Gli ambientalisti denunciano l’aggiramento della direttiva europea e temono l’apertura di una procedura d’infrazione, perché il Dlgs 196/2021, pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale il 14 gennaio, si limita ad imporre la sostituzione dei materiali di produzione con altri biodegradabili e compostabili. E questo non elimina l’abitudine dell’usa e getta
di redazione
È entrato in vigore dal 14 gennaio il divieto, contenuto nell’articolo 5 del Dlgs 196/2021, della vendita al consumo di prodotti in plastica monouso (“Sup-single use plastics”) che non siano biodegradabili e compostabili in base alla normativa Uni En 13432 o Uni En 14995. Tali prodotti devono essere prodotti impiegando materie prime rinnovabili in misura non superiore al 40%, percentuale che a partire dal 2024 sarà elevata al 60%. Vietati anche i prodotti in plastica “oxodegradabili”, che contengono additivi chimici per la frammentazione
Le nuove disposizioni si inquadrano nella direttiva europea (Ue 2019/904) per la plastica nell’economia circolare, approvata dalla Commissione Ue nel gennaio 2018.
Il decreto prevede che da quest’anno al 2024, uno stanziamento, a carico del ministero della Transizione ecologica, di dieci milioni l’anno per la riconversione dei cicli produttivi e un credito d’imposta per le aziende produttrici.
I contenitori non di vetro di bevande fino a tre litri e gli imballaggi compositi di bevande i cui coperchi rimangono attaccati al contenitore devono riconvertire le modalità di fabbricazione. In più i produttori hanno l’obbligo di imprimere su questi manufatti una marcatura per informare i consumatori sulla presenza di plastica e sulle modalità di smaltimento del rifiuto.
Viene consentita soltanto la vendita, fino ad esaurimento, delle scorte immesse sul mercato prima della data di entrata in vigore del decreto, cioè il 14 gennaio 2022. Dopo di ciò, dal 1° luglio 2022 (nuovo termine fissato dal decreto “milleproroghe” del 2021) l’immissione sul mercato di imballaggi sarà punita con severe sanzioni.
Scattato anche il divieto di vendita di prodotti come i contenitori per cibi e bevande in polistirene espanso e i relativi tappi e coperchi, i contenitori per alimenti da asporto, pronti per il consumo immediato, i cotton fioc, perfino le aste di plastica per tenere i palloncini.
Tuttavia, pur essendo considerata un passo avanti, la nuova normativa non soddisfa del tutto gli ambientalisti. Si sottolinea la mancanza, a tutt’oggi, dei decreti attuativi, a cominciare da quelli di spettanza del ministero della Transizione ecologica. Il presidente di Legambiente, Ciafani, denuncia poi l’apparizione in questi giorni sul mercato di prodotti assimilabili a quelli monouso ma che sono definiti come “riutilizzabili”, il che provocherà “un incremento dell’utilizzo di plastica piuttosto che una sua diminuzione”; insomma, varata la legge, trovato l’inganno. Per Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia “Il nostro Paese ha ignorato l’obiettivo di promuovere soluzioni basate sul riutilizzo”, rischiando così l’avvio di una procedura d’infrazione.
Giuseppe Ungherese spiega: “La direttiva offriva l’opportunità di andare oltre il monouso e la semplice sostituzione di un materiale con un altro, promuovendo soluzioni basate sul riutilizzo. Un obiettivo che è stato volutamente ignorato dal nostro Paese. Limitare i danni delle plastiche sull’ambiente non vuol dire sostituire i materiali, spostando così gli impatti su altri comparti ambientali e lasciando inalterato il modello dell’usa e getta”.
Si lamenta inoltre la mancanza di chiarezza su quando una plastica possa essere definita biodegradabile o compostabile nonché “l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva dei prodotti dotati di rivestimento in plastica con un peso inferiore al 10 per cento dell’intero prodotto. “Su questa tipologia di articoli – è sempre il presidente di Greenpeace Italia a parlare – i dettami comunitari non prevedono tuttavia alcuna deroga” pertanto “ci auguriamo che l’Unione europea imponga al governo italiano le modifiche”.
Infine, secondo Greenpeace, gli stessi incentivi e crediti d’imposta per le aziende che devono riconvertire i cicli di produzione e per tutto il comparto della ristorazione, particolarmente interessato dall’impatto economico, non sono ritenuti del tutto soddisfacenti.