L’impostazione che si è data al nuovo sistema introdotto dal Codice dei contratti rischia di ledere il principio di uguaglianza sostanziale
Negli ultimi mesi decine di convegni e seminari hanno affrontato la questione dell’equo compenso, vale a dire la compatibilità della disciplina speciale introdotta con la legge n. 49/2023 con il nuovo Codice dei contratti il cui art. 8 sancisce che, “la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”, salvo casi eccezionali.
L’equo compenso
Si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti dalle tariffe adottate per ciascuna professione.
Andando immediatamente alle conclusioni, le stazioni appaltanti sono state invitate dall’ANAC, con l’atto del Presidente del 25 ottobre 2023 del fascicolo n. 4146 riguardante una procedura per un appalto integrato, a non sacrificare l’interesse privato a quello pubblico e generale fino al punto di compromettere l’equità della remunerazione. Per l’Autorità sussistono dubbi interpretativi in ordine alle modalità di applicazione dell’equo compenso per le prestazioni professionali, come definito dalla legge 49/2023, e in particolare, alla valenza da attribuire alle tabelle dei corrispettivi richiamate dall’Allegato I.13 del Codice, atteso il mancato coordinamento tra le citate norme primarie.
Da una parte, infatti, la legge n. 49/2023 sembrerebbe attribuire agli importi ai sensi del delle tariffe carattere inderogabile, con la conseguenza che non sarebbero ammessi riduzioni dell’importo a base di gara né ribassi in sede di gara inferiori al minimo tariffario; dall’altra, il codice dei contratti pubblici richiama i suddetti parametri ai fini della determinazione dell’importo a base di gara che, di regola, è soggetto a ribasso.
Per tale ragione l’Autorità ha inviato un apposito atto di segnalazione al Governo e alla Cabina di regia per il codice dei contratti pubblici, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di sollecitare un celere intervento chiarificatore.
Nessun ribasso sulle prestazioni professionali
Sulla base di questi presupposti, condivisi dai Consigli nazionali delle professioni coinvolte, i RUP stanno promuovendo procedure nelle quali il compenso non è soggetto a ribasso e la competizione tra i professionisti avviene sulla base di criteri qualitativi ed eventualmente economici solo limitatamente alle spese.
Si tratta di un’impostazione che si inserisce, a ben vedere, in un contesto molto più ampio che riguarda la giusta remunerazione del lavoro. Infatti anche negli appalti di servizi e di lavori il legislatore è da tempo particolarmente attento al “costo” del personale impiegato nell’esecuzione.
L’art. 41, comma 14 del Codice prevede infatti che “per determinare l’importo posto a base di gara, la stazione appaltante o l’ente concedente individua nei documenti di gara i costi della manodopera secondo quanto previsto dal comma 13. I costi della manodopera e della sicurezza sono scorporati dall’importo assoggettato al ribasso. Resta ferma la possibilità per l’operatore economico di dimostrare che il ribasso complessivo dell’importo deriva da una più efficiente organizzazione aziendale”. Recentemente alcuni settori merceologici hanno vissuto una crisi proprio legata alla remunerazione. Nella vigilanza e sicurezza degli immobili il Tribunale di Milano è intervenuto per sanzionare forme “grigie” di sfruttamento comunque offensive della dignità della persona in violazione dell’art. 36 della Costituzione.
Tale tendenza normativa porta a due considerazioni di diversa natura.
Un compenso equo ma derogabile
La prima riguarda l’effetto che il vincolo delle tariffe produce sul mercato delle professioni. Nel corso dei decenni abbiamo assistito ad un’evoluzione che partendo dall’obbligatorietà delle tariffe minime ha poi portato una stagione di liberalizzazione con il decreto legge n. 1/2012, convertito in legge n. 2/2012.
A distanza di poco più di dieci anni ci si è resi conto che la liberalizzazione ha abbassato il livello qualitativo delle prestazioni intellettuali a causa della concorrenza aggressiva sul compenso che ha mortificato il lavoro dei professionisti. Proprio per tale ragione il legislatore ha introdotto l’equa remunerazione con la legge n. 49/2013.
Tuttavia equa non significa uguale.
L’impostazione che si è data al nuovo sistema introdotto dal Codice dei contratti rischia infatti di ledere il principio di uguaglianza sostanziale. La gara viene aggiudicata considerando solo la qualità della prestazione, premiando i concorrenti che hanno maggiore capacità professionale ovvero la migliore metodologia.
Seguendo l’indicazione di ANAC la stazione appaltante impedisce il ribasso sul prezzo e quindi devia verso l’aggiudicazione in favore di soggetti con caratteristiche tecniche-professionali più elevate. Gli appalti di servizi tecnici rischiano così di non lasciare spazio ai professionisti con minore esperienza. Salvo infatti la competizione sulle spese, la stazione appaltante non potrà beneficiare di maggiori sconti sul valore del contratto che sarebbero stati presentati soprattutto da concorrenti privi di elevato punteggio tecnico. Allo stesso tempo, rendendo uguale il compenso, si tradisce la stessa legge 49/2023 che intende tutelare da un compenso iniquo ma che non esclude un maggior compenso per il professionista più esperto. Se gli importi tariffari tornano così a rappresentare un valore inderogabile, verrebbe da domandarsi se le offerte delle gare non debbano farsi “al rialzo” su tale importo al fine di tutelare i professionisti giovani (grazie al minimo ed equo compenso) ed anziani (con un compenso commisurato al merito e all’esperienza).
L’equo compenso del RUP
La seconda riflessione si riferisce al ruolo del Responsabile Unico del Progetto al quale, in questo contesto in continuo divenire, viene richiesta una competenza quasi imprenditoriale nel definire, nei servizi e nei lavori, non soltanto il contratto collettivo nazionale e territoriale applicabile all’appalto come richiede l’art. 11, ma anche il valore della manodopera necessaria per eseguire la prestazione.
Se infatti si lascia al concorrente la possibilità di dimostrare un ribasso dipendente da una organizzazione più efficiente (la norma peraltro non chiarisce in quale fase), resta comunque la necessità di studiare un’analisi che porti ad un criterio di aggiudicazione basato essenzialmente sulla qualità. Il RUP deve entrare nel merito del processo aziendale facendo riferimento all’elemento relativo al costo che può assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori economici competeranno solo in base a criteri qualitativi. Appare evidente che, guardando a tali criteri, la disciplina di gara richiede un importante approfondimento nella preparazione della procedura.
Questo lavoro deve trovare un equo compenso del responsabile unico, attraverso il riconoscimento degli incentivi, soprattutto quelli “professionalizzanti”. I RUP devono essere formati alla gestione di queste nuove complessità mediante percorsi organizzati dalla stazione appaltante e confrontandosi con gli operatori economici al fine di raggiungere l’obiettivo comune: un compenso equo, una esecuzione corretta.
di Daniele Ricciardi – fonte: https://www.lavoripubblici.it/news/rup-affidamenti-servizi-tecnici-equo-compenso-tradisce-merito-32658