Il valore dell’antifascismo per gli ebrei italiani


Ruben Della Rocca

Il 25 aprile 1945 per il mondo ebraico italiano non è solo la Festa della Liberazione del paese dal giogo nazifascista, ma è anche il momento del ritorno alla vita. La data simbolo della fine della presenza dell’invasore tedesco sul suolo patrio, con i lutti e le stragi da esso perpetrate, la caduta del regime fascista, di una dittatura spietata durata un ventennio, responsabile delle leggi razziste del 1938 con le quali gli ebrei divenivano i paria del paese prima e successivamente le vittime delle delazioni, dei rastrellamenti e delle catture che li consegnavano ai nazisti per essere deportati nei campi della morte nazisti.
Una giornata di festa molto sentita che gli ebrei italiani vivono intimamente con grande partecipazione, nel ricordo di chi sacrificò la vita resistendo nella lotta partigiana e per chi partecipò da protagonista alla Liberazione come la Brigata Ebraica, inquadrata nell’esercito inglese e portatore del vessillo con la Stella di David e di una bandiera che pochi anni dopo rappresenterà, pressoché identica, lo Stato di Israele dalla sua nascita nel 1948.
Negli ebrei italiani è profonda la consapevolezza del valore assoluto e sempre attuale dell’antifascismo. Un valore che è anche un sentimento, un afflato per la Resistenza e per quegli eserciti Alleati venuti a liberarci e nella convinzione che la minaccia fascista è ancora attuale e non si presenta più in camicia nera, stivaloni e fez ma si manifesta, a volte, sotto le mentite spoglie di chi non permette il confronto e rifiuta di rispettare il pensiero e l’opinione dell’altro. A volte proprio chi si proclama fieramente antifascista utilizza metodi fascisti non permettendo all’altro di esporre il proprio pensiero, di proporre le proprie idee, di confrontarsi negando la parola o la presenza al prossimo ed evocando boicottaggi e restrizioni. Lo stiamo vedendo quotidianamente nelle università, templi del sapere e cenacolo di idee ridotte a campi di battaglia ideologica e strumentalizzazioni, dove prevale una conoscenza della Storia approssimativa e fuorviante. Gli stessi cortei organizzati dall’Anpi nelle due grandi città, Roma e Milano sono diventati luoghi inaccessibili in tranquillità, emotiva e fisica per gli ebrei italiani, vista la virulenza delle contestazioni per la presenza dello striscione e delle bandiere della Brigata Ebraica.
Lo stravolgimento dei fatti e della verità ha preso il sopravvento in queste manifestazioni. In tal senso è chiaro l’appello della Presidente della Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni: “Dobbiamo rimanere coerenti ricordando le pagine dolorose che deve essere parte identitaria di ciascun italiano e ben conosciute da chi scegli l’Italia come meta”. “Il 25 aprile è una festa italiana -prosegue la Presidente – ed è da apprezzare la libertà riconquistata con la fine del nazifascismo. Gli ebrei italiani hanno contribuito alla liberazione del nostro paese combattendo con le forze partigiane e con l’arrivo della Brigata Ebraica”. “Alle destre nostalgiche – il monito della Di Segni – chiediamo di ricordare il male assoluto che fu il fascismo. Alle sinistre di non cedere ad accostamenti forzati, pericolosamente lo associano ad altri movimenti di affermazione identitaria”. Per il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Victor Fadlun “il 25 aprile è la giornata in cui la comunità nazionale ritrova il senso della propria unità attorno a valori condivisi che di fatto si compendiano in due parole: libertà e democrazia, valori per i quali i giovani di allora e tra loro tanti ebrei hanno combattuto e molti sono morti”.
È bene quindi riportare il 25 aprile al suo valore originario, la festa degli italiani e di chi crede nella democrazia e nei principi della Costituzione, come afferma la Di Segni, dove non possono e non devono avere licenza cause e conflitti che nulla hanno a che fare con quanto avvenuto in quei giorni fatidici che segnarono l’inizio della riconquista della libertà, nel rispetto dei fatti, degli avvenimenti e di quanti versarono il sangue e sacrificarono la vita per restituirla a chi, in quegli anni di odio e di sopraffazione, perdeva quella dei propri cari tra le ceneri di Auschwitz-Birkenau.

Fonte: Il Riformismo