“La Cina non imparerà mai. Non importa che tipo di disastro stiano affrontando. L’unica cosa che imparano è come migliorare il potere autoritario per manipolare la storia. Quel tipo di arroganza e successo li porterà ad un’altra crisi”.
Ai Weiwei, l’archistar cinese, è convinto che l’attuale pandemia rafforzerà ulteriormente lo “stato di polizia” che è la Cina. “Ed è un peccato”. Il 62enne artista ha concesso una lunga intervista alla Cnn, fatta da Cambridge, in Inghilterra, dove ora risiede. “In Cina semplicemente manca la fiducia tra i leader e la propria gente, tra le persone stesse”.
Ai, dissidente e attivista per i diritti umani, fa notare che per contenere la diffusione del virus, Pechino ha utilizzato la tecnologia mobile e una serie di mega dati e codici QR per tracciare i movimenti delle persone e assegnare un'”etichetta” di colore diverso in base allo stato di salute: il risultato è che adesso ha ulteriormente rafforzato la presa sul suo popolo.
Secondo Ai Weiwei, il virus ha solo rafforzato quello che chiama lo “stato di polizia” cinese, consentendo al governo di continuare a raccogliere dati e costruire una comprensione piu’ profonda dei suoi cittadini. “La Cina ha 1,4 miliardi di persone e una sola autorità. Devono mantenere questo tipo di autorità e conoscere tutti: cosa hanno in mente, come si comportano”.
Quanto ai dubbi che nutre l’Occidente sulla attendibilità del bilancio di morti e contagiati fornito dalla Cina, Ai Weiwei non si stupisce perché per Pechino -dice- mettere in discussione i conti ufficiali non è certo una novità. Dopo il terremoto del Sichuan del 2008, che si ritiene abbia ucciso quasi 90.000 persone , Ai mise su un team per identificare le vittime piu’ giovani: i genitori venivano intervistati e si registravano nomi, date di nascita, le scuole che i bimbi frequentavano. Il governo aveva tentato di censurare quei numeri ma si scoprì che, sotto le macerie di scuole fatiscenti perché costruite con materiali di scarsa qualità, erano rimasti sepolti almeno 5 mila bambini.
L’anno successivo, nella sua installazione ‘Remembering’, Ai sistemò 9.000 zaini in modo che si leggesse “Tutto quello che voglio è che il mondo sappia che ha vissuto sette anni felice”: la frase che, in una lettera, gli aveva scritto la mamma di una bimba morta.
Vedi: "Il virus ha rafforzato il regime. La Cina non imparerà mai"
Fonte: estero agi