Imprese occidentali ancora in Russia, pro e contro


Restare o andare via? Diciotto mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, molte aziende occidentali in Russia stanno ancora valutando i pro e i contro del restare nel Paese.
Anche se un centinaio di aziende delle nazioni del G7 continuano in gran parte le loro attività in Russia, secondo un conteggio dell’Università di Yale, “prosegue la tendenza alla riduzione delle attività delle imprese occidentali sul territorio di Mosca”, spiega l’economista Julien Vercueil.
Il 21 agosto, di fronte a un “contesto sempre più difficile”, è stata la catena di fast food ‘Domino’s Pizza’ a decidere di gettare la spugna annunciando il fallimento delle sue attività in Russia che tentava di vendere da dicembre e decretando così la chiusura di 142 negozi in tutto il paese.     “La guerra crea condizioni sfavorevoli per le società straniere in Russia, qualunque sia la loro decisione”, sottolinea Vercueil.  Così, secondo un’analisi del Financial Times che ha esaminato i conti annuali di 600 multinazionali europee, queste ultime hanno perso almeno 100 miliardi di euro “in seguito alla vendita, chiusura o riduzione delle loro attività russe”. La Renault, ad esempio, ha subito una perdita netta di 2,2 miliardi di euro e ha abbandonato uno dei suoi mercati principali quando ha lasciato la Russia nel maggio 2022. E il colosso petrolifero BP, uno dei primi a disimpegnarsi completamente dalla Russia il 27 febbraio 2022, ha visto sfumare oltre 22 miliardi di euro.

Restare, tuttavia, significa esporsi a “importanti costi di reputazione”, osserva Vercueil. I colossi dell’agroalimentare e della distribuzione rimasti numerosi in Russia, sono spesso presi di mira dagli ucraini e dal presidente Zelensky perché anche se indirettamente sostengono il conflitto. “Auchan continua a lavorare in Russia, paga le tasse, finanzia la guerra e subisce gli attacchi russi. Cinismo, masochismo o stupidità? Lasciate la Russia: questi soldi sono troppo insanguinati”, ha scritto mercoledì su Twitter il ministero della Difesa ucraino, mentre un centro commerciale del gruppo è stato colpito da frammenti di proiettili russi. “Queste aziende spiegano che continuano le loro attività per ragioni umanitarie, ma è una menzogna cinica”, tuona Jeffrey Sonnenfeld, professore specializzato in responsabilità sociale delle imprese all’Università di Yale. Secondo l’esperto, questi grandi gruppi non solo contribuiscono a far funzionare l’economia russa, ma stanno anche facendo il gioco di Vladimir Putin rassicurando i consumatori con la loro presenza.
Inoltre per le aziende continuare a fare affari in Russia significa esporsi a un quadro giuridico incerto. “Restare quando il contesto giuridico è ormai apertamente caratterizzato dall’arbitrarietà e dalla predazione statale a scapito degli interessi stranieri è pericoloso”, assicura Julien Vercueil. Secondo un decreto, la Russia può “prendere temporaneamente il controllo delle società” di paesi considerati “ostili”, spiega Vladimir Chikine, avvocato specializzato in diritto societario in Russia, ricordando che ufficialmente queste società rimangono nelle mani dei loro proprietari stranieri.
Quest’estate Danone e Carlsberg hanno pagato il prezzo di questa politica di ritorsione. Mentre i due giganti industriali stavano per vendere le loro attività russe, sono stati colti di sorpresa da Mosca che ha concesso unilateralmente il controllo dei loro beni nel Paese. (AGI)
GAV