Il ruolo dell’Europa nel conflitto ucraino. Pericoli, limiti e contraddizioni


di Giuseppe Accardi

Il proseguo dei conflitti sul territorio Ucraino, con la presa delle maggiori città da parte delle truppe di Putin, mette a nudo i limiti della diplomazia occidentale, incapace di arginare l’escalation del conflitto armato e soprattutto dell’Unione Europea, organismo sovranazionale che in questa vicenda sta dimostrando la propria debolezza e subalternità, di fronte al ritorno della guerra nel cuore del Vecchio Continente.

Proprio la mancanza di un’incisiva e coerente iniziativa in favore di una risoluzione diplomatica distensiva è ciò che può e deve essere condannato all’azione delle diverse cancellerie europee, incapaci di tenere a freno una guerra che rischia di mettere a repentaglio, direttamente o indirettamente la vita di milioni di cittadini comunitari.

Interessi strategici, economico-commerciali, culturali, hanno da sempre assegnato al territorio europeo un ruolo chiave nell’esplosione di conflitti ed ostilità e nel corso del tempo ne hanno accompagnato la storia e l’evoluzione, plasmando di volta in volta le nazioni, i popoli, le civiltà per come le conosciamo.

Per queste ed altre innumerevoli ragioni il suolo europeo rappresenta l’ultima frontiera, il confine, la linea rossa da non oltrepassare per evitare la propagazione di uno scontro su scala globale.

È doveroso e necessario condannare la campagna di Vladimir Putin, le cui azioni nei confronti della popolazione Ucraina meritano ben più che delle semplici sanzioni economiche e non possono essere giustificate né tantomeno sminuite sulla base di ragionamenti fideistici o ideologici. Allo stesso tempo è altresì necessario analizzare, giudicare e talora criticare l’operato delle potenze occidentali, soprattutto europeiste, complici di essere rimaste, per troppo tempo sorde, cieche e non all’altezza di evitare una guerra che, almeno dal 2014 era ampiamente prevedibile.

L’articolo 11 della nostra Costituzione ci impone di ripudiare la guerra, ma de facto lo schieramento Italiano e le iniziative portate avanti dall’esecutivo vanno in un’altra direzione. Così come l’atteggiamento della maggior parte dei governi europei che attraverso lo strumento delle sanzioni (risultato inefficace già a Cuba o in Iran) e soprattutto con l’ipotesi dell’invio di armamenti verso Est, rischiano di gettare benzina sul fuoco e di inasprire il conflitto sul territorio Ucraino che appare già oggi ben saldo tra le mani di Putin.

Aldilà delle ripercussioni in termini economici, in primis per l’Italia (il prezzo del grano è già alle stelle, la benzina è sopra i 2 euro a litro, si ipotizza un ritorno al carbone) pare che gli statisti Europei, non abbiano timore nell’assumere una condotta ostile e poco incline alla risoluzione diplomatica, omettendo o non considerando la possibilità del ritorno di una guerra fredda che porterebbe risvolti inquietanti oltre i confini del nostro continente, destabilizzando vecchi equilibri e risvegliando dal lungo sonno il gigante Russo il cui desiderio di grandezza non è mai stato davvero sopito.

La fragilità della governance Europa, passa quindi dall’approvazione e dall’esecuzione di ogni ordine dettato da Washington e dalla Nato che funge da braccio armato degli USA e negli anni è stato ampiamente utilizzato per le mire imperialiste della super potenza a stelle e strisce, andando di volta in volta ad intaccare e destabilizzare anche il tornaconto europeo.

Negli ultimi 23 anni, innumerevoli esempi di democrazia militare d’asporto NATO hanno pregiudicato gli interessi europei in zone strategiche: Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria. Il binomio atlantismo-europeismo, nel tempo è risultato corrosivo e deleterio per le strategie e gli interessi delle nazioni europee, che spesso e volentieri hanno giocato il ruolo di vassalli o stati satellite nei confronti della politica estera americana. L’europa di Kant, di Husserl, di Spinelli, non deve essere ridotta a semplice zona periferica, svuotata di ogni possibilità di azione, di ogni residua libertà di manovra. Gli eventi nefasti a cui stiamo assistendo pretendono una riconsiderazione delle sinergie di quel binomio che da troppo tempo ormai viene dato per scontato. Le conseguenze sperimentate hanno già da un ventennio dilaniato l’economia del vecchio continente, andato incontro a crisi sempre peggiori, numerosi conflitti, drammi come i flussi migratori e l’impossibilità di una diversificazione dell’approvvigionamento energetico. Il panorama internazionale contemporaneo e nello specifico la delicata situazione Ucraina mostrano se ancora ce né fosse bisogno i limiti dell’architettura Europea, esacerbando ancor di più le tensioni generando non pochi effetti per quel che concerne la società e l’economia. Solo nell’ultima settimana abbiamo assistito ad un crollo delle maggiori borse europee, dettato dall’aumento dei prezzi delle materie prime (Nichel +26%, Alluminio +5%, Rame +3%), Petrolio (WTI e Brent in rialzo oltre il +7%) e gas (oltre 300 euro per megawattora in UE). Come se non bastasse, l’aumento del prezzo del grano e soprattutto l’embargo al petrolio Russo, con la fine dell’importazione di greggio voluto da Washington, potrebbe mettere definitivamente in ginocchio l’euro-zona oltre a provocare parallelamente una ulteriore svalutazione del rublo, già in caduta libera con una perdita del 12% nei confronti del dollaro. In aggiunta, anche l’Euro segna una caduta nel confronto con la moneta americana e tutto ciò contribuisce a generare il panico tra gli investitori. Approvvigionamenti e rincaro dell’energia che vanno a gravare ancor di più sulle spalle dei cittadini, già provati da un’inflazione galoppante e dalla crisi emergenziale pandemica.

Dunque sono innumerevoli i pericoli che ruotano attorno al vecchio continente e la responsabilità dei nostri governanti, pacifisti guerrafondai, deve essere messa in luce oggi più che mai, considerando soprattutto la richiesta di ingresso nell’UE portata avanti dal presidente Zelensky già nelle primissime trattative che, se portata a termine, inasprirebbe sicuramente le ostilità con Mosca e scriverebbe un nuovo capitolo di questo conflitto tutt’altro che roseo.

Intanto, si fa largo all’interno dell’opinione pubblica e tra i più, un atteggiamento di colpevolizzazione verso buona parte della popolazione e della cultura Russa e verso chi non si schieri apertamente dalla parte occidentale, dimostrando ancora di più la perdita di alcuni valori fondamentali e l’instaurazione della cosiddetta “cancel culture”, ovvero l’ostracizzazione e la cancellazione della cultura di riferimento, in questo caso quella Russa, che consegue ad altri fenomeni di questo tipo, peraltro già diffusi in Occidente negli ultimi anni.

Il ruolo dell’Europa nel conflitto ucraino. Pericoli, limiti e contraddizioni

di Giuseppe Accardi

Il proseguo dei conflitti sul territorio Ucraino, con la presa delle maggiori città da parte delle truppe di Putin, mette a nudo i limiti della diplomazia occidentale, incapace di arginare l’escalation del conflitto armato e soprattutto dell’Unione Europea, organismo sovranazionale che in questa vicenda sta dimostrando la propria debolezza e subalternità, di fronte al ritorno della guerra nel cuore del Vecchio Continente.

Proprio la mancanza di un’incisiva e coerente iniziativa in favore di una risoluzione diplomatica distensiva è ciò che può e deve essere condannato all’azione delle diverse cancellerie europee, incapaci di tenere a freno una guerra che rischia di mettere a repentaglio, direttamente o indirettamente la vita di milioni di cittadini comunitari.

Interessi strategici, economico-commerciali, culturali, hanno da sempre assegnato al territorio europeo un ruolo chiave nell’esplosione di conflitti ed ostilità e nel corso del tempo ne hanno accompagnato la storia e l’evoluzione, plasmando di volta in volta le nazioni, i popoli, le civiltà per come le conosciamo.

Per queste ed altre innumerevoli ragioni il suolo europeo rappresenta l’ultima frontiera, il confine, la linea rossa da non oltrepassare per evitare la propagazione di uno scontro su scala globale.

È doveroso e necessario condannare la campagna di Vladimir Putin, le cui azioni nei confronti della popolazione Ucraina meritano ben più che delle semplici sanzioni economiche e non possono essere giustificate né tantomeno sminuite sulla base di ragionamenti fideistici o ideologici. Allo stesso tempo è altresì necessario analizzare, giudicare e talora criticare l’operato delle potenze occidentali, soprattutto europeiste, complici di essere rimaste, per troppo tempo sorde, cieche e non all’altezza di evitare una guerra che, almeno dal 2014 era ampiamente prevedibile.

L’articolo 11 della nostra Costituzione ci impone di ripudiare la guerra, ma de facto lo schieramento Italiano e le iniziative portate avanti dall’esecutivo vanno in un’altra direzione. Così come l’atteggiamento della maggior parte dei governi europei che attraverso lo strumento delle sanzioni (risultato inefficace già a Cuba o in Iran) e soprattutto con l’ipotesi dell’invio di armamenti verso Est, rischiano di gettare benzina sul fuoco e di inasprire il conflitto sul territorio Ucraino che appare già oggi ben saldo tra le mani di Putin.

Aldilà delle ripercussioni in termini economici, in primis per l’Italia (il prezzo del grano è già alle stelle, la benzina è sopra i 2 euro a litro, si ipotizza un ritorno al carbone) pare che gli statisti Europei, non abbiano timore nell’assumere una condotta ostile e poco incline alla risoluzione diplomatica, omettendo o non considerando la possibilità del ritorno di una guerra fredda che porterebbe risvolti inquietanti oltre i confini del nostro continente, destabilizzando vecchi equilibri e risvegliando dal lungo sonno il gigante Russo il cui desiderio di grandezza non è mai stato davvero sopito.

La fragilità della governance Europa, passa quindi dall’approvazione e dall’esecuzione di ogni ordine dettato da Washington e dalla Nato che funge da braccio armato degli USA e negli anni è stato ampiamente utilizzato per le mire imperialiste della super potenza a stelle e strisce, andando di volta in volta ad intaccare e destabilizzare anche il tornaconto europeo.

Negli ultimi 23 anni, innumerevoli esempi di democrazia militare d’asporto NATO hanno pregiudicato gli interessi europei in zone strategiche: Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria. Il binomio atlantismo-europeismo, nel tempo è risultato corrosivo e deleterio per le strategie e gli interessi delle nazioni europee, che spesso e volentieri hanno giocato il ruolo di vassalli o stati satellite nei confronti della politica estera americana. L’europa di Kant, di Husserl, di Spinelli, non deve essere ridotta a semplice zona periferica, svuotata di ogni possibilità di azione, di ogni residua libertà di manovra. Gli eventi nefasti a cui stiamo assistendo pretendono una riconsiderazione delle sinergie di quel binomio che da troppo tempo ormai viene dato per scontato. Le conseguenze sperimentate hanno già da un ventennio dilaniato l’economia del vecchio continente, andato incontro a crisi sempre peggiori, numerosi conflitti, drammi come i flussi migratori e l’impossibilità di una diversificazione dell’approvvigionamento energetico. Il panorama internazionale contemporaneo e nello specifico la delicata situazione Ucraina mostrano se ancora ce né fosse bisogno i limiti dell’architettura Europea, esacerbando ancor di più le tensioni generando non pochi effetti per quel che concerne la società e l’economia. Solo nell’ultima settimana abbiamo assistito ad un crollo delle maggiori borse europee, dettato dall’aumento dei prezzi delle materie prime (Nichel +26%, Alluminio +5%, Rame +3%), Petrolio (WTI e Brent in rialzo oltre il +7%) e gas (oltre 300 euro per megawattora in UE). Come se non bastasse, l’aumento del prezzo del grano e soprattutto l’embargo al petrolio Russo, con la fine dell’importazione di greggio voluto da Washington, potrebbe mettere definitivamente in ginocchio l’euro-zona oltre a provocare parallelamente una ulteriore svalutazione del rublo, già in caduta libera con una perdita del 12% nei confronti del dollaro. In aggiunta, anche l’Euro segna una caduta nel confronto con la moneta americana e tutto ciò contribuisce a generare il panico tra gli investitori. Approvvigionamenti e rincaro dell’energia che vanno a gravare ancor di più sulle spalle dei cittadini, già provati da un’inflazione galoppante e dalla crisi emergenziale pandemica.

Dunque sono innumerevoli i pericoli che ruotano attorno al vecchio continente e la responsabilità dei nostri governanti, pacifisti guerrafondai, deve essere messa in luce oggi più che mai, considerando soprattutto la richiesta di ingresso nell’UE portata avanti dal presidente Zelensky già nelle primissime trattative che, se portata a termine, inasprirebbe sicuramente le ostilità con Mosca e scriverebbe un nuovo capitolo di questo conflitto tutt’altro che roseo.

Intanto, si fa largo all’interno dell’opinione pubblica e tra i più, un atteggiamento di colpevolizzazione verso buona parte della popolazione e della cultura Russa e verso chi non si schieri apertamente dalla parte occidentale, dimostrando ancora di più la perdita di alcuni valori fondamentali e l’instaurazione della cosiddetta “cancel culture”, ovvero l’ostracizzazione e la cancellazione della cultura di riferimento, in questo caso quella Russa, che consegue ad altri fenomeni di questo tipo, peraltro già diffusi in Occidente negli ultimi anni.