In Italia i costi per avviare una startup sono tra i più cari in Europa


AGI – Mettere in piedi una startup in Italia costa quasi 10 volte di più rispetto alla Germania, oltre 15 volte di più rispetto a quanto si spende in Francia, quasi 7 volte in più che in Spagna e ben 188 volte in più della Croazia.

È quanto mette in evidenza uno studio del Centro studi di Unimpresa sui costi delle startup nell’Unione europea, secondo il quale in Slovenia l’avvio di un’attività imprenditoriale è addirittura a “costo zero”.

Secondo il documento, che ha preso in considerazione una serie di studi suii costi imprenditoriali nell’Unione europea, per avviare un attività d’impresa occorrono, tra spese legali, adempimenti amministrativi e oneri fiscali, 4.155 euro in Italia, 2.207 euro nei Paesi Bassi, 2.109 euro in Austria, 2.046 in Belgio, 1.886 euro a Cipro, 679 euro in Finlandia, 627 euro in Spagna, 528 euro a Malta, 446 euro in Germania, 328 euro in Polonia, 312 in Ungheria, 270 euro in Francia, 244 euro in Lettonia, 227 euro in Portogallo, 219 euro in Svezia, 177 euro in Slovacchia, 174 euro in Grecia, 149 euro in Estonia, 134 euro nella Repubblica Ceca, 93 euro in Danimarca, 76 euro in Lituania, 72 euro in Irlanda, 63 euro in Bulgaria, 32 euro in Romania, 22 euro in Croazia e 0 euro in Slovenia. L’Italia è dunque il paese più caro nell’Ue per avviare una startup, con costi pari al doppio di quelli necessari nei Paesi Bassi (seconda posizione dello speciale ranking), in Austria (terza) e Belgio (quarto).

“Quella dell’abbattimento delle spese per le start up è una delle maggiori sfide che il governo guidato da Mario Draghi deve realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: non intendo alzare troppo l’asticella e sostenere che dobbiamo arrivare al ‘costo zero’ della Slovenia, ma certamente sono necessari interventi per liberare e incentivare lo spirito imprenditoriale del Paese, per far emergere il valore straordinario del made in Italy”, commenta il vicepresidente di Unimpresa, Giuseppe Spadafora.

“È un record di cui non possiamo vantarci, è uno dei tanti spread che rendono l’Italia assai meno competitiva nel contesto dell’Unione europea: si tratta di un divario da ridurre quanto prima e il Recovery Fund, con i suoi 191 miliardi di euro, va impiegato con lungimiranza anche in questa direzione”, aggiunge.

Secondo Spadafora, “di divari ne abbiamo tanti: sul fronte fiscale, sui tempi della giustizia civile, sulle infrastrutture fisiche e pure su quelle tecnologiche, ma anche sul versante dell’efficienza della pubblica amministrazione. Una lunga lista di fattori che hanno zavorrato la nostra economia per decenni, tenendo la crescita sempre a livelli da prefisso telefonico”.

Source: agi