In Yemen si concorda una tregua per due mesi, civili stremati da 7 anni


AGI – A partire da oggi e per due mesi le parti coinvolte nella guerra in Yemen osserveranno una tregua, rispondendo positivamente ad una proposta delle Nazioni Unite. Un’intesa che apre uno spiraglio di speranza nel Paese mediorientale al collasso per un conflitto che dura da 7 anni ma non fa più notizia e nel quale sono i civili a pagare il prezzo più alto: oltre 20 milioni necessitano di assistenza umanitaria urgente. La sospensione delle ostilità dovrebbe interrompere una spirale di violenza che da inizio 2022 ha raggiunto il livello più alto dal 2016. “Quest’anno è quello più letale degli ultimi sei.

Durante i primi due mesi del 2022 ci sono stati più morti che durante tutto il 2020 e il 2021. Dopo il mancato rinnovo del mandato del Gruppo di eminenti esperti (GEE), lo scorso ottobre, il numero di morti è triplicato ogni mese” ha riferito Iona Craig, incaricata di raccogliere i dati sulla guerra per l’Ong Yemen Data Project. Privato di osservatori internazionali, negli ultimi mesi lo Yemen è nuovamente sprofondato nella violenza più estrema e dallo scorso 24 febbraio i belligeranti hanno ulteriormente infierito approfittando della mobilitazione della comunità internazionale sul conflitto in Ucraina.

La tregua giunge in un contesto di “condizioni umanitarie sempre più drammatiche” per la popolazione, totalmente dipendente dagli aiuti umanitari, “vitali” quanto complicati da far arrivare per le restrizioni dell’embargo vigente. Le testimonianze dirette di chi opera sul campo da anni, accanto ai più indifesi, tra cui Medici Senza Frontiere (MSF), fanno emergere un quadro davvero raccapricciante. “Mancano l’acqua potabile, la luce, il gas, il cibo, il carburante, i medicinali, le case. Non ci sono rifugi sicuri per i civili costretti a spostarsi più volte per la volatilità della linea di fronte: bambini e donne sono i soggetti più vulnerabili. Le infrastrutture sono state distrutte o pesantemente danneggiate. Il sistema sanitario nazionale è al collasso” ha riferito da Sanaa Federica Ferraresi, capomissione di MSF.

Al collasso in Yemen è anche il sistema economico, con un’inflazione a due cifre, i prezzi alle stelle del cibo sui mercati e il potere di acquisto della moneta locale dimezzato rispetto al dollaro. Le parti in conflitto hanno colpito con un certo accanimento le strutture civili, a cominciare dagli ospedali e dalle strutture sanitarie, di cui il 50% non è più funzionante. Quelle rimaste in piedi sono spesso inutilizzabili, il personale non riceve salario, mancano i medicinali, i servizi erogati sono sempre più carenti e soprattutto sono a pagamento, escludendo di fatto la maggior parte della popolazione.

In sette anni di attacchi indiscriminati sono morte oltre 380 mila persone, di cui il 40% sono vittime dirette del conflitto e il 60% indirette, per svariate cause che vanno dall’incidente stradale al parto, dalla malnutrizione alle patologie non curate, dalla mancanza di farmaci all’arrivo troppo tardivo negli ospedali. Oggi gli sfollati interni sono 4 milioni, di cui un milione nel Governatorato di Marib. Con le ultime escalation del conflitto, nel Governatorato di Marib i numeri degli interventi sanitari sono in forte aumento e sicuramente sono destinati a crescere. Come rilevato dal gruppo di protezione dell’Onu, nell’ultimo trimestre 2021 era già aumentato del 50% il numero dei feriti, in 1.500 contro 800 tra giugno e settembre 2021.

A complicare gli interventi umanitari sono anche le regole d’ingaggio, in quanto MSF e le altre Ong per poter operare devono sottoscrivere protocolli con le due parti in conflitto che si spartiscono il controllo del territorio nazionale, ovvero da un lato i ribelli Huthi sostenuti dall’Iran e dall’altro la coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati arabi. Dal suo dispiegamento, nel settembre 2017, il Gruppo di eminenti esperti ha costantemente chiesto ai contendenti di non colpire bersagli civili e ai principali esportatori di armi – Stati Uniti, Francia e Regno Unito – di interrompere il sostegno a Riyad. Tale pressione ha spinto l’Arabia Saudita a mettere un freno alle sue incursioni aeree particolarmente distruttive, ma alla fine facendo leva su investimenti e minacce di divieto di pellegrinaggio alla Mecca, Riyad ha ottenuto la sospensione del GEE, segnando un primato tragico nella storia del Consiglio dei diritti umani dell’Onu e aprendo la strada a violazioni indiscriminate dei diritti umani.

I bombardamenti sauditi hanno ripreso con una certa intensità, danneggiando infrastrutture civili e facendo nuovamente sprofondare i yemeniti nella violenza estrema. Secondo le proiezioni del Yemen Data Project, nel 2022 le vittime del conflitto rischiano di essere almeno 470 – il peggior bilancio dal 2017 – ma potrebbero raggiungere quota 5 mila. “In questi ultimi mesi l’impressione è che regni una totale l’impunità e la situazione stia ulteriormente peggiorando” ha testimoniato Sukaina Sharafuddin dell’Ong Save The Children. Oltre all’insicurezza diffusa che terrorizza i più piccoli, le famiglie devono fare i conti con la carestia: molti genitori saltano i pasti per dare qualcosa da mangiare ai propri figli e non di rado i bambini muoiono di fame in Yemen. Come se non bastasse, la popolazione yemenita prova un sentimento di abbandono da parte della comunità internazionale.

“L’Ucraina sta assorbendo tutta l’energia all’Onu. Tutte le altre crisi vengono messe da parte. Un modo di vedere le cose in chiave positiva è sperare che se alla fine si raggiungono risultati significativi sulla responsabilizzazione dei belligeranti in Ucraina, sarà utile per stabilire un nuovo standard per altri Paesi in guerra” ha auspicato Sherine Tadros di Amnesty International. Nel caso dell’Ucraina, sin dal 4 marzo il Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha deciso di istituire una commissione sulle violazioni del diritto internazionale, solo una settimana dopo l’inizio dell’offensiva. “Non spingeteci ad essere gelosi di altri civili in altre zone di conflitto. In ogni guerra i civili meritano di essere difesi, qualunque sia la loro origine” ha concluso Radhya Al-Mutawakel, presidente dell’Ong yemenita Mwatana for Human Rights.

Source: agi