I BAILAN, LA VERSIONE CINICA DEGLI SDRAIATI La buona notizia è che dopo tre mesi Shanghai è uscita dal lockdown, la cattiva è che per i 25 milioni di abitanti della metropoli più cosmopolita della Cina riprendersi non sarà così facile. In Italia ne sappiamo qualcosa, e vedere le immagini della città che dalla mezzanotte del 31 maggio ha cominciato a rianimarsi fa riemergere sensazioni che forse avevamo dimenticato.
In realtà un confinamento così rigido e mal organizzato – con cittadini lasciati senza cibo e medicine – non è stato sperimentato in nessun altro paese, forse solo in India, dove nel 2020 lo scarsissimo preavviso aveva lasciato milioni di persone nel panico. Ma la particolarità del caso di Shanghai, scrive Chang Che in un articolo sulle ricadute profonde di quest’esperienza sulla società, “è che è stato come una malattia autoimmune: le morti per covid si sono evitate al costo di uno spaventoso autolesionismo”. Mentre a Wuhan oltre al terrore del virus c’era stato quello delle autorità, gli abitanti di Shanghai temevano solo le autorità, ha commentato un libraio parlando con Chang.
Il risultato è “un oceano di sfiducia e sensazione di tradimento” tra i giovani, simile, secondo Chang, a quello lasciato nel giugno del 1989 dalla repressione delle proteste di piazza Tiananmen, di cui oggi ricorre il 33° anniversario. “Come gli studenti di Pechino allora, i giovani shanghaiesi sono pronti ad andarsene”. Entrambe le esperienze hanno implicato morti deliberatamente perpetrate per mano di esseri umani, un totale malcontento giovanile e la distruzione di un’azione collettiva. Solo che la repressione di Tiananmen è avvenuta in una piazza pubblica, sotto gli occhi dei giornalisti stranieri, mentre il dramma di Shanghai si è consumato dentro le case, al riparo dai testimoni.
Era inevitabile? L’alternativa al lockdown rigido anche in presenza di pochi casi di covid-19 è lasciare che il virus circoli, con il rischio che la parte più vulnerabile della popolazione – gli anziani, di cui solo una minoranza è vaccinata – ne paghi il prezzo. Secondo uno studio di Nature citato da Chang, la convivenza con il virus costerebbe 1,5 milioni di vite.
Se chi può medita di andarsene, tra i meno fortunati si sta diffondendo una nuova forma di resistenza. Recentemente su Internazionale è uscito un bel reportage della Zeit sul fenomeno degli “sdraiati”, tanping in cinese: i giovani che per reazione a una società ipercompetitiva che gli chiede troppo scelgono di mollare la rincorsa del successo, di ritirarsi in disparte. Quello che sta succedendo a Shanghai è qualcosa di ancora più radicale, con una punta di nichilismo, un “tanping con gli steroidi”, come un amico cinese di Chang ha definito il nuovo fenomeno, quello dei bailan, letteralmente “rinunciare alla vita”, “perdere di proposito”. Dato che il futuro è nero, senza prospettive, tanto vale buttarcisi in toto e accelerare il processo di deterioramento.
Pare che il termine all’inizio si sia diffuso sui social network tra le comunità di appassionati di videogame grazie a un influencer per poi dilagare. Comprare una casa costa troppo? Lascia perdere e vai in affitto e preparati a pagare sempre di più. Cercare un o una partner è faticoso? Rimani single e vivi in solitudine. Non c’è speranza di uno scatto di carriera? Prendi più ferie e poltrisci. Questa in sintesi la filosofia dei bailan, la versione cinica e disperata degli sdraiati.
IL RITORNO DI AL QAEDA IN AFGHANISTAN La ragione per cui nel 2001 gli Stati Uniti, dopo gli attentati dell’11 settembre, giustificarono l’invasione dell’Afghanistan era che il paese dava rifugio ad Al Qaeda, la rete jihadista responsabile degli attacchi al World Trade center di Manhattan e alla sede del Pentagono. La ragione per cui quasi vent’anni dopo gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro delle truppe dal paese, poi terminato disastrosamente lo scorso agosto, era che Al Qaeda era stata sconfitta e il pericolo che l’Afghanistan tornasse a essere una base per attacchi terroristici internazionali scongiurato dall’accordo firmato con i taliban a Doha nel 2020.
Ora un rapporto delle Nazioni Unite basato su informazioni fornite dai servizi d’intelligence di diversi paesi dice che nell’Afghanistan dei taliban Al Qaeda ha un nuovo rifugio e una maggiore libertà d’azione. Il rapporto riconosce lo sforzo del nuovo governo di Kabul di limitare le attività della rete jihadista, ma avanza dei dubbi sulla sua effettiva capacità di farlo. Nell’ex quartiere diplomatico di Kabul pare che vivano diversi membri di Al Qaeda, che potrebbero aver accesso agli incontri che si tengono al ministero degli esteri. Al Zawahiri, il leader dell’organizzazione jihadista, è ricomparso negli ultimi tempi in videomessaggi e comuncati diventati più frequenti, l’ultimo sulla guerra in Ucraina, e i più alti dirigenti quaedisti pare vivano nella regione orientale dell’Afghanistan.
Il nodo che unisce i taliban e i jihadisti è Sirajuddin Haqqani, attuale ministro dell’interno afgano e capo della rete Haqqani, legata ad Al Qaeda.
LE NOTIZIE DELLA SETTIMANA
In Australia è terminato lo spoglio delle schede elettorali e il nuovo primo ministro laburista Anthony Albanese può formare un governo di maggioranza, avendo il suo partito ottenuto 77 seggi in parlamento. Nel frattempo Peter Dutton, ex ministro della difesa, è stato scelto per guidare il Partito liberal, all’opposizione. Nel 2008 Dutton si era opposto alle scuse formali presentate dal primo ministro a nome del parlamento alla cossidetta “generazione rubata”, bambini di discendenze aborigene sottratti alle loro famiglie e affidati alle missioni. La missione del ministro degli esteri cinese Wang Yi nel Pacifico è stata un mezzo fallimento: Wang ha infatti incontrato la resistenza dei vari stati della regione, che non si sono lasciati convincere a firmare con Pechino un patto che, oltre alla cooperazione economica e quella allo sviluppo, includa la sicurezza. I taliban pachistani hanno annunciato un cessate il fuoco a tempo indeterminato con il governo di Islamabad, grazie all’intercessione dei taliban afgani. Dopo l’India anche la Malaysia ha sospeso le esportazioni di alcuni prodotti alimentari, contribuendo ad accelerare l’inflazione a livello globale. 👉🏼 I rischi del “nazionalismo alimentare”. L’alta rappresentante Onu per i diritti umani Michelle Bachelet ha terminato la sua visita di sei giorni in Cina, dove è stata portata anche nello Xinjiang. Ma il suo rapporto sugli abusti dei dirtti degli uiguri nella regione autonoma cinese, atteso da mesi, non è ancora stato pubblicato. La visita ha suscitato polemiche nella diaspora uigura. Dal 10 giugno il Giappone ammetterà 20mila visitatori al giorno. I turisti dovranno viaggiare con tour organizzati dalle principali agenzie giapponesi. Saranno ammesse anche persone legate a residenti in Giappone da rapporti affettivi (da dimostrare).
Fonte: Internazionale