Di Angelo Panebianco
Più uniti In questo modo gli europei finirebbero per accettare l’idea di avere davvero una casa comune
Wishful thinking. È un’espressio ne che gli anglosassoni usano se qualcuno enuncia pii desideri, scambia i propri sogni per realtà. Quando ci si trova in gravi difficoltà persino un esercizio di wishful thinking può risultare utile. Quanto meno a futura memoria. Ciò che oggi appare una idea bizzarra, fuori contesto, del tutto irrealizzabile, potrebbe, chissà?, materializzarsi domani se lo imponesse la pressione delle circostanze e degli eventi. L’innovazione che ci serve ma che è al momento irrealizzabile è l’elezione diretta del premier. Non mi sto riferendo al progetto Meloni per l’italia. Mi riferisco all’europa. L’europa deve vedersela con un problema e con tre potenti ostacoli alla sua risoluzione. Il problema è che la sua sicurezza è oggi a rischio come non era mai accaduto dopo la fine della Seconda guerra mondiale. C’è la minaccia dell’imperialismo russo, ci sono il disordine, e le connesse sfide alla sicurezza, che montano dal Medio Oriente e dall’africa, c’è il rischio dell’«abbandono» americano, il rischio che venga meno la protezione statunitense del Vecchio continente. Bisognerebbe svegliarsi, mettere rapidamente mano a un efficiente e credibile sistema di sicurezza europea. Ma ci sono tre ostacoli. Il primo è rappresentato dal fatto che il grosso degli europei crede ancora di vivere nel Paese dei balocchi.
Rifiuta l’idea che sia finita la condizione di «pace perpetua» data fino ad oggi per acquisita, non crede che ci siano all’orizzonte sfide esistenziali, situazioni nelle quali possano essere improvvisamente a rischio le loro stesse vite e quelle dei loro cari.
Nemmeno le quotidiane minacce di Putin di ricorrere alle armi nucleari sembrano in grado di scuotere gli europei dal torpore. Il mondo è radicalmente cambiato ma tanti europei rifiutano di prenderne atto. È comprensibile. Fare gli struzzi è un modo molto umano per negare l’evidenza quando l’evidenza obbligherebbe ciascuno a fare scelte dolorose: per esempio, accettare uno spostamento di risorse dallo stato del benessere allo stato della sicurezza.
Il secondo ostacolo è rappresentato dal fatto che in Europa esistono correnti, minoritarie ma quantitativamente significative, di persone che detestano la democrazia e la società aperta occidentale. Persone che hanno in odio le libertà di cui si gode in questa parte del mondo. Sono schierate con Putin nella guerra in Ucraina e apprezzano il tiranno. Pronte ad abbracciare chiunque, anche il diavolo, pur di dare addosso agli americani. A destra come a sinistra ci sono persone così. E alimentano il consenso per i movimenti politici filo-putiniani. Si noti che anche le simpatie per Hamas di tanti giovani occidentali sono un aspetto della stessa sindrome. C’è, in questo fenomeno, tanto antisemitismo più o meno consapevole. Ma c’è soprattutto una evidente presa di posizione: quelli che inneggiano ad Hamas stanno in realtà manifestando il loro disprezzo per le nostre democrazie. Diciamo che fra simpatizzanti per Putin e simpatizzanti per Hamas, in Europa c’è un consistente bacino a cui possono attingere i movimenti totalitari di oggi e di domani.
Il terzo ostacolo alla costituzione di un solido sistema di sicurezza è rappresentato dal fatto che gli europei non considerano la sicurezza dell’europa un «bene pubblico», ossia un bene indivisibile. Tale per cui una minaccia che, poniamo, arrivi alla Germania da Est o all’italia dal Sud, sia considerata una minaccia che riguarda tutti gli europei. È una delle ragioni per cui i discorsi sulla difesa comune girano a vuoto. Non ci può essere difesa comune se essa non è intesa dal grosso degli europei come un beneficio per tutti.
Con ciò si tocca il problema principale, che spiega l’impasse in cui si dibatte l’europa. I sogni dei federalisti non si sono realizzati. Ci sono gli italiani, i francesi, gli spagnoli, i tedeschi, eccetera. Non c’è un popolo europeo. Ma senza il sentimento di una comune appartenenza, senza il senso diffuso di essere una «comunità di destino», non può svilupparsi quella forte solidarietà orizzontale che consenta alla sicurezza europea di essere da tutti percepita, nel senso sopra specificato, come un bene pubblico.
Il «popolo europeo» non può nascere spontaneamente. Non può essere il prodotto della crescente interdipendenza. I popoli nascono per un atto di imperio, un atto politico. We the people of the United States, «Noi il popolo degli Stati Uniti», recita il preambolo della Costituzione americana. Così si formò l’america. Abbiamo bisogno di atti politici che diano agli europei il senso di una comune appartenenza. E non è vero che per ottenere ciò ci sia sempre bisogno, come accadde agli americani, di passare prima attraverso la terribile esperienza della guerra.
Si immagini cosa accadrebbe se gli europei fossero chiamati a eleggere direttamente un premier o un presidente dell’unione. Dovrebbero aggregarsi in fronti contrapposti e la campagna elettorale sarebbe incentrata sul destino dell’europa. Il premier/presidente eletto potrebbe sfruttare l’investitura popolare per condizionare i governi nazionali (il Consiglio europeo), la Commissione, il Parlamento. Gli europei avrebbero una guida con un ruolo preponderante nel governo dell’unione. E finirebbero per accettare l’idea di avere una casa comune, di viaggiare sulla stessa barca.
Sarebbe una ingenuità credere che al momento una cosa del genere sia fattibile. Ma la storia insegna che ciò che è infattibile oggi, può diventare improvvisamente realizzabile domani se le persone scoprono di non vivere più in tempi tranquilli e sicuri. È solo allora che la politica dello struzzo può passare di moda.