Iran, qui non brucia la bandiera americana, a bruciare è quella della Repubblica islamica


“Il nostro regime islamico è come l’Isis, è come Hamas e per questo deve essere abbattuto” Le donne e gli uomini iraniani gridano nelle piazze, non hanno paura, si ribellano al regime e non cedono all’indottrinamento che li vorrebbe odiatori dell’America,

Mariano Giustino

Per 45 anni nella voce dei bambini è riecheggiata la retorica di coloro che li indottrinavano e che gli facevano cantare a squarciagola: “Morte all’America” e “Morte a Israele”. Ora la musica è cambiata e nelle piazze iraniane i giovani gridano: “Il nostro regime islamico è come l’Isis, è come Hamas”. Non hanno ceduto a quell’indottrinamento che li voleva odiatori dell’America, dell’Occidente e di Israele. Oggi si ribellano. L’8 ottobre, la notte successiva al pogrom di Hamas, a Teheran in pieno centro, alcuni coraggiosi iraniani fecero pendere da un edificio una bandiera israeliana con questa scritta: “Il dolore del popolo di Israele e dell’Iran è lo stesso, anche questa è lotta al terrorismo! Khamenei, nazista, saluta, è giunta la tua fine!”.
Per 45 anni nella voce dei bambini e degli adolescenti è riecheggiata la retorica di coloro che li indottrinavano e che gli facevano cantare a squarciagola slogan come “Morte all’America” e “Morte a Israele”. Per 45 anni la Repubblica islamica ha cercato di fare il lavaggio del cervello alla popolazione, ha indottrinato i bambini fin dalla più tenera età, instillando l’odio per l’occidente, per l’America, per Israele e per gli ebrei e insegnando, sin dalle scuole elementari, a bruciare la bandiera statunitense e quella della stella di Davide, ma ora gli iraniani e le iraniane bruciano la bandiera della repubblica islamica e gridano nelle loro manifestazioni: “Il nostro regime islamico è come l’Isis è come Hamas e per questo deve essere abbattuto”. Sono slogan questi risuonati in Iran anche in questi giorni drammatici per Gaza, slogan diffusi anche in Rete dai giovani, uomini e donne iraniane, che stanno eroicamente sacrificando a mani nude la propria vita per sbarazzarsi di un regime che definiscono terroristico.
Masih Alinejad, la leader del “Mercoledì Bianco”, del movimento in Iran “Donna, vita, libertà”, dagli Stati Uniti, dove si trova in volontario esilio, e la premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, dal carcere di Evin, fanno appello alla comunità internazionale affinché sostenga la lotta delle coraggiose donne iraniane che ogni giorno a mani nude affrontano le pattuglie dell’Ershad (la polizia morale) rischiando la vita per la liberazione del loro paese da quello che considerano un orribile regime che pratica l’apartheid di genere e che tortura e impicca i propri oppositori. I pasdaran hanno creato un’atmosfera terrificante per le donne, come si vede dai video girati nelle metropolitane di Tehran che mostrano donne che resistono alla polizia morale e che sono trascinate via mentre gridano aiuto.
Per le generazioni più giovani, la lotta dei palestinesi per la loro terra è percepita semplicemente come un giocattolo retorico con cui la leadership iraniana vuole rafforzare la propria influenza nel mondo musulmano.
“No per Gaza [Hamas], no per il Libano [Hezbollah], la mia vita è solo per l’Iran”. Sono questi gli slogan delle donne e degli uomini che si sono uditi nelle strade dell’Iran nelle diffuse proteste antiregime dopo la barbara uccisione della giovane curda Jina, Mahsa Amini. Ma questi slogan sono esattamente quelli che nel corso degli ultimi decenni sono stati gridati nelle strade dell’Iran dal movimento per i diritti civili. È a partire dal Movimento Verde del 2009 che gli iraniani esprimono più apertamente il loro sgomento e il disappunto per l’élite al potere accusata di destinare una cospicua parte delle risorse del proprio paese per sostenere gruppi islamisti che opprimono il popolo palestinese. “Né Gaza, né Libano: darò la vita per l’Iran” è stato proprio uno dei primi slogan emersi per sfidare il dogma del regime.
Più recentemente, quando i manifestanti hanno incominciato a esprimere le loro rimostranze economiche, uno dei ritornelli più ricorrenti che risuonavano nelle piazze era: “Abbandona la Palestina; pensate ad una soluzione per noi”.
Molti contribuenti e imprenditori iraniani ritengono che i fanatici militanti di Gaza, così come altri proxi di Tehran, come Hezbollah libanese, siano pozzi senza fondo che consumano la ricchezza iraniana e che producono il suo isolamento internazionale. Ritengono che la questione palestinese abbia soppiantato la necessità di provvedere alle loro urgenze economiche.
Esiste dunque per la popolazione iraniana una diversa valutazione del conflitto israelo-palestinese che la Repubblica islamica non vuole riconoscere. Un recente sondaggio sull’opinione pubblica araba, turca e iraniana condotto da Zogby Research Services e istituti di ricerca che monitorano la società iraniana ci dicono che circa l’80% della popolazione è contraria alla politica di annientamento di Israele e non ha alcun problema nel riconoscere la sua legittima esistenza e desidera la convivenza con lo Stato ebraico. È questa, più o meno, la stessa percentuale di coloro che non hanno voluto dare legittimazione alla Repubblica islamica astenendosi dal voto farsa dello scorso 1° marzo. Anche all’interno dello stesso clero sciita e dell’apparato istituzionale della Repubblica islamica emergono forti divergenze rispetto alla posizione intransigente nei confronti di Israele da sempre assunta dalle leadership che si sono susseguite.
Ma quel che spinge i giovani del movimento “Donna, Vita, Libertà” a schierarsi per Israele è la comune condizione di oppressione. Infatti, sia gli iraniani che i palestinesi sono ostaggi di regimi e organizzazioni dispotiche e fanatiche. I giovani rivoluzionari in Iran sono consapevoli che il loro paese è oppresso dai mullah e dai mercenari di Khamenei, cioè i pasdaran, onnipotente e corrotto braccio armato che amministra ampia parte dell’industria militare, della finanza e dell’energia iraniana e che è direttamente coinvolto, da sempre, nelle attività terroristiche contro Israele in Siria, in Libano, in Iraq e in Yemen, e sono consapevoli che i palestinesi a loro volta sono ostaggio di Hamas. Sanno che il regime sta conducendo una guerra per procura per distruggere Israele.
Se all’alba della rivoluzione del 1979 esisteva un genuino consenso nazionale sul fatto che la resistenza alle politiche di Israele fosse una responsabilità morale e umana, quell’impegno si è dissolto a causa degli eccessi insiti nella dottrina della Repubblica islamica e ora i Millennials e la Generazione Z sono lontanissini dal regime autocratico e teocratico, dalla sua propaganda e dai tentativi del governo di imporre la propria supremazia sulla loro vita e sui loro spazi privati. Vedono il mondo dai loro smartphone e vogliono vivere come vivono e si divertono i loro coetanei nei paesi occidentali.
L’8 ottobre, la notte successiva al pogrom di Hamas nei kibbutz israeliani,
a Tehran, in pieno centro, alcuni coraggiosi iraniani fecero pendere da un edificio una bandiera israeliana con questa scritta: “Il dolore del popolo di Israele e dell’Iran è lo stesso, anche questa è lotta al terrorismo! Khamenei, nazista, saluta, è giunta la tua fine!”.
Quando si è sparsa la notizia che nell’attacco israeliano al consolato di Damasco erano morti sette comandanti delle Forze Quds delle guardie rivoluzionarie, tra cui il generale Mohammed Reza Zahedi, figura di spicco delle unità d’élite specializzata nell’intelligence militare all’estero, gruppi di studenti e di persone hanno festeggiato offrendo dolci e bevande alla popolazione.
All’inizio del 2024 i campus universitari si univano alle proteste per l’abbattimento del volo 752 della Ukraine International Airlines da parte dei pasdaran. Un considerevole gruppo di manifestanti fuori dall’Università Shahid Beheshti di Tehran si era rifiutato di calpestare una gigantesca bandiera di Israele dipinta a terra. La bandiera era stata impressa sul marciapiede dalle autorità affinché i pedoni la calpestassero mancando di rispetto allo Stato ebraico.
Sebbene quella manifestazione non fosse legata al conflitto israelo-palestinese, l’episodio degli studenti che si sono rifiutati di calpestare la bandiera della Stella di Davide è un esempio emblematico di come la nuova generazione si faccia beffe della propaganda del regime esprimendo il proprio malcontento verso l’establishment clericale.
Il regime fa fatica a imporre il rispetto dell’odioso codice di abbigliamento, le donne sono disposte a sacrificare la loro vita per difendere la propria dignità e la propria libertà ed escono di casa con i loro capelli al vento, sapendo che possono anche non farvi ritorno e di essere arrestate e torturate o stuprate. Per questo le autorità iraniane utilizzano l’arma del terrore e ieri la Repubblica islamica ha emesso una condannato a morte per il famoso rapper Toomaj Salehi. Il popolare artista dell’hip hop e compositore aveva cantato la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” e la sua musica ha accompagnato la voce dei giovani durante le manifestazione in Iran. Ora la vita del rapper Toomaj dipende dalla pressione della mobilitazione della comunità internazionale.