Il vento di Livorno arrivò in Sicilia, ma la Rivoluzione restò un sogno


AGI – L’avvocato Cesare Sessa, lo studente universitario Giuseppe Berti, il professor Alberto Albanese, il ragioniere Lilibeo Bilardello, l’affittacamere Filippo Greco. Erano questi, e pochi altri, i siciliani presenti al Congresso di Livorno, da cui il 21 gennaio del 1921 nacque il Partito comunista d’Italia. Furono tra quelli che insieme ad Amadeo Bordiga e a Antonio Gramsci abbandonarono il teatro Goldoni per recarsi al all’allora Teatro Carlo Lodovico, poi rinominato Teatro San Marco, dove fondarono quello che sarebbe divenuto il piu’ grande partito comunista dell’Occidente.

C’era anche Francesco Lo Sardo, di Naso, che quel giorno rimase nel Psi: avrebbe aderito al PCd’I piu’ tardi, diventando il primo onorevole comunista siciliano nel 1924. Fin dalla nascita, nel 1892-93, il Partito socialista aveva tenuto in Sicilia posizioni riformiste “Riformisti – spiega all’AGI lo storico ragusano Giuseppe Micciche’, autore del volume “Il partito comunista in Sicilia, le origini” (edizioni Teti, ormai introvabile) – erano Rosario Garibaldi Bosco, Bernardino Verro, Giacomo Montalto, Nicola Petrina, Giuseppe De Felice Giuffrida, Luigi Macchi, Eduardo Di Giovanni, che ne erano i maggiori rappresentanti.

Alcuni di questi esponenti aderirono nel 1912 al PSRI, nato dalla scissione dei “bissolatiani”. Nel partito (come nell’isola) gli operai erano pochi, ed erano invece assolutamente prevalenti i braccianti agricoli e i piccoli coltivatori”. A Caltanissetta e Catania esistevano gruppi che si autodefinivano “socialisti rivoluzionari”. “La repressione crispina e dirudiniana degli anni 90 dell’800 – prosegue Micciche’ – l’emigrazione dei primi del ‘900, la scissione “bissolatiana” del ’12 e poi la prima Guerra mondiale provarono fortemente il partito, la cui presenza nell’isola si ridusse a poche sezioni con qualche centinaio di iscritti. All’indomani della guerra esistevano solo 37 sezioni aderenti al PSI con 1.400 iscritti e 17 circoli giovanili”.

La fine della prima Guerra mondiale, che aveva visto la partecipazione al conflitto di tanti giovani dal sud, segno’ una svolta nella ricerca del consenso per le forze che sognavano la Rivoluzione. “Le difficolta’ economiche – sottolinea lo storico – radicalizzarono sempre piu’ la situazione politica. Il Psi crebbe discretamente, specie nel siracusano-ragusano. Qua e la’ assorbi’ molti ex socialriformisti del PSRI. Ebbe allora inizio una stagione di lotte: occupazioni di terre, scioperi per aumenti salariali e per la riduzione dei prezzi delle derrate alimentari, per riduzione tasse”.

Gli scioperi si susseguivano senza sosta, ma la Rivoluzione non arrivava mai. E’ in questo clima di attese deluse che matura, come altrove, la scissione. “Espellere i riformisti, preparare i lavoratori all’evento rivoluzionario, evitare ogni contatto coi gruppi borghesi, disinteressarsi delle elezioni, occupare le terre e difenderle con le armi, conquistare i comuni solo per ‘sabotarli dall’interno’, non abbandonare le fabbriche occupate”, era il programma che, avvicinandosi l’appuntamento di Livorno, veniva diffuso in conferenze e comizi nell’isola.

“Nei congressi provinciali del PSI tenuti tra il dicembre del ’20 e i primi di gennaio del ’21 manco’ il dibattito, preoccupandosi i delegati solamente di registrare la forza numerica della frazione rappresentata”, spiega Micciche’. “Prevalsero – dice – i massimalisti, che in alcune province raccolsero i voti di molti centristi e riformisti: Massimalisti 1968, comunisti 1.260, riformisti 135. Le province con un maggior numero di voti comunisti furono nell’ordine: Messina 292, Girgenti 218, Siracusa 206, Catania 182, Palermo 177, Trapani 157, Caltanissetta 57. Chi si era detto ‘socialista rivoluzionario’ si disse massimalista o comunista; gran parte dei giovani si dissero comunisti, divisi in astensionisti (che erano la maggioranza assoluta) ed elezionisti”.

Tra i primi vi era Concetto Marchesi, il grande latinista, ma non e’ chiaro se fosse presente o meno nella citta’ toscana. Fu “ultrabordighiano”, in questa prima fase, il PCd’I in Sicilia. “Il dottrinarismo, le chiusure settarie nei confronti delle altre forze politiche, l’attesa dell’evento rivoluzionario appesantirono gravemente il partito. Un grande peso ebbero anche le sopravvenute violenze nazionalfasciste. Per conseguenza il partito rimase dovunque in fasce”. Il partito aveva i propri fogli di informazione e propaganda: “Clarte'” a Palermo,”Il Vespro rosso” a Girgenti, “La Voce dei comunisti” a Messina, “Il Proletario” a Trapani.

“Nel siracusano e ragusano – aggiunge lo storico – dove le violenze fascista furono estremamente violente e distrussero sezioni e circoli dei lavoratori, molti di coloro che si erano detti comunisti non aderirono al nuovo partito e si allontanarono dalla politica”. I congressi provinciali si tennero a Messina il 12 febbraio, presente Concetto Marchesi, a Trapani il 20 febbraio, a Girgenti il 20 febbraio e poi a Catania, a Siracusa e a Palermo, dove le adesioni furono numerose tra i giovani. Per i primi anni, pero’, il Partito comunista d’Italia fu in Sicilia cosa modesta, in polemica con tutti e paralizzato.

“Solo dopo il 1924 e l’adesione dei “terzini” (terzinternazionalisti) con Lo Sardo il partito comincio’ a trasformarsi e assumere i caratteri di una vera organizzazione politica. “Ma era ormai troppo tardi. Dovunque – conclude Micciche’ – il fascismo aveva trionfato. Qualche tempo dopo ebbe inizio la cospirazione e gruppi comunisti qua e la’ si distinsero nella propaganda sotterranea, che la polizia cerco’ di contrastare ed eliminare in ogni modo”. Come accadde con lo Sardo, che mori’ in carcere nel 1931. 

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Fonte: politica agi