Uno studio di Fondazione Openpolis svela la tendenza di un crescente spostamento da territori interni verso città più grandi
È scritto nella storia del cinema, e a volte pure nella realtà: il postino suona sempre due volte. Più incerte, invece, sono le possibilità di risposta al citofono, soprattutto nei piccoli comuni e nelle zone montane della Sicilia, dove, rispetto alle grandi città, la probabilità che qualcuno apra il portone scendono fino al 30%, semplicemente perché il 70% delle abitazioni (e oltre) risultano totalmente disabitate per gran parte dell’anno, se non abbandonate. A dirlo è il nuovo studio della Fondazione Openpolis, che se in tutta Italia registra un 27% di case «non permanentemente occupate», nelle Isole maggiori alza l’asticella a quota 35%, come diretta conseguenza dello spopolamento delle aree interne verso i territori più centrali.
Un movimento, sottolinea la Fondazione, «che incide su numerosi aspetti, uno dei quali la disponibilità di abitazioni. Da un lato, infatti, nelle zone più attrattive ci si trova di fronte a vere e proprie emergenze abitative, data la scarsità di case disponibili, mentre dall’altra, nelle aree più distanti dai poli, ci sono strutture non abitate. Si tratta di temi centrali anche nell’ottica delle amministrazioni: a seconda di quanto le aree sono popolate e del tipo di locazioni presenti, possono predisporre in modo più o meno capillare i servizi, oltre ad ottenere diverse entrate di tipo economico». E se la media siciliana di case sfitte non dovesse bastare, per fotografare la velocità dello spopolamento in atto basta osservare i dati dell’agrigentino, nella top ten delle province italiane più colpite dal fenomeno, al settimo posto con il 48%.
Di Andrea D’Orazio – fonte: https://gds.it/