In Mali Erdogan è pronto a giocare la carta dei droni


AGI – La stampa turca ha accolto con generale favore la notizia del ritiro francese dal Mali. Siti e quotidiani più vicini al governo non hanno mancato di definire la Francia “stato invasore”, “responsabile di massacri”; parole esagerate, ma la percezione che la Turchia ha delle influenze di stampo post coloniale è negativa, anche a livello di opinione pubblica. In attesa di sentire cosa dirà il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è bene ricordare che i rapporti con il collega francese Emmanuel Macron sono stati pessimi negli ultimi anni. I due hanno iniziato a scontrarsi in Libia, dove Francia e Turchia erano schierate sui fronti opposti della crisi, si sono accusati per i movimenti nel Mediterraneo orientale e hanno finito con il litigare sulla definizione di “Islam francese” data da Macron. A fine 2020 il presidente francese ha apertamente accusato Erdogan di agire dietro le quinte per scalzare la Francia in Africa Occidentale “sfruttando un risentimento post coloniale”.

Il ritiro francese dal Mali è per Erdogan l’occasione per l’ennesimo sgambetto al giovane collega, “un pivello” secondo lo stesso presidente turco.

Uno sgambetto le cui basi sono state poste a partire dal 2005, anno a partire dal quale Erdogan ha lavorato costantemente per costruire relazioi politiche ed economiche con i Paesi africani. Ankara ha aperto l’ambasciata di Bamako nel 2010, ad Ouagadogou nel 2012 e a Niamey lo stesso anno, riaffermando la propria presenza nei tre stati del Sahel, Mali, Burkina Faso e Niger, in cronica difficoltà a controllare un territorio in cui le milizie islamiste hanno riguadagnato terreno a partire dal 2016. Una avanzata che ha segnato il fallimento delle strategie francesi e aumentato il risentimento nei confronti di Parigi, fornendo un assist a Erdogan che potrebbe intensificare il soft power esercitato fino ad oggi nell’area. Nei tre Paesi del Sahel Ankara ha agito in due direzioni, ha intensificato i rapporti istituzionali e aiutato la popolazione locale.

In Mali ad esempio una grande moschea è stata costruita per l’Alto Consiglio Islamico Maliano e una seconda è stata restaurata nella città natale dell’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita. Ad Agadez, in Niger, il governo turco si è fatto carico del restauro della Grande Moschea e del palazzo del Sultano Air, erede di una famiglia il cui capostipite era nato a Istanbul nel 1400, secondo una leggenda pur sempre utile a fini retorici. La mossa vincente di Ankara è però ancora una volta consistita nell’assistenza alle popolazioni locali. Ospedali sono stati aperti e scuole ristrutturate a Bamako e Niamey tra il 2017 e il 2019, oltre a numerose cliniche mobili donate e poi mandate negli angoli più poveri dei Paesi.

Ankara ha costruito infrastrutture per la distribuzione di acqua ed elettricità sia in Mali che in Niger, spianando così la strada all’ingresso di prodotti turchi, alla conclusione di accordi commerciali e appalti in ambito edilizio, minerario ed energetico.

I numeri dell’interscambio turco nel Sahel sono ancora lontani da quelli di Francia e Cina, ma in costante crescita da 10 anni, grazie anche alle linee aperte dalla Turkish Airlines con Bamabko, Ouagadogou e Niamey. L’interscambio con il Mali è passato dai 5 milioni di dollari del 2003 ai 57 del 2019 Il Mali è stato per anni l’epicentro del conflitto nel Sahel, anni in cui l’impatto della Turchia nel Paese è stato limitato a singoli programmi di assistenza e sicurezza, sopratutto nella capitale Bamako. A partire dal 2016 Ankara ha intensificato la propria collaborazione, fornendo addestramento per ufficiali dell’esercito maliano, cui sono state garantite forniture di armi leggere e munizioni.

Da sottolineare come il Mali sia in passato finito nel mirino di Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Il primo è uno storico alleato di Ankara, che proprio in Qatar ha una base militare, mentre con gli Emirati i rapporti hanno preso lo scorso novembre la via della normalizzazione ed Erdogan ha visitato il paese lo scorso 14 e 15 Febbraio. In base a quanto riporta l’International Crisis Group, osservatorio con sede a Istanbul, gli Emirati hanno venduto 30 veicoli blindati Typhoon al Mali nel Gennaio 2020.

La risposta a una mossa del Qatar, deciso a regalare all’esercito maliano elicottero da guerra francesi. A distanza di due anni, con un protocollo di collaborazione tra le industrie della Difesa siglato pochi giorni fa dai governi di Turchia ed Emirati, è ipotizzabile che l’influenza turca in Mali possa nel prossimo futuro giovarsi anche dei passi compiuti dal vecchio alleato Qatar, ma anche dai nuovi amici degli Emirati. Una maggiore penetrazione di Ankara nel Sahel è vista con favore dai governi degli Stati interessati, che hanno visto come l’influenza turca abbia avuto ricadute positive in Paesi come Somalia, Libia, Kenya. Allo stesso tempo però gli Stati Europei, Francia in testa e Usa temono una estensione dell’influenza militare di Ankara nell’area.

Influenza cui non ci si potrà più opporre attraverso gli Emirati, che anzi Erdogan ha ora portato dalla propria parte. Anche se al momento ad Ankara non sembrano interessati ad essere più che un attore di secondo piano nel Sahel, Erdogan sa che ha le carte per scalare posizioni in fretta, in particolare grazie ai droni TB2 Baykar.

La presenza e importanza turca in Africa è cresciuta esponenzialmente nell’era Erdogan, durante la quale sono stati aperti 37 uffici militari in tutto il continente. Grazie ai droni ora Erdogan si appresta a compiere un passo ulteriore alla conquista del continente africano e sfidare Mosca, che tra il 2015 e il 2019 ha fornito il 49% del totale delle armi importate in Africa (dati Stockholm International Peace Research Institute). “Ovunque vada in Africa, mi chiedono informazioni sui nostri droni”, ha detto Erdogan dopo un tour che lo ha portato in Angola, Nigeria e Togo lo scorso ottobre.

Il TB2 Bayraktar, salito alle luci della ribalta in Libia, ma non solo, perchè gli stessi droni hanno avuto un ruolo importantissimo anche negli interventi turchi in Siria, nel conflitto in Nagorno-Karabakh, in seguito al quale si sono conquistati l’interesse di Polonia (che ne ha ordinati 24) dopo essere stati venduti all’Ucraina che li ha utilizzati nel Donbass.

Un’ottima pubblicità per i droni, che dopo il ribaltone libico sono stati ordinati da Tunisia e Marocco, dal primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed. Significativo quanto accaduto con l’Etiopia con cui l’interscambio commerciale è passato dai 235 mila dollari dei primi 11 mesi del 2020 ai 94,6 milioni di dollari dello stesso periodo del 2021. Una dinamica che potrebbe presto ripetersi in Mali e nell’intero Sahel. Un’offerta che risulta ghiotta per molti dei leader africani, spesso alle prese con problemi di controllo di vasti territori, contrasto a milizie ribelli o islamiste, problemi da affrontare con pochi uomini e budget limitato.

Problemi per risolvere i quali i potentissimi droni turchi sembrano fatti apposta, con un costo relativamente contenuto, sul quale Erdogan è disposto a fare concessioni in cambio di appalti e diritti allo sfruttamento di risorse a favore della Turchia. Una strategia che persegue l’obiettivo più volte dichiarato da Erdogan di triplicare l’interscambio commerciale su base annua con l’Africa e portarlo a 75 miliardi di dollari.

Source: agi