Iran: Raisi il presidente che aspira a Guida Suprema


Ebrahim Raisi, il cui destino rimane incerto dopo la notizia dell’incidente dell’elicottero sui cui viaggiava nel Nord-Ovest del Paese, è presidente della Repubblica islamica da tre anni, in un contesto di forti tensioni internazionali e diffusa contestazione interna. L’ayatollah Raisi, 63 anni, è considerato un ultraconservatore ed è stato il candidato appoggiato dalla Guida Suprema, Ali Khamenei, nelle presidenziali del 2021, quando ai rivali principali fu impedito di candidarsi. Con la presidenza di Raisi, tutti i rami del potere in Iran sono finiti sotto il controllo delle fazioni estremiste anti-occidentali, fedeli a Khamenei, e si è intensificata la repressione del dissenso. Presentandosi come paladino delle classi svantaggiate e della lotta alla corruzione, Raisi è stato eletto il 18 giugno 2021 al primo turno di una votazione caratterizzata da un’astensione record e dall’assenza di reali concorrenti. È succeduto al più moderato Hassan Rouhani – fautore dell’accordo sul nucleare del 2015 – che lo aveva battuto alle elezioni presidenziali del 2017 ma che non poteva più ricandidarsi dopo due mandati consecutivi. Raisi è uscito rafforzato dalle elezioni legislative tenutesi a marzo scorso, la prima consultazione nazionale dopo il vasto movimento di protesta Donna, vita, libertà che ha scosso l’Iran alla fine del 2022, in seguito alla morte di Mahsa Amini, la ragazza morta a Teheran mentre era in custodia della polizia morale, che l’aveva arrestata perché non avrebbe indossato correttamente il velo. Il Parlamento, che si insedierà il 27 maggio, sarà in gran parte sotto il controllo dei conservatori e degli ultraconservatori, che sostengono il suo governo.
Negli ultimi mesi, Raisi si è presentato come un avversario risoluto di Israele, il nemico giurato della Repubblica islamica, sostenendo Hamas fin dall’inizio della guerra con Israele nella Striscia di Gaza, seguita alla carneficina del 7 ottobre nei kibbutz. Ha salutato con favore l’attacco senza precedenti lanciato dall’Iran il 13 aprile contro Israele, con 350 droni e missili, la maggior parte dei quali sono stati intercettati con l’aiuto degli Stati Uniti e di numerosi altri Paesi alleati. Nato nel novembre del 1960 nella città santa sciita di Mashhad (Nord-Est), Raisi ha fatto carriera nel sistema giudiziario per tre decenni, dopo essere stato nominato procuratore generale di Karaj, vicino a Teheran, a soli 20 anni, in sulla scia della vittoria della Rivoluzione islamica del 1979. Nel 2016, Khamenei lo ha posto alla guida della potente fondazione benefica Astan Quds Razavi, che gestisce il mausoleo dell’Imam Reza a Mashhad oltre a un immenso patrimonio industriale e immobiliare. Nel 2019, Khamenei lo pone alla guida della magistratura e poco dopo scattano nei suoi confronti le sanzioni statunitensi, per il ruolo che ha avuto nelle esecuzioni di migliaia di prigionieri politici nel 1988; una responsabilità che gli è valsa l’appellativo di “macellaio di Teheran”. L’Iran non ha mai riconosciuto tali uccisioni. Come temuto dai dissidenti, la sua presidenza ha visto un’impennata di esecuzioni capitali e di repressione. Senza molto carisma e sempre con in testa il classico turbante nero che caratterizza i ‘seyyed’, i discendenti di Maometto, Raisi ha frequentato i corsi di religione e giurisprudenza islamica dell’ayatollah Khamenei. E’ sposato con Jamileh Alamolhoda, professoressa di scienze dell’educazione all’Università Shahid Beheshti di Teheran, dalla quale ha avuto due figlie.
Il presidente iraniano è considerato tra i favoriti per la successione all’ormai anziano e malato Khamenei. Se dovesse aver perso la vita nell’incidente di oggi, la guida del governo passerebbe al suo vice, Mohammad Mokhber, e dovrebbero essere indette nuove elezioni entro i prossimi 50 giorni. (AGI)
ALL