Di Michele Orlando
Quante volte abbiamo rincasato la sera accusando dei brividi e della stanchezza.
Una frugale cena ed il desiderio di trovare ristoro fra le copeter.
Ma la notte è breve, perché dopo qualche ora ti svegli in preda a dei tremori e senti di avere la febbre; 39. Una tachipirina te l’allevia e ti da il conforto, ma la mente non si acquieta di fronte a quel malessere che nel corso della tua vita hai accusato chissà quante volte; è un tutt’uno nel corso della notte il pensiero verso quello che sta accadendo in tutto il mondo.
Ho trascorso le giornate segnate dai volti della gente coperte da mascherine, portate più o meno rigorosamente, confrontando quelli che invece disprezzano la cautela. Il turbamento covid ti accompagna pensando che c’è , ma forse non ti colpirà; è un modo di scongiurare la paura.
Ma in quella notte di malore, il covid l’ho sentito vicino, quasi presente; invero, perché escluderlo che si trattasse di quella bestia. Le ore successive della notte l’ho trascorse pensando a chi dovessi telefonare la mattina per chiedere cosa fare.
Un amico dell’ Asp di Caltanissetta mi ha indirizzato immediatamente al triage dell’ ospedale di Gela dove non ho atteso niente per essere accolto. Eseguono il primo tampone: positivo dopo mezz’ora; ci resto male, ma non sono affatto pentito della scelta di essermi recato subito all’ ospedale; spero ancora che il secondo tampone non confermi il primo esito; ma non è cosi. Ho il covid. Mentre i medici e gli infermieri applicano il protocollo degli esami, spero che mi diano il tempo di poter avvertire i miei cari che nelle ore precedenti mi erano stati vicini. Lo faccio, ma nello stesso tempo il pensiero va verso coloro e i tanti che negli ultimi giorni possano avere avuto un contatto con me. Ho sentito la responsabilità sociale di quello che mi era capitato. Gli altri dovevano sapere.
Come fare? Il dubbio non dura molto, perché se tutte le occasioni sono buone per postare sui social, quale canale migliore di facebook mi avrebbe consentito di dare la notizia di avere contratto il virus.
Compilo un post in cui affermo chiaramente di essermi ammalato e traggo occasione per invocare a chiunque leggesse di trarre insegnamento che il male è più vicino a tutti noi ed il contaggio è imprevedibile e misterioso. Ho accusato le vesti della persona normale che si fosse imbattuta nel contaminazione; un normalità segnata da una condotta di vita prudente, sobria, senza aperitivi, locali pubblici, raduni.
Il male mi ha colpito nascosto laddove non puoi immaginare che si trovi; non sai chi incontri e ti può infettare, non bastano le regole lanciate perché tali regole possono essere tradite da un morbo misterioso che non si è ancora fatto scoprire.
E’ più forte e subdolo di tutti noi, degli scienziati, dei medici.
E’ un cecchino. Come ci comporteremmo se veramente avessimo conoscenza che in città si annida un cecchino che ti spara nel corso delle tue ordinarie occupazioni.
Anche se vai a finire per fortuna a curarti in casa, stai male; tossisci, sudi e pensi che i sintomi si possano aggravare.
E’ angosciante, nonostante la prognosi dopo sette giorni non è preoccupante.
Ma se andrà tutto bene, il segno ti rimarrà.
Preoccupatevi per voi stessi, ma soprattutto per gli altri.