo: quindici mesi di inferno. Ovunque andassero, Esenin dava scandalo, si ubriacava, spaccava tutto. L’ultima tournée americana di Isadora fu un disastro: i critici si presero impietosamente gioco dei suoi capelli tinti e della figura appesantita. Al ritorno in Europa, Esenin la lasciò; si sarebbe suicidato due anni dopo.
Negli ultimi due anni di vita Isadora si divise tra Nizza e Parigi, spesso ubriaca, sempre squattrinata, assistita dai pochi amici che le erano rimasti.
La sera del 14 settembre 1927, un amico venne a prenderla al ristorante sulla Promenade des Anglais a Nizza, nella sua auto sportiva scoperta. Le lunghe frange della sciarpa che portava al collo si impigliarono nei raggi di una ruota, e non appena l’auto partì la strangolarono in una stretta mortale, spezzandole l’osso del collo. La morte fu istantanea. La fine di Isadora, tragica e spettacolare come era stata la sua vita, suscitò grandissima impressione in tutto il mondo. La vita le aveva servito, insieme alle perle, le sue carte più tragiche e grottesche, il che non impedì alla grazia e alla forza del suo lavoro di fare ancora molta, molta strada.